Su omosessualità e Chiesa per l’abate Pralon: “dobbiamo cercare insieme”
Intervista all’abate Joel Pralon di Raphael Zbinden pubblicata sul portale cattolico www.cath.ch (Svizzera) il 18 marzo 2021, traduzione di finesettimana.org
Il recente decreto del Vaticano che ricorda l’illiceità della benedizione delle unioni omosessuali provoca vive reazioni. L’abate Joel Pralon, direttore dell seminario della diocesi di Sion, ritiene che sarebbe ora di approfondire questi temi al di là dell’aspetto emotivo e delle rivendicazioni.
L’abate Pralong ha una lunga esperienza di accompagnamento pastorale. Tra le persone con le quali ha fatto il suo percorso, un certo numero aveva problemi con la propria omosessualità. Il direttore del seminario di Sion, a Givisiez, ha presentato il suo approccio a questa realtà nel suo libro Eglise et homosexualité, un accueil si difficile!, uscito nel 2020. Reagisce al responsum pubblicato il 15 marzo 2021 dalla Congregazione per la dottrina della fede (CDF), che ricorda il carattere non lecito delle benedizioni delle unioni omosessuali.
Qual è stata la sua impressione leggendo la nota della Congregazione per la dottrina della fede?
Il contenuto in quanto tale non mi ha stupito, perché non fa che ripetere dei principi che fanno parte da tempo delle dottrina della Chiesa e che si trovano in particolare nel Catechismo: il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna. Questa è una cosa storica, e per il credente questa verità è presente fin dalle prime pagine del libro della Genesi. Peccato però che questo testo venga considerato dal punto di vista “legalistico”, evidentemente!
Che cosa vuol dire?
Alludo alla nota finale, secondo la quale “Dio non può benedire il peccato”, frase molto stigmatizzante. Dire questo è sfondare una porta aperta! Che Dio non benedica il peccato, è ovvio. Ma benedice i peccatori, no? Soprattutto, questa frase interrompe la discussione ed allontana le persone coinvolte. È una frase che esprime un giudizio e contraddice ciò che precede: che bisogna accogliere le persone con delicatezza. Si ha l’impressione che essere omosessuali sia un peccato. Questo non aiuta ad approfondire la realtà dell’omosessualità né a dialogare con la Chiesa.
Eppure si aveva l’impressione di un’apertura del papa in questo ambito. Le porte si sono richiuse?
Il papa mette la persona al centro, prima della dottrina. Vuole favorire l’accoglienza e l’accompagnamento degli omosessuali nella Chiesa. Ma è chiaro che la nota della CDF può dare l’impressione che il papa apra la porta e che la curia la richiuda. Mentre i due non si posizionano di fatto sullo stesso terreno. C’è la posizione dottrinale e quella pastorale.
Comprende le reazioni a volte indignate al decreto?
Per me, c’è troppa emotività nel dibattito. Bisognerebbe passare alla ragione ed avere una discussione serena.
Che cosa lo impedisce?
La sessualità è certamente un tema sensibile. Non solo nella Chiesa ma in tutta la società. È una cosa complessa nell’essere umano. Nella Chiesa, c’è una gran paura di questi temi, unita ad una omofobia latente. Da entrambe le parti, si dialoga sulla base di rivendicazioni, tipo “ho il diritto/non ho il diritto”. Mentre bisognerebbe innanzitutto ammettere la complessità dell’argomento, prima di lanciare anatemi. La legge porta in un vicolo cieco e sbarra la strada all’umano. Per cui, sia il rivendicare la benedizione che il porre dei veti, restano sul piano legale, il che impedisce una riflessione di fondo.
La Chiesa quindi non ha un atteggiamento adatto?
La Chiesa resta fedele alla dottrina. Ma poi bisogna andare nel concreto, ascoltare Dio che parla anche attraverso la vita delle persone; la teologia del popolo è complementare alla teologia dei manuali. San Tommaso d’Aquino sottolinea l’importanza dei principi morali, di una morale generale applicabile a tutti. Ma dice anche che più ci si avvicina alle realtà singolari, più ci sono eccezioni. La dottrina non può rinchiudere tutto il mistero dell’uomo e di Dio. Nel suo modo di comunicare, la Chiesa dovrebbe essere più pastorale.
Certo, con tutti i problemi che si trova ad affrontare la Chiesa in questo momento, darà prova di maggiore umiltà nella sua comunicazione. Avendo accompagnato persone omosessuali, so fino a che punto questo genere di comunicazione può far soffrire. Non solo le persone coinvolte direttamente, ma anche i loro cari. Mi pongo già il problema di come, noi pastori, riusciremo a rimediare ai danni causati.
Che cosa dovrebbe mettere in campo la Chiesa per avviare un vero dialogo?
Proporrei la creazione di gruppi pluridisciplinari, a livello locale, che potrebbero riflettere su questi argomenti. Con la partecipazione di responsabili di Chiesa, medici, psicologi, ricercatori.
Si ha però l’impressione che, in materia di sessualità, la Chiesa non tenga granché conto delle conclusioni della scienza...
Da moltissimo tempo c’è una diffidenza reciproca tra Chiesa e scienza. Eppure, per me sono due ambiti indissociabili l’uno dall’altro e che devono alimentarsi reciprocamente. Anche nel campo della sessualità umana.
Allora, per lei, il decreto della CDF non è un punto d’arrivo definitivo?
La Bibbia ci dice che lo Spirito Santo ci guiderà “alla Verità tutta intera”. E io credo che non ci siamo ancora arrivati, è normale! Come ho detto, è importante che, nei due ambiti, noi adottiamo un atteggiamento di umiltà di fronte a ciò che va oltre noi. Intendo di fronte all’amore, di ciò che questo significa per Dio, il cui sguardo va ben oltre quello degli uomini.
Anche mantenendo dei riferimenti importanti, dobbiamo veramente restare umili davanti a queste realtà che ci travalicano. È importante, prima di giudicare, valorizzare ciò che è bello e costruttivo in una relazione, qualsiasi relazione, per interrogarsi insieme su ciò che la costruisce o la distrugge. La morale cristiana è una morale dell’amicizia. E l’amico vuole il meglio per l’amico. Dobbiamo cercare insieme…