Lettera aperta a Andrea, che non ce l’ha fatta a sopportare chi lo scherniva
Lettera aperta di Gianni Geraci del Guado di Milano scritta il 22 novembre 2012
Il 20 novembre del 2012 spinto dai continui atti di bullismo che doveva sopportare nella scuola che frequentava, si suicidava a Torino Andrea Spezzacatena, un ragazzo di quindici anni che tutti prendevano in giro per i pantaloni rosa che ogni tanto indossava.
Nei giorni del suicidio il nome del ragazzo non era stato reso noto dalla stampa, ma l’indignazione per un episodio così grave spinse molte persone a colorare di rosa i loro profili social per esprimere solidarietà a tutte le vittime del bullismo fondato sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale.
Gianni Geraci, che allora era portavoce del Guado, aveva pubblicato sulla pagina FB del gruppo una lettera che, alla luce del successo del film che in questi giorni è nelle sale cinematografiche, ricostruisce la vicenda del “ragazzo con i pantaloni rosa” e può offrire alcuni elementi di riflessione. Ve la riproponiamo qui.
Ti chiamavi Andrea, ma i tuoi compagni ti chiamavano «il ragazzo dai pantaloni rosa» e, da un anno, pubblicavano foto e commenti contro di te: ti prendevano in giro per il tuo look eccentrico, ti schernivano con risatine e commenti pesanti, ti disprezzavano per la tua omosessualità.
Sembravi forte. E forse, dietro agli insulti c’era anche un po’ di quell’ invidia che tutti i pecoroni hanno nei confronti di chi ha il coraggio di fare le sue scelte senza ipocrisia.
Ti credevano forte. Ma un ragazzino di quindici anni è pur sempre un adolescente con il suo bisogno di sentirsi accettato per quello che è, con il suo bisogno di sentirsi amato così com’è, con il suo bisogno di sentirsi apprezzato anche quando fa scelte che vanno controcorrente.
Ti credevano forte, ma alla fine non ce l’hai fatta. Chissà cosa è scattato se, dopo più di un anno passato a sopportare gli insulti di una pagina Facebook fatta apposta per deriderti e per prenderti in giro, hai deciso di toglierti la vita?
Forse la sensazione di essere giunto a un punto di non ritorno. Forse una delusione che ha aggiunto solitudine a solitudine. Forse un’osservazione di troppo, che ha trasformato una diversità portata con fierezza in una croce troppo pesante per un ragazzo che è appena uscito dall’infanzia.
I tuoi amici adesso sono sconvolti e stanno facendo di tutto per dimostrare a se stessi e al mondo quanto ti volessero bene. Ma prima cosa facevano? Oh, sì! Se erano veri amici non si univano certo al coro di chi ti prendeva in giro!
Ma nel difenderti quanto coraggio mostravano?
Me lo chiedo perché credo che, di fronte a una situazione come quella che ti ha portato al suicidio, il rischio sia sempre lo stesso: non fare nulla perché si resta bloccati dalla paura di condividere fino in fondo la sorte di chi viene insultato per la sua diversità.
Se ci pensi bene è quello che fa Gesù quando si trova di fronte alla morte di Lazzaro. Prima piange tant’è vero che qualcuno esclama: «Vedi come lo amava!» mentre altri dicono: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Poi risponde a tutti riportando in vita Lazzaro proprio perché sa di essere disposto a condividerne fino in fondo la sorte, perché di lì a poco accetterà di morire.
E anche noi vorremmo fare quello che ha fatto lui: riportarti in vita e farti sentire quanto l’affetto di chi ti vuol bene sia più grande dell’ostilità di chi ti insultava e di fronte a un’ingiustizia così crudele come quella che ti ha allontanato in maniera così violenta dalla vita mi chiedo come mai non siamo capaci di fare un miracolo così grande.
Poi penso che un miracolo, anche noi, qui ed ora, lo possiamo fare: lavorare con impegno e con perseveranza perché quanti odiano chi è diverso apra finalmente gli occhi e veda quello che ciascuno dovrebbe riconoscere: che il rosa, in realtà, è il colore più bello del mondo.
Ciao Andrea, ci rivediamo in Paradiso, dove i tuoi pantaloni rosa saranno così belli da meravigliare gli angeli.