Tra storia e sogno. Viaggio nella letteratura queer passata e presente
Dialogo di Katya Parente con la professoressa Silvia Antosa
Quanti di noi, in un periodo in cui fare coming out – per non dire vivere tranquillamente la propria omosessualità – sembrava un miraggio irraggiungibile, hanno cercato personaggi e/o situazioni in cui immedesimarsi per sentirsi meno soli?
Alcuni si sono rivolti alla TV (“The L word”, “Will & Grace” e “Queer as Folk” tra i primi che mi vengono in mente), altri alla musica (Tiziano Ferro tra i nostrani, Sam Smith e, per i più nostalgici Jimmy Somerville col suo inconfondibile falsetto).
Per quelli di noi un po’ più tradizionalisti, questo processo di identificazione ha avuto luogo grazie alla narrativa e, per quanto mi riguarda, la narrativa anglosassone. Chi di voi non conosce “Orlando”, “Maurice”, o non ha sentito almeno parlare di “Non ci sono solo le arance” (se, deplorevolmente così non fosse, i suddetti testi sono disponibili in qualunque biblioteca o libreria)?
Oggi, per parlarci di questo tema è con noi Silvia Antosa, professoressa associata di letteratura e cultura inglese presso l’Università di Enna “Kore” con, al suo attivo diverse pubblicazioni accademiche (se volete saperne di più cliccate sul suo sito web)
Da dove nasce il suo interesse per la cultura queer?
Il mio interesse per la letteratura e cultura queer è nato durante gli anni di ricerca del dottorato in anglistica nei primi anni 2000. Trascorsi un lungo semestre presso l’Università di Manchester (UK), dove ebbi modo di seguire un corso molto illuminante sui Sexual Dissidents nella letteratura inglese. In aula venivano discussi ed esaminati testi di autor*, anche canonic*, che affrontavano apertamente temi e problematiche relative a identità di genere e sessualità, da fine Ottocento ai giorni nostri.
Tra di essi, solo per citarne alcun*, E.M. Forster, Radclyffe Hall, Virginia Woolf, Alan Hollinghurst e Jeanette Winterson, passando per teoriche fondamentali per lo sviluppo del pensiero femminista e LGBTQ+, quali ad esempio Teresa De Lauretis, Judith Butler e Eve Kosofsky Sedgwick. Per me si trattò di un incontro importantissimo, anche perché molti dei testi critici insegnati e discussi in aula non erano (ancora) stati tradotti in Italia.
Le teorizzazioni queer hanno influenzato notevolmente la mia ricerca di un filone originale di indagine all’interno degli English Studies in riferimento alla scrittura contemporanea inglese. In particolare, la lettura della produzione narrativa di Jeanette Winterson, che è poi confluita nella mia tesi di dottorato e poi nella mia prima monografia e in numerosi articoli, ha segnato una svolta sia nell’ambito della mia ricerca letteraria, che nelle modalità di approccio ermeneutico nei confronti di testi narrativi che sviluppano il tema dell’identità in modi innovativi e superano ogni definizione tradizionale e ‘canonica’.
Investigare la scrittura di Winterson, e successivamente di altre autrici lesbiche e queer britanniche contemporanee come Ali Smith, Jackie Kay, e Sarah Waters, ha comportato un’indagine a tutto tondo su un background teorico i cui punti chiave vengono costantemente problematizzati: dal dibattito tra femminismo e postmodernismo intorno al concetto di soggettività e di identità sessualizzata alla questione dell’attivismo politico (rimando a Linda Hutcheon e a Christine Di Stefano, che hanno acutamente posto in rilievo i termini di tale apparente incompatibilità, estesa da Susan J. Wolfe e Julia Penelope alle soggettività lesbiche), alla definizione ancora discussa e instabile di letteratura lesbica (cfr. Farwell, Faderman, Zimmermann, Palmer, Raitt, Munt), ad una ridefinizione stessa dell’idea di soggettività tout court.
Numerosi * critic* che mi hanno indicato possibili prospettive critiche ed ermeneutiche – da Judith Butler a Teresa De Lauretis, da Eve Kososfky Sedgwick a Mario Mieli, fino alle teorie del corpo cyborg di Haraway, che mi hanno permesso di rileggere i testi letterari e, più in generale, di modellare la mia ricerca attraverso gli interstizi testuali, nella loro continua tensione dialettica e perennemente fluida tra soggettività, linguaggio e corporeità.
C’è una differenza di percezione del mondo LGBT in Inghilterra rispetto all’Italia?
A mio avviso ci sono molte differenze, ma anche similarità di percezione del mondo LGBTQ+ nei due Paesi. Del resto, parliamo di due nazioni con storie, tradizioni politiche, religiose, culturali e letterarie molto diverse.
Storicamente, nel mondo anglosassone l’omosessualità maschile è stata condannata esplicitamente: da Enrico VIII in poi, le persecuzioni contro gli omosessuali sono aumentate gradualmente e punite con la pena di morte fino al 1861; in seguito, si passò alla detenzione, dai dieci anni all’ergastolo. Nel 1885 il Parlamento inglese emanò il Criminal Law Amendment Act, la cui Sezione 11 (nota anche come ‘Labouchère Amendment’) condannava gli atti omosessuali maschili fino a due anni di reclusione, con o senza lavori forzati.
Solo nel 1967, con il Sexual Offences Act, il sesso tra due uomini adulti maggiorenni sopra i 21 anni (e in privato) venne decriminalizzato. L’ultima condanna esplicita rispetto alla comunità LGBT c’è stata nel 1988, sotto il governo di Margaret Thatcher, che con la celebre Clause 28 del Local Government Act impediva la promozione e l’insegnamento nelle scuole di argomenti a tematica LGBT. L’ondata repressiva thatcheriana causò una serie di reazioni forti, tra le quali la fondazione di Stonewall, l’Associazione nazionale britannica che difende i diritti LGBT.
La Clause 28 fu revocata nel 2003, anno in cui l’Employment Equality (Sexual Orientation) Regulations divenne legge in UK, rendendo illegale la discriminazione contro le persone LGBT nei luoghi di lavoro. Le numerose leggi di condanna di atti omosessuali tra uomini nella storia inglese hanno portato, paradossalmente, al riconoscimento delle stesse identità che venivano condannate, sancendone l’effettiva esistenza a livello socioculturale.
Una sorte diversa invece hanno avuto gli atti sessuali tra donne che, non essendo mai stati condannati apertamente a livello legislativo, non sono stati quindi nemmeno formalmente riconosciuti, sebbene narrazioni e romanzi a tematica lesbica fossero a serio rischio censura (si pensi ad esempio al celebre processo contro Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, 1928).
Il quadro legislativo del Regno Unito è molto cambiato negli ultimi anni, per cui attualmente ha una delle legislazioni più avanzate d’Europa in termini di riconoscimento dei diritti delle persone LGBT, di lotta contro l’omofobia, di riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso (nel 2005 sono state riconosciute le unioni civili con il Civil Partnerhsip Act, mentre nel 2014 è stato approvato il matrimonio egualitario).
In Italia c’è stato un vuoto legislativo che sostanzialmente non ha mai condannato, e quindi non ha nemmeno riconosciuto, le soggettività LGBT. Ad esempio, sotto il fascismo non è mai stata approvata una legge che condannava gli omosessuali in modo esplicito, anche se ovviamente molti omosessuali sono stati puniti e mandati al confino: ma non c’era una legge specifica di condanna.
L’indicibilità e l’invisibilità dell’omosessualità in Italia – sia maschile che femminile – ha avuto un impatto sulla (in)capacità di generazioni di classi politiche nell’affrontare l’argomento in modo chiaro e diretto. Inoltre, la presenza di una pervasiva cultura cattolica ne ha impedito lo sviluppo e il riconoscimento a livello socioculturale, influenzando lo sviluppo e l’esistenza di una pratica sociale di don’t ask don’t tell che, tuttavia, negli ultimi anni, è stata sostituita da una presenza sempre più importante e pervasiva di dibattiti anche nelle aule parlamentari (si pensi all’approvazione della Legge sulle Unioni Civili del 2016 e all’attuale dibattito sulla legge contro le discriminazioni omofobiche e sessiste, il DDL Zan).
Tuttavia, le leggi che tutelano gli individui non bastano: molti sono i soggetti LGBT che, ad oggi, nel Regno Unito e in Italia, soffrono ancora di fenomeni di discriminazione e bullismo. Purtroppo, si tratta di un fattore che accomuna i due Paesi, soprattutto nelle realtà più rurali e decentrate, in cui è più difficile trovare comunità di accoglienza e forme di dialogo interpersonale che sostengano efficacemente le richieste e le esigenze delle persone LGBT.
Tuttavia, la speranza nasce dalla creazione e dall’esistenza di sempre più numerose reti di sostegno interpersonale che accompagnino le vite delle persone LGBT nella loro quotidianità.
In Italia ci sono molti network, associazioni e gruppi di sostegno (psicologico, politico, etc) sia nazionali che locali. In entrambi i Paesi oggi sono presenti leggi che riconoscono la transizione di genere.
Come si è evoluta la narrativa queer nel secolo appena passato (da Virginia Woolf a Jeanette Winterson)?
Nella mia ricerca mi sono occupata della narrativa lgbt e queer nei periodi che vanno dall’Ottocento ad oggi, con particolare riferimento alla fiction contemporanea britannica. Ho lavorato, tra gli altri, su autrici lesbiche e queer come Ali Smith, Sarah Waters, Jeanette Winterson e Jackie Kay (per citare le più celebri e tradotte anche in Italia), ho studiato nozioni di maschilità queer nella narrativa di viaggio inglese della seconda metà dell’Ottocento (Richard Francis Burton. A Victorian Traveller and Explorer, Peter Lang, 2012) e attualmente mi sto occupando di un progetto finanziato dalla British Academy e dalla Leverhume Trust, intitolato ‘Discorsi culturali del desiderio tra donne: un’analisi comparata queer’, in cui mi soffermo sulle modalità con cui il desiderio sessuale tra donne è stato raccontato e narrato tra Italia, Francia e Regno Unito in un momento storico cruciale per le definizioni identitarie, ovvero tra fine Ottocento e inizio Novecento.
Partiamo da qui: si tratta infatti di una fase storica in cui ci sono state delle modifiche significative nei discorsi medici e nelle attitudini socioculturali verso la sessualità. La sessuologia, ovvero lo studio e la classificazione dei comportamenti sessuali, emerge verso fine Ottocento insieme alla psichiatria. Studiosi come Johann Ludwig Casper, Richard von Krafft-Ebing e Cesare Lombroso proposero una serie di tassonomie altamente problematiche, che stigmatizzavano numerose pratiche e desideri e che portarono all’incarcerazione di molti individui percepiti come ‘devianti’.
Grazie all’aumento significativo di discorsi e pubblicazioni sul tema, la sessualità finì per essere vista, nelle parole del sessuologo inglese Havelock Ellis, come un “problema centrale della vita”. Storici della sessualità come Michel Foucault hanno affermato che la sessualità è stata inventata in questo periodo, e che la nozione stessa di omosessuale fu forgiata come una tipologia distinta di persona, diversa e separata dalle altre.
La relazione tra letteratura e scritti sessuologi in questo periodo è complicata. I due ambiti disciplinari spesso si sovrapponevano, e vi sono molti esempi di reciproca influenza. Si pensi ad esempio a Cesare Lombroso, che citava i romanzi di Émile Zola come se fossero casi empirici; oppure al celebre The Well of Loneliness (1928) di Radclyffe Hall, che sviluppava narrativamente le definizioni mediche coeve sulle patologie sessuali. Quindi, i confini tra prove scientifiche e narrativa erano molto variabili.
Attualmente esistono numerosi autorevoli studi accademici e biografici su molte delle autrici e degli autori più celebri di fine Ottocento e della prima metà del Novecento, tra cui ad esempio Virginia Woolf, E.M. Foster, Vita Sackville-West, Violet Trefusis, Radclyffe Hall, Natalie Clifford Barney, Colette, Renée Viven e Gertrude Stein. Tuttavia, molto resta ancora da investigare in termini di circolazione delle idee sull’espressione della sessualità queer, soprattutto femminile, attraverso i confini nazionali, culturali e linguistici. Per questo il mio progetto di ricerca è transculturale: le rappresentazioni delle donne che desiderano le donne in questo periodo viaggiavano attraverso una pluralità di testi, e oltre i confini.
Cosa è cambiato nella letteratura inglese dagli anni ’70 in poi? L’episteme politica e culturale innanzitutto: negli anni Settanta ha luogo la seconda ondata del femminismo, che insieme ai movimenti di rivendicazione LGBT e neri, ha posto le premesse sociali e politiche per una letteratura più marcatamente presente nella ri-narrazione delle identità di genere e sessuali.
Si pensi ad esempio ai racconti e romanzi di Angela Carter, che riscrisse le favole tradizionali (come ad esempio in The Bloody Chamber) da una prospettiva completamente nuova, soprattutto in rapporto all’identità di genere delle protagoniste, che da giovani fanciulle passive alla mercé dei padri/mariti diventano attive, indipendenti e autonome, e mirano alla costruzione di una comunità al femminile.
Ma è negli anni ’80, durante il repressivo governo Thatcher, e periodo in cui si diffuse l’AIDS, che la narrativa britannica reagisce mettendo in scena una pluralità di testi finzionali e critici che aprono ad una ridefinizione delle identità in modi innovativi, e che si svilupperanno in relazione alle teorie e politiche queer che emergono intorno agli anni ‘90.
Da un punto di vista tematico e di genere letterario, la fiction britannica include storie di coming out, la performatività delle identità, fiction e metafiction storica e storiografica (prendendo un prestito la celebre definizione di Linda Hutcheon, che parlò di “historiographic metafiction”) intertestualità letteraria e sperimentazione postmoderna.
La storia sessuale e le tematiche queer sono sempre più spesso narrate in stretta relazione alle dinamiche nazionali, sociali, politiche e di classe del Regno Unito, insieme alla tradizione letteraria inglese. Il panorama di autor* queer è molto ampio, e va da Jeanette Winterson ad Hanif Kureishi, da Alan Hollinghurst a Jamie O’Neill, Pat Barker, Sarah Waters, Jackie Kay e Ali Smith, per citare solo i più celebri.
In che modo la fiction narrativa LGBT ha contribuito alle istanze sociali e politiche del popolo queer?
La fiction LGBTQ+ ha avuto un forte impatto sulla costruzione sociale e politica delle identità LGBTQ+. Studiose come Judith Butler (Giving An Account Of Oneself, Fordham University Press, 2005) hanno teorizzato quanto sia importante potersi esprimere, e al tempo stesso riconoscersi e identificarsi nei testi culturali, e questo vale in particolare per le persone LGBTQ+, che storicamente hanno vissuto un processo di invisibilizzazione e stigma a tutti i livelli: nella rappresentazione culturale, sociale e politica.
Da questo punto di vista, soprattutto in ambito anglofono, l’elevato numero di autor* LGBTQ, la qualità e l’ampia risonanza dei loro testi hanno portato ad una pluralità di forme e modi di rappresentazione, e ha avuto un sicuro impatto socioculturale e politico, migliorando la dicibilità e la qualità della vita delle persone LGBTQ+ (come afferma ad esempio la studiosa Terry Castle, in The Literature of Lesbianism, Columbia UP 2003).
In Italia, scrittori/attivisti quali Angelo Pezzana (in Dentro e fuori, Sperling & Kupfer 1996) hanno riconosciuto l’importanza di narrare le esperienze individuali, perché quando c’è un vuoto culturale è difficile riconoscersi. Tommaso Giartosio (in Perché non possiamo non dirci, Feltrinelli 2004) ha affermato che troppo spesso * lettor* italian* hanno dovuto fare ricorso a testi stranieri, esperendo però una sensazione di straniamento.
Negli ultimi anni in Italia sono usciti più testi narrativi che raccontano le esperienze di persone e famiglie LGBTQ+. Tuttavia, in alcuni casi, si tratta di narrazioni ancora per alcuni versi ancorate ad una concezione stigmatizzante delle identità ‘diverse’ (si veda ad esempio la narrativa italiana degli ultimi decenni sulle identità lesbiche e delle relazioni tra donne, di cui ho scritto con C.E. Ross in “Dirsi lesbica oggi? Lesbofobia nei media italiani tra indicibilità e invisibilità.” Donne+Donne: Prima, attraverso e dopo il Pride, Qanat 2014). Speriamo che in futuro il numero di testi letterari e culturali a tematica LGBTQ+ in Italia aumenti, contribuendo a rappresentare la ricchezza e la varietà delle esperienze e delle vite delle persone LGBTQ+ e a rafforzarne sempre più le istanze sociali e politiche.
Ringraziamo infinitamente la professoressa Silvia Antosa per averci guidato in questo excursus letterario. Come avrete capito, l’argomento è ancora più vasto, e quelli di Silvia possono essere validissimi suggerimenti per iniziare un percorso di conoscenza autonomo, modellato sui vostri interessi specifici. Se mi avete seguito fin qui, credo possiate fare anche il passo successivo. Buona lettura.