Cattolici e omosessuali, è tempo di trovare nuove strade
Articolo di Laire Lesegretain tratto dal sito La Croix (Francia) del 6 novembre 2012, traduzione di finesettimana.org
“Non rivendico niente, se non il diritto di vivere senza essere amputato di una parte di me stesso”, risponde Jean-Michel Dunand, 49 anni, quando gli si chiede che cosa si aspetta dalla Chiesa. Questo cattolico, che vive in coppia fedele e stabile da vent’anni, è animatore di pastorale dal 1995 in una scuola cattolica, grazie alla fiducia, “con piena cognizione di causa”, del direttore dell’istituto.
Come Jean-Michel Dunand, sono oggi alcune migliaia nella Chiesa cattolica a desiderare di conciliare la loro appartenenza alla comunità dei battezzati e il loro orientamento omosessuale, la loro ricerca spirituale e la loro intimità condivisa con una persona dello stesso sesso. Raramente sono militanti della causa gay, ma neppure aderiscono a certi discorsi del magistero secondo i quali “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”.
“Un discorso così porta in un vicolo cieco”, ritiene Jean-Michel Dunand, che, dopo aver a lungo desiderato di diventare religioso, ha creato nel 2000 la Communion Béthanie, per permettere a persone “omosessuali e transgender” di pregare ogni giorno in contatto con dei monasteri e di incontrarsi per due periodi di ritiro all’anno. Un sostegno per vivere questa solitudine particolare che impone il fatto di non potersi mostrare e di non poter confidare come si è in verità. Che corrisponde alla realtà di molti.
“Il fatto di essere omosessuali quando si è cattolici è come se tutta una realtà del proprio essere, della propria vita, restasse nascosta, clandestina”, riassume Claude Besson, che ha appena pubblicato un libro a partire dalla sua esperienza all’associazione Réflexion et partage che ha co-fondato a Nantes nel 2000. Questa associazione, che vuole contribuire ad una migliore accoglienza delle persone omosessuali e delle loro famiglie nella Chiesa cattolica, ha pubblicato nel 2005 il libretto Orientamento omosessuale e vita cristiana, di cui sono state vendute 1200 copie.
“Il 40% di coloro che frequentano regolarmente un luogo di culto cristiano non hanno rivelato a nessuno la loro omosessualità”, scrive la sociologa Martine Gross nel sondaggio Essere cristiano e omosessuale in Francia. “Dato che i cattolici hanno interiorizzato la linea della Chiesa vivono spesso il loro orientamento sessuale nella vergogna e nel senso di colpa”, prosegue Claude Besson. Esistono comunque dei cattolici che, pur assumendo il loro orientamento omoaffettivo, vogliono restare fedeli agli insegnamenti del Magistero, conducendo una vita di castità.
Ad esempio Philip Arino, 29 anni, autore di importanti libri sull’argomento. “Se la Chiesa sottolinea che una persona è sempre più importante degli atti che compie o delle pulsioni che prova, non si tratta di ipocrisia o di negazione della realtà. La Chiesa vuole solo che non si lasci il primo posto al nostro desiderio omosessuale e che non ci si sottometta ad esso.”
Molto spesso, il silenzio che circonda le persone omosessuali riguarda anche i genitori e fratelli e sorelle. “Nella mia parrocchia, quando qualcuno mi chiede notizie dei miei cinque figli, non parlo mai della mia ultima figlia, che vive con una compagna”, racconta Marthe, vedova da alcuni anni, abitante da una cinquantina d’anni nella periferia ovest di Parigi.
“In ambiente cattolico, si fa generalmente così”, prosegue, prima di precisare che, se dovesse parlarne, dovrebbe “entrare in lunghe spiegazioni, senza essere sicura di essere capita”. Di fatto sono molte le persone che, a partire dal momento in cui l’omosessualità è conosciuta, soffrono per il fatto che nella loro parrocchia o nel loro movimento ecclesiale vengono percepiti negativamente. “Per non scandalizzare, evitiamo di fare la comunione nella nostra parrocchia di Parigi”, affermano Ivan e Thibault, che vivono in coppia dal 1976. “Spesso, qualcuno ci viene a chiedere dei nomi di preti comprensivi, capaci di accompagnare senza giudicare”, conferma François, impegnato in David & Jonathan.
Vi sono altri esempi, che mostrano atteggiamenti diversi, a seconda dei luoghi. Ad esempio Nadia assicura di essere stata ben accolta quando ha chiesto di fare il percorso per ricevere il battesimo. “Il prete di Parigi a cui ho raccontato la mia vita, senza nulla nascondere delle mie esperienze omosessuali, mi ha invitato a partecipare anche ad un gruppo biblico”, racconta la giovane donna, che è stata battezzata nel 2010.
Da alcuni anni, del resto, certi preti e diaconi accolgono le richieste di benedizioni da parte di cattolici omosessuali che desiderano porre la loro unione sotto lo sguardo di Dio. “La benedizione privata che è seguita al nostro pacs è senza dubbio ciò di cui sono maggiormente orgoglioso nella mia vita”, dichiara felice Franck, che ha preparato quella celebrazione per diversi mesi con il suo compagno.
Ugualmente, certe parrocchie vedono ormai coppie di donne che vengono a chiedere il battesimo per il loro neonato. Ad esempio, un diacono della periferia di Parigi ha battezzato alla fine del 2010 un bimbo di 18 mesi allevato da due compagne. “La cerimonia, alla presenza delle famiglie delle due donne, era stata preparata molto bene, ma dopo non ho più rivisto alla messa le due donne e il loro bambino”, dice con rincrescimento.
Tuttavia, possono manifestarsi delle reazioni ostili quando dei cattolici omosessuali accedono a responsabilità ecclesiali. “Una quindicina d’anni fa, dei fedeli avevano detto al mio parroco che aveva un “militante omosessuale” nella sua équipe di cappellania”, racconta Michel, 65 anni, membro da più di vent’anni dell’associazione Devenir un en Christ e fedele della parrocchia di Val- de-Marne.
“Quando sono stato chiamato dalla cappellania dell’ospedale che mi conosceva bene, ad assumere la direzione dell’équipe pastorale dei malati, il mio parroco è stato consultato e la sua risposta è stata negativa”, racconta un uomo in pensione da poco del dipartimento Yvelines, che vive con il suo compagno con molta discrezione. “Eppure, se i cristiani sapessero ciò che la Chiesa deve a tanti omosessuali, uomini e donne, che operano al suo interno, nel segreto della loro identità, non sarebbero così pronti a condannare”, è l’opinione di Yvon, impegnato in parrocchia.
Un rammarico condiviso da padre Jacques Ollès, nominato l’anno scorso nella diocesi di Nizza per realizzarvi l’accompagnamento dei cristiani omosessuali. Sollecitato fin dal 2004 da una decina di cattolici omosessuali, padre Ollès ha elaborato un questionario sulla percezione dell’omosessualità nelle parrocchie, che non è ancora stato inviato tramite le diocesi. “Ma sarà fatto prossimamente, afferma. Perché è essenziale affrontare l’argomento e suscitare una parola libera.”
Il prete di Nizza vorrebbe veder emergere una “pastorale per gli omosessuali” – come esiste quella per i divorziati risposati -, in particolare “per aiutarli ad impegnarsi ecclesialmente”. Tuttavia, questo prete di 75 anni constata che, da un anno, “nessuna diocesi ha preso contatto” con lui.
Testo originale: Le «mariage homosexuel», une question de société