Lesbiche. Riflessioni di genere e stili di vita delle donne omosessuali italiane
Dialogo di Katya Parente con la ricercatrice Rossella Gaudiero
Lei è una giovane donna curiosa, e si chiama Rossella Gaudiero. Di questa curiosità ha fatto tesoro scrivendo una tesi, poi diventata libro, sul lesbismo nostrano: infatti è autrice di “Lesbiche. Riflessioni di genere e stili di vita delle donne omosessuali italiane”, volume del 2017 edito da PM Edizioni.
Se non mi sbaglio, questo libro è, sostanzialmente, la tua tesi di laurea. Di che percorso di studi è il coronamento?
Sì, praticamente ho pubblicato la mia tesi di laurea, rivista in qualche punto, aggiornata e riorganizzata. Ho intrapreso un corso di studi triennale in Sociologia, e ho scelto la Magistrale in Sociologia e Ricerca Sociale, indirizzo Politiche Sociali e del Territorio, che mi ha davvero appassionato.
Perché una tesi su questo argomento?
I motivi sono molteplici, uno tra questi, il più semplice, è stato la curiosità. Ho sempre voluto capirci qualcosa in più in merito all’omosessualità. Ancora oggi siamo spettatori di episodi di discriminazioni nei confronti di gay, lesbiche, transessuali, transgender, e tutto quello che si ritiene lontano dalla “presunta normalità”, e avevo voglia di capire da dove derivasse l’intolleranza nei confronti di queste persone.
La scelta di incentrare il mio lavoro sulle donne, e non sugli uomini, è stata dettata da una sorta di, potremmo definirla, empatia: mi era passato in mente che, essendo donna, sarei riuscita a capire delle sfumature che, credo, un uomo non avrebbe facilmente colto, quindi ho ritenuto giusto che fossi proprio io a fare un tale lavoro di ricerca.
Altro motivo, non meno importante degli altri, anzi, è la questione della subordinazione ed inferiorizzazione della donna, che può essere enormemente ampliata se si considera anche la dimensione dell’orientamento sessuale. L’invisibilità sociale che ha caratterizzato il sesso femminile nei secoli ha tratteggiato, sul versante dell’omosessualità, i confini dell’identità lesbica evidenziando il doppio stigma a cui le donne omosessuali devono far fronte: quello di genere e quello di orientamento sessuale.
La storia del femminismo risulta essere, per questo, strettamente connessa con le rivendicazioni di parità dei diritti della popolazione omosessuale. I punti di contatto sono molti, ma risulta di particolare importanza rintracciare, dentro il secolare sistema di disuguaglianze di genere, le radici della negazione, discriminazione e punizione delle esistenze lesbiche. Non è possibile non evidenziare come ci sia, in Italia e nel mondo, un’emergenza discriminazione per le lesbiche, che scontano questo doppio stigma.
L’invisibilità a cui ho accennato prima l’ho riscontrata nella difficoltà di trovare del materiale bibliografico e non che riguardasse le donne lesbiche.
Ce ne parli un po’ più nello specifico?
L’oggetto di studio del mio volume “Lesbiche: riflessioni sul genere e stili delle donne omosessuali italiane” nasce dall’intento di analizzare la dimensione dell’omosessualità femminile. L’analisi è condotta attraverso una serie di riflessioni sul concetto di genere e attraverso la ricerca degli stili di vita di queste donne. La ricerca è, infatti, caratterizzata da un forte interesse verso la vita quotidiana delle donne omosessuali, e dall’influenza dei processi storici e macro-sociali che ne indirizzano le scelte di vita.
L’indagine si dirige verso l’esplorazione delle soggettività femminili negli anni passati fino al giorno d’oggi attraverso diverse questioni, dalla discriminazione di genere e orientamento sessuale fino ad arrivare a conoscenza della quotidianità (ovvero delle abitudini) e della costruzione di relazioni sociali che definiscono il loro ambiente di vita.
Ciò viene perseguito mediante un’indagine di determinate traiettorie dei corsi di vita dei soggetti intervistati: la scoperta dell’orientamento sessuale, il rapporto con la famiglia d’origine, il coming out, il rapporto di coppia, il lavoro, l’associazionismo, i servizi in città di cui usufruiscono, gli spazi di socialità, il turismo, ed in corso d’opera, successivamente dall’obiettivo di ricerca iniziale, è risultato particolarmente interessante indagare sull’aspetto dell’omogenitorialità.
L’approccio di ricerca utilizzato per l’indagine è di tipo qualitativo, con l’impiego di interviste semi-strutturate. Le interviste sono state realizzate attraverso due tipi di contatti: quello dell’intervista face to face, in cui è avvenuto un incontro personale con l’intervistata, e attraverso mezzi telematici, grazie all’ausilio di Skype, in cui è avvenuta sì un’interazione, ma mediata da un supporto tecnologico.
Il volume consta di tre capitoli. Il primo si focalizza sul concetto di genere come categoria socialmente appresa, in cui il soggetto di sesso femminile è posto in subordinazione rispetto a quello maschile, la cui concezione è avvalorata, in itinere, da accenni di studi sull’antropologia e sulla differenziazione fisiologica e biologica. In questa parte del testo l’analisi sulle dimensioni di genere e gli orientamenti sessuali passa attraverso il contributo delle correnti sociologiche che si sono succedute nel tempo, fino a considerare la donna come vittima di un doppio stigma, appunto, quello di donna e quello di lesbica.
A tal proposito, interessante è risultata la questione riguardante la rappresentazione sociale. In primis, attraverso la letteratura: gli spunti teorici di Simone de Beauvoir e Virginia Woolf hanno evidenziato la condizione femminile nell’Ottocento e nel Novecento, con riferimento al lesbismo in un’ottica di analisi materialistica della condizione delle donne. Così come in letteratura, anche le rappresentazioni cinematografiche e i media hanno attribuito in passato scarsa attenzione al mondo femminile, soprattutto se omosessuale.
Con la Feminist Film Theory si è investigato il variegato mondo delle rappresentazioni sociali del femminile, ponendo attenzione ai modi in cui il discorso cinematografico impone una determinata visione del mondo. La rappresentazione sociale dell’omosessualità femminile attraverso mezzi di comunicazione quali letteratura e cinematografia rivela le modalità con cui venivano e vengono rappresentati i gruppi contraddistinti da differenze, e come la nostra comprensione/visione di un particolare gruppo sociale si costruisce attraverso l’utilizzo di stereotipi.
La riflessione ha, infine, evidenziato come con il passare dei secoli la figura della donna comincia ad acquistare la sua emancipazione, la sua dignità, il suo valore. La presa di coscienza della disuguaglianza, le posizioni politiche che ne sono conseguite, il movimento, la sua azione, il contraccolpo che la società civile ne ha ricevuto e le risposte che ha dato, insieme ai ceti politici: tutto questo ha portato in primo piano la riflessione femminista, sollecitandola a dotarsi di categorie di analisi e di ipotesi per l’indagine storica e teorica.
Nel secondo capitolo si è proceduto, attraverso un breve excursus sulla scoperta dell’omosessualità, dalla depatologizzazione ed eliminazione dal Manuale statistico e diagnostico delle malattie mentali (DSM) all’individuazione delle caratteristiche dell’“omosessualità moderna” (Barbagli et al., Omosessuali moderni), nata quando determinati comportamenti cominciarono ad essere visti come i segni e le manifestazioni di un tipo particolare di inclinazione, di personalità, di identità sessuale deviante.
Questa parte del volume ha focalizzato l’attenzione sulle prime ricerche dell’Ottocento realizzate sulla “devianza femminile” in ambito medico e psichiatrico, cioè prettamente condotte in carceri e manicomi, fino all’espansione della ricerca in ambienti considerati “normali”, quali collegi e scuole, dove la bisessualità era accettata come “fenomeno normale”, almeno fino all’adolescenza.
In questo capitolo si evidenzia la pervasiva invisibilità sociale della vita delle lesbiche, caratterizzata, almeno fino alla prima metà del Novecento, dall’assenza dell’idea di identità collettiva o di comunità: le donne, pur vivendo una vita sentimentale ricca e complessa, e intrattenendo in alcuni casi relazioni di lunga durata, erano scarsamente a conoscenza del concetto stesso di “omosessualità femminile”. Nei decenni successivi, la maggiore visibilità delle lesbiche contribuì alla nascita di associazioni come Arcilesbica, intese a tutelare i diritti delle lesbiche.
Il terzo ed ultimo capitolo riguarda invece l’analisi e la presentazione dei dati della ricerca sul campo. I soggetti intervistati sono stati intercettati per la conduzione dell’indagine da associazioni quali Arcilesbica Napoli “Le Maree” e “Famiglie Arcobaleno”, e attraverso contatti personali.
L’approccio di ricerca utilizzato per l’indagine è di tipo qualitativo, poiché la somministrazione di questionari avrebbe comportato una perdita di informazioni rilevanti, o una distorsione di interpretazione dei quesiti. Ho optato, dunque, per interviste semi-strutturate, attraverso cui le donne intervistate sono stati lasciate libere di raccontarsi e di raccontare di tutto ciò che riguardasse la propria vita, il proprio vissuto ed esperienza rispetto alla propria omosessualità.
Nelle conclusioni sono state analizzate in maniera minuziosa e dettagliata due delle dimensioni trattate nell’indagine — socialità e omogenitorialità —, e operato degli opportuni confronti tra alcuni dati ricavati dalle interviste. Infine, sono state sviluppate alcune riflessioni sull’esito complessivo dell’indagine, per rispondere all’intento che ha guidato l’intera ricerca.
Con questa ricerca sono stati raccolti dati su un tema, almeno allora, quasi del tutto inesplorato dalla ricerca italiana: lesbismo e omogenitorialità. Per questo motivo, e per la scarsa visibilità del fenomeno nella società, l’intercettazione dei soggetti da intervistare, la messa a punto degli strumenti, la loro amministrazione e l’analisi dei dati raccolti hanno richiesto molta attenzione ed energia.
Di solito le tesi rimango inedite. Ci parli un po’ dell’iter della pubblicazione?
Ho scelto di dare “visibilità” alla mia ricerca proprio in nome di quella invisibilità di cui abbiamo parlato. Questo studio, offrendo alcuni spunti di riflessione e di approfondimento sul tema dell’omosessualità femminile, e talvolta dell’omogenitorialità, aveva l’intenzione di essere da stimolo a iniziare una ricerca sistemica su tali fenomeni, poiché gli aspetti e le connessioni evidenziate sono relativi ad un campione di convenienza non rappresentativo di una popolazione, quelle delle lesbiche, madri e non, che in Italia non è stata precisamente quantificata.
Il mio intento era che, attraverso la diffusione dei risultati della mia ricerca, si sarebbe potuto dare un forte contributo per sostenere le sfide che le donne affrontano quotidianamente nella società e sfatare miti e stereotipi, abbassando così i livelli di discriminazione e stigmatizzazione, ancora oggi presenti.
Il tuo per le lesbiche è un interesse “una tantum”, o si inserisce in un quadro di attivismo?
Nel 2014 sono entrata nel gruppo di ricerca dell’Osservatorio LGBT, istituito nel 2014 dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, primo del suo tipo presso un ente pubblico universitario in Italia. Si tratta di una piattaforma scientifica, aperta e gratuita, sui temi LGBT, del genere e delle identità sessuali.
A titolo gratuito, scrivo articoli e aggiornamenti in merito alle tematiche LGBT per favorire la formazione e l’informazione su queste tematiche sociali, che considero di rilevante importanza, quindi provo a fare “attivismo” attraverso la diffusione dei miei articoli.
Una realtà ambiziosa, di cui ho già scritto altrove, quella a cui la nostra autrice si è associata, come il libro da lei scritto, entrambi contributi per la conoscenza di un ambito della società, quello omosessuale, a volte visto ancora in maniera parziale e distorta. Ringraziamo ancora Rossella per il suo impegno. Ci auguriamo che non cada nel vuoto.