“La casta dei casti. I preti, il sesso e l’amore” raccontati da Marco Marzano
Recensione di Gianni Geraci de Il Guado di Milano
Davvero, quando si parla del clero cattolico, ha senso parlare di una “casta”? Quali sono i privilegi di cui questa casta gode? E quali sono i percorsi che permettono di accedere a questa casta?
Se uno si limitasse a leggere il titolo dell’ultimo libro scritto da Marco Marzano (“La casta dei casti: I preti, il sesso e l’amore”, Bompiani, 2021 – 240 pagine) si convincerebbe che sono queste tre domande l’oggetto principale dell’indagine che ha condotto. In realtà il libro è molto più articolato e ha il grande merito di aiutare il lettore a comprendere meglio il clero cattolico.
Innanzitutto, fa giustizia dell’idea che l’appartenenza al clero sia un privilegio: le storie che Marzano raccoglie rivelano in prevalenza il vissuto di persone ferite, che da un certo punto di vista non sono riuscite più a regger la pressione di una condizione clericale che offre molto poco e che chiede molto di più. Naturalmente, più un religioso progredisce nel cursus honorum che può premiare una determinata carriera ecclesiastica, più aumentano i privilegi e più ha senso parlare di “casta”, ma chi resta per sempre alla base della piramide del potere ecclesiastico, ben presto, si rende conto di non essere un privilegiato.
In secondo luogo, spazza tanti pregiudizi che ci sono su questi privilegi e su queste rinunce, anche perché, attraverso il racconto dei preti con cui Marzano è venuto in contatto, si scopre che la sicurezza e lo status sociale di cui i preti godono (ma ancora godono di uno status sociale privilegiato verrebbe da chiedersi dopo aver letto alcune delle storie raccontate nel libro) non si pagano tanto con la rinuncia all’esercizio dell’intimità sessuale, ma con la rinuncia a qualcosa di molto più profondo e di molto più importante: l’autenticità di una vita capace di mettere da parte qualunque ipocrisia.
A un certo punto Marco Marzano osserva che «il sesso non c’entra nulla, che non è l’oggetto della repressione» in cui consisterebbe la norma che impone al clero latino il celibato ecclesiastico.
Le storie che Marzano ha raccolto parlano di preti e religiosi che molto spesso sono sessualmente attivi e che approfittano della possibilità di avere una vita molto indipendente per vivere numerosi momenti di intimità sessuale senza peraltro impegnarsi in relazioni durature.
Naturalmente questa libertà impone a chi la pratica una doppia vita, con il carico di compromessi e di ipocrisie che una scelta del genere comporta.
Se ci si muove al di fuori di un’ottica di fede, la cosa non è poi così devastante, ma se si tiene conto che l’ideale che spinge la maggior parte dei consacrati a fare la loro scelta è la sequela di Gesù che, nei Vangeli, denuncia con decisione l’ipocrisia dei Farisei, ci si accorge di quanto questa doppia vita possa avere conseguenze drammatiche.
Il cinismo, la disinvoltura, la freddezza che emergono in molti dei racconti che Marzano ha raccolto nel suo libro non sono altro che la conseguenza della delusione e del disincanto che un tradimento di questa portata comporta.
E non è un caso che, in uno dei passaggi più felici del suo libro, Marzano, parlando degli abusi sessuali compiuti dai membri del clero, arrivi a dire che: «Agli autori delle violenze può essere certamente attribuita una responsabilità individuale per quello che hanno commesso e, nei casi in cui questa sia penalmente rilevante, e giusto che venga vagliata nei tribunali (…) Quello che però i tribunali non possono processare, perché esula dal terreno della responsabilità personale virgola è la cultura clericale (…) che ha costituito il brodo di coltura di quegli abusi e di quelle violenze».
Non si può non osservare la sintonia che c’è tra questa analisi compiuta dal sociologo e le parole di papa Francesco quando afferma che: «Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo» (cfr. Lettera al popolo di Dio del 20 agosto 2018).
Marzano, usando un linguaggio in linea con la sociologia osserva come la scelta celibataria abbia come obiettivo principale quello di giustificare la superiorità del clero sui fedeli, papa Francesco, usando un linguaggio teologico lo precede scrivendo che il clericalismo «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente» (cfr. Lettera al cardinale Oullet del 19 marzo 2016).
In sostanza, dietro al clericalismo, sia per Marzano che per il papa, c’è l’idea che viene progressivamente instillata nel giovane candidato al sacerdozio, di essere in qualche maniera “speciale”, un’idea che affonda le sue radici in un vizio strutturale che ha avvelenato il magistero della Chiesa per secoli, basta ricordare quello che san Pio X scrive nella lettera enciclica Vehementer nos, de Ecclesiae in Gallia asperrima conditione, «La Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i pastori e il gregge (…) Queste categorie sono così nettamente distinte fra loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri della società; quanto alla moltitudine non ha altro diritto che di lasciarsi guidare e seguire, come un docile gregge, i suoi pastori».
Può la Chiesa liberarsi da questo retaggio e trovare il modo di dire parole liberanti sia ai suoi laici, che continuano a vivere la soggezione di una condizione considerata inferiore, sia ai suoi chierici, che sentono il peso dell’ipocrisia che c’è dietro a una condizione clericale che fa della “sacralità” uno dei suoi fondamenti?
Secondo Marzano la risposta è «No!». Lo dice chiaramente quando osserva che una Chiesa che cercherà di uscire delle logiche che he hanno incrostato la vita, è destinata alla perdita di qualunque significanza.
Secondo me, invece, la risposta, non è soltanto un «Sì» deciso, ma è anche un sì pieno di speranza, perché una Chiesa che perde potere è una Chiesa che deve riscoprire la povertà e l’umiltà, due caratteristiche che la renderebbero molto più evangelica.
Di certo, in quella Chiesa, non ci sarebbe posto per quegli abusi che hanno spinto Marco Marzano a scrivere il suo libro. E questa, a pensarci bene, sarebbe l’unica conseguenza negativa di una scelta così radicale, perché La casta dei casti, non solo permette di recuperare, con il supporto di un lavoro di ricerca imponente, una visione di Chiesa più autentica e più evangelica, ma permette anche, a chi lo legge, di godersi il piacere della bella scrittura a cui Marco Marzano ci ha abituato in tutti i suoi libri.