L’uguaglianza nelle chiese e nella società ha diverse forme
Articolo di Jessica Abrahams tratto dal giornale The Guardian (Gran Bretagna) del 25 maggio 2012, liberamente tradotto da Adriano C.
Il vescovo di Londra, Richard Chartres, non pensa che ci sia uno scontro tra il Cristianesimo e la parità. Infatti egli vede la Cristianità come il campione originale dell’uguaglianza. “L’uguaglianza nel mondo antico era la parità tra adulti, uomini, cittadini liberi” spiega. “Fin dal principio, la Chiesa Cristiana ammetteva anche schiavi, donne e bambini”.
Ai nostri giorni la storia sembra molto diversa, almeno per un osservatore esterno, con dibattiti che infuriano su donne vescovo e matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Alla base dei dibattiti ci sono due princìpi contenuti nella convenzione Europea sui diritti umani: il diritto alla libertà di pratica religiosa (articolo 9) e il divieto di discriminazione (articolo 14). Come possiamo raggiungere un compromesso quando si tratta di princìpi, in particolare quando il senso stesso di questi princìpi viene messo in discussione?
Megan Pearson, una dottoressa ricercatrice della London School of Economics specializzata sugli scontri tra gli articoli 9 e 14, osserva che “in tutti i casi pervenuti alle corti Inglesi, i reclami di discriminazione religiosa non hanno avuto successo”. La difficoltà è che i religiosi potrebbero non vedere le proprie credenze come discriminatorie.
“Le donne vescovo sono un caso evidente di di incomprensione totale” dice Chartres. “C’è un punto sottostante molto importante da valutare, cioè nel ritenere se, così come gli uomini sono eguali, possiamo considerare anche le donne intercambiabili”.
La mentalità occidentale moderna, dice, è dominata dal concetto illuminista dell’individuo; un termine asessuato, un corpo autonomo con personali diritti e libertà.
“Ma la visione Cristiana è che non siamo individui” continua “Siamo persone in relazione tra di noi, e dato che si cerca di costruire delle comunità stabili devono esserci delle differenziazioni di ruoli”.
“Le società spesso si organizzano mediante paletti e simboli che possono insegnarci come relazionare, condividere e sostenerci l’un con l’altro. Il ruolo di ‘maternità’ e ‘paternità’ sono simboli molto profondi”.
In altre parole, gli uomini e le donne sono uguali ma differenti e questa differenza è importante per il funzionamento della nostra società. In termini pragmatici, Chartres è in favore delle donne vescovo a causa del travolgente sostegno per loro, ma insiste nel dire che “non è una semplice questione di parità “.
E’ interessante notare come, John Sentamu ha fatto un simile ragionamento quando settimana scorsa ha argomentato contro i matrimoni omosessuali. “Esistono più paradigmi di uguaglianza” scrive l’arcivescovo nel suo commento aperto. “Dovrebbe esistere parità tra i sessi perché una donna può fare qualsiasi cosa può fare un uomo, o perché una buona società ha bisogno delle diverse prospettive di donne e uomini in egual misura?”
Anche lui ha continuato dicendo “La definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna non è discriminatoria nei confronti delle coppie dello stesso sesso. Quello sul quale io sto facendo pressione è una sorta di pluralismo sociale che non degeneri in un individualismo fantasioso”.
Quello che abbiamo, dunque, non è uno scontro tra la religione e la parità, ma uno scontro tra due diverse visioni del mondo in cui “uguaglianza” non significa la stessa cosa. Sentamu si appella al principio di giustizia che, sostiene, è prioritario rispetto all’uguaglianza.
Potrebbe aver centrato il bersaglio. Dopo tutto, il nostro attaccamento al concetto di uguaglianza esiste perché lo vediamo come il modo corretto per trattare le persone. Ma, ancora una volta, ci imbattiamo in un problema perché, laddove per la giustizia secolare del mondo moderno è la giustizia per l’individuo (e l’uguaglianza per conseguirla), la giustizia per Sentamu e Chartres è collettiva e si raggiunge collettivamente soddisfando i bisogni degli altri.
Una soluzione, suggerisce Pearson, pone più enfasi sull’idea di proporzionalità, la quale sostiene che qualsiasi interferenza con i diritti individuali devono essere proporzionati all’interesse della società. Questo potrebbe essere inteso come il bilanciamento della giustizia per un individuo in rapporto alla giustizia per la comunità.
Spiega Pearson “Un caso come quello di Lillian Ladele, una cancelliera dell’anagrafe che ha ricevuto un’azione disciplinare dopo essersi rifiutata di celebrare le unioni civili, bisognerebbe sostenerla, oppure quello di Nadia Eweida, l’impiegata della British Airways alla quale venne chiesto di nascondere la sua catenina con crocifisso al lavoro, dovrebbe essere illegale una richiesta di questo tipo. L’interesse della “British Airways’ per le linee sull’uniforme è meno importante degli interessi della società nell’ottenere un servizio pubblico non discriminante”.
Naturalmente gli interessi della società sono ancora in via di definizione in termini laici moderni; la natura dei diritti umani è sostenere la giustizia per l’individuo, e la proporzionalità potrebbe rivelarsi poco più che un cerotto per il problema alla mano. Ma, come suggerisce Pearson, dovrebbe per lo meno essere permessa “maggiore enfasi su come accogliere le persone in una atmosfera di reciproco rispetto quando gli atteggiamenti sociali cambiano rapidamente e potrebbero essere veramente difficili da accettare per alcune persone”.
Vi è, sostiene, “spazio per alcune deroghe da concedere ai religiosi, siano essi individui oppure organizzazioni”. Questo potrebbe essere il punto più vicino ad un compromesso che potremmo ottenere.
Testo originale: ‘Equality’ divides Christianity