Noi cristiani LGBT a quale speranza siamo chiamati? Quando ci vogliono guarire
Riflessioni di Daniele del Progetto Giovani Cristiani LGBT, parte seconda*
I giovani che si scoprono omosessuali sono portati ad estraniarsi dai loro coetanei, anche se in fondo desiderano essere come loro e si autocondannano non tanto perché l’ambiente non li accetta quanto per sensazioni nevrotiche interne. Sappiamo bene invece come un clima di caccia alle streghe, inquisitorio, metta ancora più ai margini queste persone, a differenza di un clima di accoglienza che permetterebbe loro di mettersi in verità dinanzi agli altri.
Un ruolo fondamentale nell’origine dell’omosessualità per lo psicologo (Gerard Van Den Aardweg) è dato dal complesso di inferiorità fisico e muscolare rispetto agli altri coetanei. Ma mi domando: come mai esistono ragazzi gracili ed esili, insicuri di sé, ma eterosessuali? Al contrario, come mai ci sono ragazzi sicuri di sé e del loro corpo ma omosessuali?
In ogni caso per Aardweg, anche se vi fosse un fattore ormonale o genetico, l’orientamento omosessuale sarebbe una disfunzione. Dunque non è innata ma un dato acquisito negli anni, a causa del rapporto non equilibrato con i genitori (eppure ci sono ragazzi con famiglie disastrate ma eterosessuali) e del rapporto con i propri coetanei maschi assente che li porta ad una loro idealizzazione, a differenza dell’eterosessualità che sarebbe determinata geneticamente.
Viene propinata nell’opera l’idea dell’omosessuale come infelice ed eterno bambino, incentrato solo su di sè, il cui unico rimedio è liberarsi dall’autocommiserazione nevrotica, dall’autocompassione. Le fantasie sugli individui dello stesso sesso sarebbero rafforzate da sensi di solitudine e dalla masturbazione (cose comuni anche tra gli eterosessuali).
Ma con questo modo di pensare non si rende giustizia a mio parere a tutti quei ragazzi omosessuali che sono felici e che si sono aperti a relazioni stabili con altre persone, capaci di dare e ricevere amore.
Credo che degna di nota sia l’espressione usata dall’autore: “l’omosessualità non è gay, cioè gaia, gioiosa: è una psico-dipendenza.”
Credo che qui si raggiunga l’apoteosi del delirio, nel paragonare l’omosessualità ad una dipendenza come l’alcolismo, la tossicodipendenza, da cui si deve necessariamente guarire per non essere infelici.
* “Sono cresciuto sin da piccolo in un ambiente profondamente cristiano, la mia parrocchia è stata la mia seconda casa, il grembo materno nel quale potermi rifugiare dai problemi che vivevo nel focolare domestico. … Per il semplice fatto di sentire delle pulsioni verso alcuni compagni di classe o addirittura di provare dei sentimenti che sono propri dell’essere umano, mi sentivo sbagliato. Così una volta terminato il liceo e lasciato il seminario, per via di questa profonda dicotomia interiore tra fede e orientamento sessuale, ho cercato in internet una soluzione a quello che credevo essere “un problema”. … Mi sono imbattuto negli scritti di autori accomunati dal medesimo comune denominatore: l’omosessualità è un problema, una patologia della mente in cui tutti possono incappare ma dalla quale, con impegno e forza di volontà si può uscire. … Spero che queste riflessioni possano aiutare tanti ragazzi e ragazze che stanno soffrendo come ho sofferto io, a rifuggire dalle “teorie riparative” che sono solo un’illusione distruttiva, capace di togliere pace e forze spendibili invece nell’amare se stessi, Dio e gli altri così come si è, unici e originali! A tutti auguro, a me in primis, un viaggio entusiasmante al “centro di se stessi”. Qui trovate la storia di Daniele.