Servire è Regnare. La nostra vocazione battesimale: diventare re al modo di Gesù
Riflessioni bibliche di don Fausto tenute al ritiro online del Progetto Giovani Cristiani LGBT “Dal Buio alla Luce: Servire è Regnare” (4-6 Febbraio 2021)
O Dio misericordioso, che colmi dei tuoi beni coloro che hanno fame e sete di giustizia, ricordati della tua famiglia raccolta in preghiera e trasforma la nostra povertà nella ricchezza del tuo amore. Per Cristo nostro Signore.
Lettura del vangelo di Marco 10,35-45
Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
La scena descritta nel brano di Marco è quella di un gruppo di discepoli che segue il suo maestro. Tutti dobbiamo seguire qualcosa o qualcuno; più o meno consapevolmente lo facciamo. Inseguiamo una meta e quella meta decide della qualità della nostra vita, la sua vera riuscita. Dice la nostra libertà. Così i discepoli seguivano Gesù, come possibilità di realizzazione. Vanno a Gerusalemme; là ci sarebbe stato l’ingresso trionfale. Anche la salita verso la città posta in alto dà l’idea dell’ascesa al potere. Nella grande città li attende la “gloria”. Il tempo stringe e bisogna fare presto per guadagnare posizione e assicurarsi i posti importanti. Occorre farsi furbi per arrivare al sogno di una vita.
Il colloquio dei due fratelli, che prendono da parte Gesù, ha l’aspetto di un intrigo mafioso e la cronaca del Vangelo non ha pudori e riverenze verso i due fratelli, tra i più vicini a Gesù. E neppure verso gli altri che, sentendosi scavalcati, si indignano e tentano di recuperare terreno nella scalata. Tutti ci tengono a ricavarsi una fetta di potere. Ognuno ha in mente un’idea di potere e dominio: chi di riscatto sociale, chi politico e militare; chi la possibilità di lucrare dalla futura posizione. Tutti pensano a sé e rincorrono affannosamente il proprio sogno.
Anche Gesù sta andando a Gerusalemme con il suo sogno ed è un momento nodale per capire Gesù e per capire cosa l’incontro con lui arriverà a suscitare nella vita di quanti gli si sono avvicinati, quale ribaltamento totale.
Giacomo e Giovanni avevano seguito Gesù dall’inizio: discorsi, miracoli, addirittura la trasfigurazione sul monte (Mc 9,2-10); erano già i più vicini. Ma c’è ancora da fare un passaggio! Gesù lo chiama Battesimo, una pasqua, per nascere nuovi, somiglianti a Gesù. Si avvicinano per chiedere i primi posti “nella gloria”. E qui è l’equivoco! Quale la “gloria” è in gioco? Qual è il sogno di Gesù, che di lì a pochi giorni davanti a Pilato dichiarerà che il suo regno non è di questo mondo? Com’è il regno che Gesù invita a “cercare prima di tutto con la sua giustizia” (cf Mt 6,33): autentica, unica e sufficiente urgenza della sua vita?
Gesù cammina; il suo andare è l’immagine plastica del suo cammino di uomo radicato nella consapevolezza della sua identità e delle sue scelte, tenacemente impegnato nella fedeltà allo stile che ha voluto dare alla sua missione. È in gioco il senso della sua presenza storica nel mondo! E questo riguarda ogni essere umano. Riguarda me e te. Chi sono e come mi voglio giocare nella scena del mondo in cui sono stato posto a vivere? Da quale sogno mi lascio affascinare e di quale sogno voglio essere protagonista e costruttore? È il mio sogno? Oppure, senza rendermi conto, sto diventando schiava/o del sogno di qualcun altro? Il sogno libera il mio profondo io o lo comprime?
Di fronte a questa domanda fondamentale Gesù è una proposta viva di vita con la quale confrontarmi e davanti alla quale prendere una posizione come persona, come giovane che sogna il suo percorso e come adulto che si gioca la sua libertà personale: orientare il proprio percorso verso ciò in cui si crede e per cui vale la pena vivere, spendersi, sperare e contagiare altri attraverso la serenità che cresce dentro di sé e i frutti delle scelte.
Gesù con dolcezza si ferma; non c’è fretta; piuttosto occorre capirsi e scegliersi. Oggi Gesù si ferma con noi, con te, lungo la strada verso il sogno compiuto della vita. Ci mette a parte del suo sogno; rivela che uomo vuole essere, lui il Figlio di Dio.
GESÙ RE
A Gerusalemme Gesù riceve una corona come un re, ma di spine. Come vive Gesù il suo essere re? Il racconto dei Vangeli ci presenta un Gesù che nella sua infanzia scopre piano piano la sua identità unica, in un certo senso diversa da quella di tutti, difficile da comprendere e ancor più incredibile da mostrare. In questo possiamo sentire una somiglianza con i nostri percorsi personali di conoscenza e comprensione di noi stessi: la diversità con le paure e le sofferenze che porta con sé; lo sforzo per guardarsi dentro sinceramente; i sogni andati in frantumi. Tutto così difficile da confidare agli amici e in famiglia. Conosciamo queste sensazioni. Eppure, come è capitato a Gesù, abbiamo sentito e sentiamo di non poterci sottrarre a quella identità profonda di noi, che pian piano si è illuminata dentro. Forse ci ha definitivamente sbloccato il sentirci compresi e amati da Qualcuno a cui piaceva quella nostra umanità.
Nel deserto davanti alle “tentazioni” (Mt 4,1-11) Gesù aveva chiaramente scelto il suo stile; si era sottratto dalle logiche mortifere di potere, non si era “prostrato in adorazione”, non si era fatto “schiavo” di interessi o voglie estemporanee; non si era svenduto per la fama, le folle, le ricchezze; non aveva neppure seguito altri modelli di “maestri” e “profeti”, quelli dei palazzi e dei luoghi che contano. Era nato fuori dal villaggio e fuori dalla città morirà: tra i “piccoli”. Nel deserto Gesù aveva scelto il potere alternativo della compassione, il successo non umiliante dell’attenzione a chi è nel bisogno, il guadagno della condivisione, dell’accoglienza a tutte e tutti. Sulla croce Gesù sembrerà sconfitto, ma fedele a se stesso. Lo stile di Gesù è quello di chi si mette a fianco e fa strada insieme; e quando il peso si fa eccessivo porta il suo ed il tuo: la croce.
Gesù è “re” perché si fa “servo” di un orizzonte più grande, se ne sente parte responsabile. Fa spazio all’altro, come Dio fa spazio in sé alle nostre personali umanità da quando il suo Figlio è nato uomo, portando la nostra “carne” nel grembo di Dio. E ci mostra che la vita goduta e feconda è fare spazio, farsi “grembo” per la vita; è accogliere nei propri pensieri e nel proprio tempo, fare condivisione delle risorse, prendersi a cuore.
Questo è il ribaltamento che Gesù chiede ai suoi, il battesimo di morte e risurrezione: lasciare la vecchia concezione di vita realizzata, “rinunciare” all’idea stravecchia di potere e dominio che ha massacrato il mondo da sempre; un dominio che ha bisogno di oppressi e sfruttati, di qualcuno da escludere, su cui pestare i piedi del proprio benessere e della propria posizione. Per questo occorre “morire” per uscire dalla prigione di interessi e convenienze personali o di un proprio gruppo e “rinascere”, uscendo da se stessi verso un orizzonte nuovo, ampio[1]… e Gesù porta la vera novità: farsi “servi” pensando al plurale, non più “io”, ma il suo contrario “noi”[2].
E il ribaltamento porta gli “ultimi” in prima fila! Nella parabola che chiude la narrazione di Matteo il “re” rappresenta Gesù che si è fatto ultimo tra gli ultimi e per questo si riconosce nei “piccoli”, anzi in ciascuno, “piccolo” per condizione o per consapevolezza, si fa presente, lo si può toccare, accogliere, servire nella gratuità. E questo ribalta non solo la prospettiva e l’esperienza dei discepoli, ma ha la forza di ribaltare la realtà.
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[1] «Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene. Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria, condividendo con altri giovani il nostro affetto, il nostro tempo, la nostra fede e le nostre inquietudini. La Chiesa offre molti e diversi spazi per vivere la fede in comunità, perché insieme tutto è più facile.» Papa Francesco, Christus Vivit, 164
[2] «E la Bibbia ci dice che i sogni grandi sono quelli capaci di essere fecondi: i sogni grandi sono quelli che danno fecondità, sono capaci di seminare pace, e di seminare fraternità, di seminare gioia, come oggi; ecco, questi sono sogni grandi perché pensano a tutti con il NOI. Una volta, un sacerdote mi ha fatto una domanda: “Mi dica, qual è il contrario di ‘io’?”. E io, ingenuo, sono scivolato nel tranello e ho detto: “Il contrario di io è ‘tu’” – “No, Padre: questo è il seme della guerra. Il contrari di ‘io’ è ‘noi’”. Se io dico: il contrario sei tu, faccio la guerra; se io dico che il contrario dell’egoismo è ‘noi’, faccio la pace, faccio la comunità, porto avanti i sogni dell’amicizia, della pace. Pensate: i veri sogni sono i sogni del ‘noi’. I sogni grandi includono, coinvolgono, sono estroversi, condividono, generano nuova vita. E i sogni grandi, per restare tali, hanno bisogno di una sorgente inesauribile di speranza, di un Infinito che soffia dentro e li dilata. I sogni grandi hanno bisogno di Dio per non diventare miraggi o delirio di onnipotenza. Tu puoi sognare le cose grandi, ma da solo è pericoloso, perché potrai cadere nel delirio di onnipotenza. Ma con Dio non aver paura: vai avanti. Sogna in grande.» Papa Francesco, Discorso ai giovani, Roma 11 agosto 2018
> Le testimonianze del ritiro online “Dal Buio alla Luce: Servire è Regnare” (4-6 Febbraio 2021)