La peste del Medio Evo e l’AIDS negli scritti di S. Giuliana da Norwich
Articolo di Vincent Manning (Regno Unito) tratto dalla rivista Pastoral Review (Inghilterra), nov/dic 2011, pag. 36-42, liberamente tradotto da Adriano C.
Desidero qui esplorare gli scritti di Santa Giuliana di Norwich, e considerare come potrebbero ispirarci una pastorale di avvicinamento verso coloro ai quali è stato diagnosticato il virus HIV nel Regno Unito ai nostri giorni.
Parlando nel 1999, Kofi Annan ha detto: “Oggi la pandemia dell’AIDS, inattesa, inspiegabile, indicibilmente crudele… ci presenta una tragedia che possiamo a malapena comprendere, difficilmente gestire”.
Parole simili potrebbero essere state dette anche nell’Inghilterra del XIV secolo, ai tempi della peste bubbonica, della carestia, dell’ingiustizia sociale e della guerra dei 100 anni.
Santa Giuliana di Norwich (1342 – 1423), un anacoreta mistica, viveva nel bel mezzo di questa sofferenza terribile e incessante. La peste ha ucciso ricchi e poveri in grande quantità. Si stima che circa un terzo della popolazione di Norwich, una importante città commerciale, venne uccisa da epidemie ricorrenti di questa malattia dal 1348 fino a tutto il secolo successivo. La paura diffusa di fronte alla malattia e la sofferenza acuta, sono stati gli aspetti dominanti dell’epoca di Santa Giuliana.
E’ in questo contesto, e forse come risposta diretta alla sofferenza e all’ansia dei suoi contemporanei, che Santa Giuliana ha scritto nella sua opera “Rivelazioni dell’amore divino”1, parole così meravigliose sulla compassione di Dio e sul suo amore materno per i propri figli.
Sono stato coinvolto in diverse pastorali rivolte al virus HIV/AIDS sin dal 1980, e riesco facilmente a vedere un parallelo tra l’epoca di Santa Giuliana e la nostra, particolarmente quando ricordo i primi due decenni della pandemia di AIDS. Nelle nazioni più ricche, i nuovi trattamenti hanno sollevato la maggior parte di noi da quella sensazione di panico imminente di fronte alla morte causata dal virus HIV/AIDS in quei primi anni della comparsa della malattia. Eppure il virus HIV rimane un problema nel Regno Unito ancora oggi.
La natura ed i sintomi delle svariate sfide sono più facilmente ignorati ora, di quanto lo fossero quando la morte era più pervasiva e visibile, ma la realtà del virus HIV continua ad essere un problema pastorale urgente. Vorrei considerare la situazione che specificatamente abbiamo nel Regno Unito e il motivo del perchè la teologia pastorale di Santa Giuliana sia rilevante per noi.
HIV in Inghilterra oggi
Il virus HIV non se ne è andato. Si stima ci siano 86,500 persone affette da HIV nel Regno Unito. Nel 2010 ci sono state 6,658 nuove diagnosi.2 Molte di queste persone sono Cristiani, nostri fratelli e sorelle in Cristo. Tanti Cattolici dall’Inghilterra e dall’Irlanda, in Africa, in Europa e in America Latina, si rivolgono in tempo di crisi alla fede e alla Chiesa, cercando una guida, la consolazione e la comprensione.
La diagnosi del HIV è uno shock per l’individuo. L’esperienza soggettiva rimane uno dei disastri personali. Come in qualsiasi altra condizione di pericolo, la persona viene influenzata da implicazioni pratiche, man mano che si presentano le questioni esistenziali. Per quelli che hanno un’educazione religiosa, queste domande dense di significato vengono esplorate, comprese e fraintese nel contesto dell’esperienza religiosa, sia passata che presente.
Il marchio infamante del virus HIV
Ulteriori sfide derivanti dal particolare marchio associato all’infezione HIV, rendono diversa questa patologia dalle altre malattie. Erving Goffman sostiene che questo marchio ha l’effetto di ridurre una persona dal considerarsi “integro e comune” a diventare “sporco” e “sminuito” di fronte agli altri, fino a riferirsi a se stesso come “profondamente screditato”.3
Nessun malato di HIV sfugge dall’impatto di questo marchio, lo si sperimenta sia internamente che esternamente. Per molti ci sono ulteriori effetti che marchiano la sfera effettiva ed affettiva, poichè con l’AIDS si possono combinare altri marchi e pregiudizi come l’etnia, la sessualità, lo stato sociale o legale, la razza, il sesso e/o la disabilità.
Coloro che sono impegnati nel ministero pastorale e gli operatori sanitari, riconoscono questa stigmatizzazione delle persone come “il più difficile ostacolo all’efficace prevenzione, trattamento e cura…” 4
Le chiese contribuiscono alla discriminazione – una chiamata al pentimento
Da un punto di vista pastorale analizzando seriamente la situazione, dobbiamo riconoscere i metodi in cui l’educazione religiosa e l’esperienza contribuiscono a questa discriminazione alienante, il senso di colpa e la vergogna interiorizzata gravano sempre su una persona infetta da HIV che abbia una minima esperienza religiosa, e i Cristiani non ne sono certo esentati.
Storicamente esiste una prolissa relazione tra la malattia e il peccato; 5 le letture bibliche sulla sofferenza come una divina disciplina punitiva o una penitenza per il peccato; il “dualismo radicato” sul quale è stata formata gran parte della teologia occidentale, che percepiscono la “carne” e specialmente il sesso, come empio e peccatore, sono un patrimonio inutile che colpiscono in egual misura sia i credenti che i non-credenti.
L’esperienza e le ricerche suggeriscono che le persone con HIV tendono a considerare l’infezione come un tipo di punizione e/o una conseguenza del loro peccato. Per coloro che cercano una cura pastorale dalla chiesa, dare una ragione a tutta questa confusione è una delle prime sfide nella loro ricerca del significato. L’identità di una persona e la comprensione di sè, così come il rapporto con la percezione di Dio, sono i punti chiave di questa drammatica ricerca. 6
La risposta delle varie chiese al virus HIV/AIDS è svariata. Da una parte la lunga tradizione di cura dei malati e alla sofferenza è stata la prima risposta ad evidenziarsi. Al contrario, i responsabili religiosi hanno continuato l’altrettanto lunga tradizione di associare il peccato con la malattia, dando voce all’opinione ampiamente diffusa che l’infezione HIV è davvero un castigo di Dio. Troppo spesso viene ancora ripetuto nelle congregazioni e dai pulpiti questo racconto storicamente dominante che collega la malattia, il sesso e il peccato, ribadisce il marchio infamante e viene ulteriormente interiorizzato dalla persona che soffre di HIV.
Facendo parte della nostra tradizione collettiva, questa teologia distorta, induce purtroppo, ad un senso di colpa e vergogna sproporzionata. Nei peggiori casi, al disgusto di sè e alla paura, questi risultati possono indurre la persona a tentare o contemplare il suicidio, in altri casi influenza negativamente le loro relazioni e/o la loro salute mentale. (La ricerca accademica sulla connessione di queste cause e gli effetti, confermano la realtà che conosco dai tanti anni di ministero pastorale al fianco di persone con infezione da HIV).
A livello affettivo, si tratta di una specie di violenza spirituale, un assalto alla dignità della persona. In effetti questo li esclude dalla piena partecipazione alla comunità Cristiana e danneggia la persona spiritualmente, nella misura in cui minaccia di annientare il senso della persona dalla realtà dell’amore incondizionato di Dio per loro.
Quando questo accade, la persona ne può soccombere, e ne viene ostacolata, tanto che di questa ingoranza Santa Giuliana ha scritto: “… Dio desidera che noi consideriamo e godiamo dell’amore in ogni cosa. Questa è la conoscenza di cui siamo più ignoranti; alcuni di noi credono che Dio sia onnipotente e che abbia il potere di fare tutto, che sia sapiente e sappia fare tutto, ma si fermano prima di scoprire che Egli è Amore completo e che è disposto a fare tutto. Mi sembra che questa ignoranza sia ciò che più ostacola coloro che amano Dio…” (LT73).
Due esempi pastorali
Questa crisi di fede e di sfida alla comunità diventa evidente se consideriamo l’esperienza vissuta di queste due persone.7 Una madre che convive con l’esperienza del virus Hiv, racconta che tutte le volte che l’Hiv viene citato nella sua chiesa, è sempre messo in relazione al peccato.
Sebbene nella sua comunità ci siano molte persone che vivono con il virus HIV, la tematica non viene discussa apertamente e rimane un silenzio carico di paura e di vergogna, viene tenuto nascosto da un Cristiano all’altro per paura del giudizio. Si domanda: “… vedo mio figlio e penso: quale colpa ha commesso?” trasmette quindi il penoso riconoscimento interiorizzato della propria colpa, ma anche la confusione che nasce dal contesto di una punizione dal figlio innocente da parte di un Dio amorevole.
L’altro esempio è quello di un giovane uomo profondamente turbato del fatto che la sua malattia confermi la punizione divina per la sua sessualità omosessuale. Ha smesso di frequentare la chiesa qualche anno fa, convinto che fosse indegno e inaccettabile agli occhi di Dio. La diagnosi dell’HIV lo costringe ora a ritornare alla comunità Cristiana, timorosamente, per poter trovare un sostegno pastorale e per affrontare questo problema.
In entrambi i casi possiamo notare che la loro reputazione di creature amate da Dio, e che la loro fede in un Dio d’amore, sono state danneggiate. Santa Giuliana è inequivocabile, riconosce questa tendenza come un ostacolo alla relazione con Dio, che viene inviata dal diavolo per ingannarci.
Ella suggerisce che questo focalizzarsi sul peccato è “… folle ignoranza e debolezza” (LT73). Come possiamo dimenticarci così in fretta di quanto siamo amati? Come facciamo a convincerci così facilmente del contrario?
L’importanza della pastorale di Santa Giuliana.
La consapevolezza di Santa Giuliana sull’enfasi sul peccato, sul giudizio e sulla sofferenza della sua epoca, riflette la realtà pastorale che incontriamo nel Servizio con le persone ai quali è stato diagnosticato il virus HIV. Vorrei ribadire che la pandemia espone una preoccupazione alla colpa personale, (presumendo in particolare, l’immoralità sessuale), questo accade anche col virus HIV, come possiamo notare nella società odierna.
Questo, a sua volta, riveste un tipo di ‘sintomo problematico spirituale dell’HIV’ per l’individuo. Penso sia importante specificare che nella maggior parte della gente ammalata che ho avuto modo di incontrare, questo pesante senso di colpa non è appropriato. Concordo con Santa Giuliana, e comprendo questa preoccupazione come un ostacolo al benessere spirtuale.
Santa Giuliana sostiene che il peccato può essere riconosciuto solo dalla sofferenza provocata. Lei considera a lungo come il peccato e la sofferenza possano esistere a fianco di un Dio creatore che è tutto bontà, che è in ogni cosa ed in ogni evento che accade.
Santa Giuliana si dedica al dubbio e alla confusione che sfida ognuno di noi quando siamo in un grande dolore. Nel Tredicesimo secolo, “ci mostra” Gesù che assicura ripetutamente che, nonostante il peccato e la sofferenza, “… tutto andrà bene e sarà sistemato e ogni sorta di cosa andrà bene” (LT27). Solitamente si omette questa asserzione per altri brani meglio conosciuti, tuttavia sono le parole che Gesù dice nella prefazione: “Il peccato è degno…”.
La ponderazione meditativa di Santa Giuliana su queste parole durata due decadi, può essere considerata il primo tema delle Rivelazioni, ed il frutto della sua meditazione sul problema della sofferenza e del male.
Esiste una lunga tradizione Cristiana che cerca di spiegare il mistero della sofferenza. Santa Giuliana non resolve il mistero, ma si occupa delle nostre tendenze a giudicare, aggiungere colpe, e prendere decisioni su persone ed accadimenti, che le considera come una limitazione umana. Alla luce della moderna psicologia, Robert Llewelyn interpreta questo come una sorta di umana “proiezione” di questi attributi giurdici di Dio.8 Grace Jantzen considera l’affibiazione del come un porsi in funzione della chiesa, che ci aiuta a ricordare la gravità del peccato, e la necessità di guarigione personale per le fratture e le rotture che sono presenti in noi stessi.9
Entrambi i pareri sono credibili, ma la preoccupazione di Santa Giuliana è inconfondibilmente pastorale. E’ come se lei mettesse il peccato nel “posto giusto” quando scrive che “… non trovo sostanza nel peccato…” (LT27). Come sant’Agostino prima di lei, rifiuta la duplice eresia in cui si propone che il male esiste come forza a sè stante, e che la materia è male.
Al contrario, Santa Giuliana afferma l’onnipotenza e l’immanenza di Dio e la bontà della creazione intera: “… tutto ciò che ci viene dato è ben fatto, perchè è il nostro Signore che ha creato tutto; … per lui la creazione è al centro di tutto… e sono sicura che non abbia mai sbagliato” (LT11). In questo modo santa Giuliana afferma la popria fede nell’intima bontà della creazione divina, nonostante i limiti della comprensione umana.
Tuttavia, lei contesta la generale comprensione medioevale quando pondera il significato del “peccato che viene accettato ma ogni cosa andà bene”. Laddove la teodicea Agostiniana si preoccupa che gli esseri umani neghino la loro colpevolezza del peccato e impugna la giusta collera e la punizione di Dio, santa Giuliana si preoccupa che i fedeli Cristiani vengano sopraffatti dalla loro colpa del peccato, e la loro paura di un Dio arrabbiato.
Mentre gli Agostiniani si focalizzano sulle cause del peccato, ripartendo la responsabilità (la colpa) sugli esseri umani, santa Giuliana ricerca le finali conseguenze del peccato, affrontando la questione della sofferenza.
La parola medioevale inglese “behovely”, tradotta qui come “adatto”, potrebbe anche significare “richiesto, necessario, utile, proficuo e buono”.10 santa Giiliana sostiene che il peccato è necessario perchè serve le funzioni benefiche di raggiungere la conoscenza di sè e la conoscenza di Dio, offrendoci l’opportunità di comprensione della nostra stessa debolezza rivolgendoci all’amore di Dio e alla sua misericordia. Il peccato e la sofferenza, sono pedagogici.
Si concentra meno sulla “colpa di Adamo” come causa del peccato originale, o sulla colpa del peccatore individuale, preferendo concentrarsi sulla passion di Cristo come ultimo atto d’amore, col quale ha sconfitto il male, e trasformanto tutta la sofferenza in un bene per noi.
Specialmente quando siamo afflitti dal rimorso per la nostra stessa mancanza d’amore, per la nostra personale colpevolezza, santa Giuliana insiste che la grazia di Dio trasforma “… l’amarezza in speranza di misericordia” e “… la vergona in gloria e gioia più grande; per il nostro signore generoso” il quale “…non vuole la disperazione per i suoi servi”; “… la nostra caduta non gli impedisce di amarci”. (LT39)
La sua enfasi rimane sull’amore pieno di Dio, la nostra compassione e la comprensione nelle nostre sofferenze. Santa Giuliana parla di un Dio che non ci dà colpa e non ci considera colpevoli: “… è vero che il peccato è la causa della sofferenza, ma tutto andrà bene, e ogni sorta di cose saranno un bene”. Queste parole vennero dette con grande tenerezza, senza sottintendere che nè io, nè alcuno di noi che dovrà essere salvato, fosse stato preventivamente già condannato” (LT27).
L’incontro personale con il virus HIV
Gli studi suggeriscono che spesso vi è un aumento della spiritualità e della pratica religiosa a seguito della diagnosi di HIV, e questo può essere un bene per le persone.11 Tuttalvia le persone riferiscono che al momento della ricerca di sostegno pastorale da parte di pastori, sacerdoti o altri cristiani, la prima domanda che viene fatta comunemente è: “Come l’hai contratto?”.
La semplice domanda, a mio avviso, suggerisce la nostra comune preoccupazione sulle cause dell’HIV, ed una sorte di automatico, spesso inconscio, collegamento con il sesso, la malattia e il peccato. Come i discepoli che chiesero «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv. 9, 2) viene evidenziata la tendenza ad attribuire una colpa.
Intenzionalmente o meno, l’implicazione è lì: Te lo meriti? E’ un castigo di Dio? Come risposta pastorale questo serve a rafforzare il marchio d’infamia che descrivevo, e non è utile. Dio non manda la sofferenza come punizione.
Se riflettiamo attentamente sui nostri pensieri e sulle nostre risposte all’HIV, ognuno di noi potrebbe essere sfidato a riconsiderare i propri atteggiamenti e convinzioni profonde riguardo al sesso, alla malattia e alla nostra comprensione di Dio. Per la comunità Cristiana in generale, il virus HIV potrebbe essere un’opportunità per rivedere la nostra attenzione ministeriale e pastorale, tenendo presente l’avvertimento di santa Giuliana “… è il nostro nemico il Diavolo che ci riporta alla falsa paura dei nostri peccati e la punizione con la quale ci minaccia, perchè egli ha intenzione di renderci così stanchi e infelici da farci dimenticare la buona e benedetta considerazione verso il nostro Amico eterno” (LT76)
Mi auguro di aver ricordato qui, quel principio fondamentale della nostra fede, che santa Giuliana era così ispirata ad esprimere. Il nostro Dio è un Dio d’amore, che ci ama così profondamente da essere diventato come noi, e che tutto quello che ha sopportato è ciò che sopportiamo anche noi, e lo ha fatto per amor nostro.
Un Dio che è con noi ancora nel “benessere e nel dolore” (LT52) “costantemente in amore-desiderio verso di noi mentre viviamo” (LT71) come dice santa Giuliana. Una madre perfetta che ci ama costantemente, e alla quale dovremmo ricorrere nel bisogno (LT61). Un Dio dal quale non potremo essere separati (LT72; Rm 8, 38).
Oltre ad avermi aiutato a riflettere sulla mia mancanza di fede in questo Dio, ho trovato le Rivelazioni di santa Giuliana particolarmente utili nel servizio alle persone che vivono con l’HIV. La sua particolare insistenza sul fatto che l’amore di Dio dà significato ad ogni cosa (LT 86) funge da correttivo correlato al marchio dell’HIV. Liberati dalle menzogne interiorizzate, c’è la speranza che si possa recuperare per noi stessi le parole che il Signore ha detto a santa Giuliana: “Mia amata… guarda quanto ti amo” e come lei comprendere che “Nostro Signore ci ha rivelato questo per renderci felici e pieni di gioia” (LT24).
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1 Giuliana di Norwich, Rivelazioni dell’amore divino, (Penguin Classics, London, 1998), Long Text (LT)
2 Vale la pena di notare che vi è stato quasi il doppio di nuove infezioni, in Gran Bretagna, rispetto ai dati del 2001. La metà di tutte le nuove infezioni si sono avute dal contatto eterosessuale. L’agenzia sanitaria stima che le persone infettate saranno circa 100,000 nel 2012Circa un quarto di persone infette da HIV non sono consapevoli di essere malati.
3 Goffman, E., Stigma: Notes on The Management Of Spoiled Identity, (Simon & Schuster, NY, 1986), p3-5. (Goffman scrive di un periodo “pre-Aids, quindi non si riferisce direttamente al marchio associarto al virus Hiv/Aids, quindi egli qui parla di un’analisis più estesa).
4 UNAIDS, The Windhoek Report: HIV and AIDS related stigma: A framework for theological reflection, pp19-30, in Gill, R., (ed), Reflecting Theologically on AIDS: A Global Challenge, (SCM Press, London, 2007)
5 Allen, P.L., The Wages Of Sin; Sex and Disease, Past and Present, (University of Chicago Press, London, 2000)
6 Bradley, C.C., Sharan, M.B., and Reeves, P.M., Faith development in HIV Positive People, (Journal of Religion and Health, Vol.38, no.3, Fall 1999)
7 Ho qui riportato questi esempi, come rappresentativi di un’esperienza comune, con il permesso di entrambe le persone citate. Entrambi sono membri di ”Positive Catholics‟ – si veda http://positivecatholics.googlepages.com
8 Llewelyn, R., With Pity Not With Blame: The Spirituality Of Julian Of Norwich And The Cloud Of Unknowing For Today, (DLT, London, 2003), pp20-22
9 Jantzen, G., Julian of Norwich, (SPCK, London, 2000) pp199-200
10 dal Dizionario Inglese medioevale citato Nowakowski Baker, p70
11 Cotton, S., e altri, Spirituality And Religion In People With HIV/AIDS, (Journal of General Internal Medicine, 2006: 21:s5-s13); Ironson, G. e altri, An Increase in Religiousness/Spirituality Occurs After HIV Diagnosis and Predicts Slower Disease Progression over 4 Years in People with HIV, (Journal of General Internal Medicine, 2006: s62-68)
Testo originale: Julian of Norwich and a pastoral approach to HIV/AIDS