Il Caso Szájer. Cosa ci fa vedere l’orgia dei sovranisti?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Il caso Szájer continua a far discutere. Innanzitutto emergono nuovi elementi piccanti. Per esempio, pare che, all’orgia gay di Bruxelles a cui partecipò l’europarlamentare di estrema destra, fossero presenti anche altri politici del medesimo orientamento. Lo dichiara David Manzheley, l’organizzatore del festino. In particolare, c’erano anche diversi esponenti politici del partito sovranista polacco, il PiS, al potere dall’autunno 2015.
E’ un dato di una certa importanza. Significa infatti che anche la maggioranza di governo polacca soffre di ipocrisia. Pubblicamente, si rende protagonista della più bieca persecuzione delle persone omosessuali in tempi moderni in Europa, allendosi coi vescovi più retrivi per reistituire i centri di terapie di conversione. In privato, accoglie esponenti che praticano esattamente ciò che condannano. Nella più estrema delle forme: il chemsex collettivo.
Questa non è nemmeno doppia morale. E’ l’incoerenza al potere: un fenomeno simile a quello raccontato da Martel nel suo notissimo “Sodoma“, dove si smascherano gli altarini di molti prelati vaticani. Più sono omofobi e più amanti hanno (amanti maschile), avverte il giornalista francese a proposito dei porporati d’oltretevere. Si direbbe che il teorema valga anche oltralpe (e, sicuramente, non solo).
Non ho usato a caso il termine “potere”. Sembra che la sfida alla morale comune (posto che ne esista una) e agli stessi valori ufficialmente proclamati, sia piuttosto frequente per i personaggi di potere. Forse è di delirio d’onnipotenza. O forse è un po’ peggio: talvolta, la corsa al potere è essa stessa un mezzo per poter coltivare i propri fantasmi al sicuro. E la condanna pubblica di chi si comporta per l’appunto come loro, fa parte del gioco.
“Omofobia interiorizzata”.
Così hanno commentato alcuni. Secondo questa teoria, staremmo assistendo a un caso emblematico di quella sindrome per cui “l’omofobo è quasi sempre un gay represso”. In effetti, quando si vive in un ambiente fortemente omo-negativo, è facile sviluppare un disprezzo nei confronti di se stessi, così lancinante da tradursi in odio per i propri simili. E il contesto socio-culturale in cui si verifica il caso Szájer non è certo il migliore per la crescita armoniosa di una persona omosessuale. E’ oggettivamente difficile, per un gay ungherese o polacco, fare coming-out. Da lì, il resto.
Credo però che questa lettura tutta psicologica, per quanto corretta, non giustifichi i fatti. Non riesco a immaginare che personaggi di livello come i protagonisti del caso Szájer, non abbiano gli strumenti per far pace con la propria sessualità. Proprio il coming-out, oltre a essere un atto liberatorio, è anche un dovere nei confronti di sé stessi e degli altri. E lo è a maggior ragione per le persone più istruite e, ancor di più, per quelle che hanno responsabilità sulla vita altrui.
Un’altra lettura.
Mercoledì pomeriggio, Radio 3 ha sottoposto il caso a Edoardo Lombardi Vallauri, docente di linguistica dell’Università di Roma, autore di “Ancora bigotti. Gli italiani e la morale sessuale”, recentemente edito da Einaudi. Il professore non ha dato una risposta diretta ma ha preso le cose alla larga, parlando dell’arretratezza culturale che domina ancora sulle questioni di sesso. Rispetto alla domanda postagli, è finito decisamente fuori tema ma ha dato alcune provocazioni che meritano di essere colte. Ne riporto alcune, sulle quali premetto di non essere particolarmente d’accordo.
“Ci sono roccaforti concettuali che resistono in tutta Europa ma ancor più negli Stati Uniti o in altri Paesi di stampo veterocattolico. Tra di esse, vi è l’idea che il sesso vada bene solo se c’è anche un impegno tra le persone. Il sesso è visto necessariamente come arte dell’impegno tra due persone, che assumono tutta una serie di sacrifici, il primo dei quali è: non fare sesso con nessun altro”.
Praticamente: il caso Szájer fa scandalo perché propone una sessualità disimpegnata, idea per la quale non siamo preparati. Mi permetto di notare che l’idea di sesso come impegno è vecchia come il mondo e riposa su una tradizione ben più antica del cattolicesimo. Non solo san Paolo ma anche i poeti classici irridono i costumi licenziosi. La letteratura, il teatro, la musica – non solo le leggi – di tutti i tempi sono ricchissime di tradimenti e amori di una notte ed è molto raro che li indichino come modelli da seguire.
Secondo me c’è un motivo. Alcuni antropologi osservano infatti che la monogamia – ossia l’impegno a cui allude Lombardi Vallauri – sia stata per millenni l’unico metodo per prevenire le malattie sessualmente trasmissibili. Essa si è configurata come un istituto finalizzato non solo ad assicurare una paternità ai nuovi nati e a conservare il patrimonio familiare ma – che è più importante – a preservare la specie umana. Oggi, per quanto sia possibile superarla culturalmente e tecnologicamente, occorre comunque tenere conto che si è radicata nella nostra psiche e ha plasmato le nostre civiltà fino a diventare un valore profondo. Non è possibile scalzarla con qualche proclama contestatario. Personalmente, credo che non sarebbe nemmeno giusto perché ci si perdere troppo. Ma riprendiamo.
“In realtà, si può fare sesso con terzi senza rovinare il proprio rapporto impegnativo. Quando due persone stanno insieme, possono andare a una mostra, giocare a tennis, fare lunghe chiacchierate, pranzare. Queste cose non sono coessenziali a un rapporto impegnativo. Se il sesso fosse concepito come qualcosa che va bene anche senza impegno, si capirebbe che l’unica cosa che rovina il rapporto impegnativo è il fatto che sia stabilito che lo rovinerà”.
Per i miei gusti, giocare a tennis, vedere una mostra (che esempi borghesi!), pranzare insieme e fare sesso, non sono la stessa cosa. C’è una graduazione di intimità innegabilmente crescente. Il sesso è il momento in cui l’intimità raggiunge l’apice nella compenetrazione dei corpi. Per questo tendiamo a proteggerlo, a circoscriverlo di attenzioni e anche di regole, come tutte le cose tanto preziose quanto delicate.
Poi, per carità! Padronissimi di vederla diversamente. Ma, in un mondo sessualmente liberato, deve avere titolo anche il modo di vedere mio. Se no, non è libertà.
Ma torniamo a Lombardi Vallauri, che, più avanti, si riavvicina al caso Szájer affrontando più specificamente la questione omosessuale.
“La causa omosessuale – dice – è l’aspetto della sessualità in cui ci sono stati i passi avanti più decisi. E infatti gli omosessuali vivono oggi in una situazione leggermente diversa, tanto che sono divetati apprezzatori della monogamia. Mentre prima erano ipso facto condannati, e allora tanto valeva vivere il sesso come natura ti suggerisce, adesso non possono più permettersi tanto facilmente di esibire non-monogamia, perchè si troverebbero di nuovo sbattuti fuori”.
Io non so se la retorica anni settanta del sesso libero “come natura suggerisce”, fosse così sincera. Dice bene il professore: “erano ipso facto condannati, e allora tanto valeva”. Ho l’impressione che gli ideali del sesso libero, cioè svincolato da qualunque rapporto di coppia, fossero per molti un tentativo di consolazione. Si constatava l’impossibilità oggettiva di un rapporto stabile e si ripiegava su uno occasionale da riempire di fascino. Ma questa non è liberazione; è compromesso.
Mi sembra di non sbagliare se osservo che le rivendicazioni del matrimonio same sex cominciano a formarsi nel momento in cui l’omosessualità inizia ad essere accettata. Non viceversa, e cioè che sia un espediente tattico per rendersi accettabili.
Quante riflessioni a partire da un banale caso Szájer. Se c’è qualcosa di buono in tutto ciò, è di averci permesso di ragionare di sessualità senza ipocrisia. E’ però singolare che i pensatori più radicali finiscano per giustificare gli atti dei reazionari più ipocriti.