Cacciata di casa perché ama una donna
Articolo di Elena Stancanelli pubblicato su LA STAMPA del 12 aprile 2021, pag.19
“Ma che vita pensi di andare a fare, a fare la lesbica in giro additata da tutti? Di’ a quella lesbica di merda che se l’acchiappo gli strappo il cuore dal petto e la sbrano in mille pezzi. L’altra gente? L’altra gente è fortunata perché i figlioli li hanno normali, e solo noi s’ha uno schifo così”.
Chi parla – grida, insulta, sputa – è una madre. Potete ascoltarli questi messaggi vocali che Malika, 22 anni, ha ricevuto in risposta alla lettera nella quale confessava di essersi innamorata di una donna. In un video nel quale spiega che dentro il suo telefono c’è anche di peggio – speriamo che ti venga un cancro, non ti avvicinare che sennò ti ammazziamo, preferiamo cinquant’anni di carcere ma vederti morta… – e mentre lo dice, a Malika si spezza la voce per l’angoscia.
Subito dopo è stata cacciata di casa. Il paese, Castelfiorentino (provincia di Firenze), la difende da quella madre spaventosa, da quella rabbia. Il sindaco, gli amici hanno aperto una colletta, la gente intervistata per strada è sgomenta. Si chiedono come sia possibile una tale ferocia in risposta a una semplice dichiarazione d’amore.
A volte le famiglie sono così, universi concentrazionali capaci di generare odio e violenza di intensità inspiegabile in circostanze normali. Claustrofobiche e paranoiche, ossessionate dal giudizio del mondo che incomberebbe come una condanna.
Nelle famiglie talvolta avvengono massacri psicologici di cui si tace a meno che non si trasformino in reali mattanze. Ma tacendo, il rischio di passare dall’urlo al coltello aumenta. E’ stata brava Malika, coraggiosa, nel denunciare i suoi genitori e rendere pubblica l’aggressione di cui è stata vittima. Cacciata da casa per nessuna colpa, ha reagito. Ci saremmo aspettati che, sbollita l’indignazione, la madre si scusasse, o almeno tacesse.
Al contrario: dopo aver ribadito la sua indignazione per quella figlia anormale, ha educatamente spiegato quanto grave fosse che li avesse “sputtanati”. Mostrando le prove di quel massacro, rendendo pubblici i vocali ricevuti sul telefono.
La rete ti sputtana, l’informazione ti sputtana, la denuncia ti sputtana. Cioè solleva un coperchio, permette a tutti di guardare dove non vorremmo, dove teniamo nascosto l’inaccettabile. Che però pretendiamo sia accettato.
Una madre pretende di poter dire alla propria figlia quello che abbiamo sentito, sulla base del fatto che è sua madre, ma allo stesso modo pretende che nessuno lo venga a sapere dalla sua stessa voce perché in questo modo diventa evidentemente inaccettabile. Una madre non è omofoba in un contesto nel quale l’ornofobia è la legge alla quale attenersi. Così un padre può essere razzista perché è un padre o un marito violento perché è un marito…
Ogni gruppo di persone unite da un legame, secondo quanto espresso dalla madre di Malika, può rivendicare la propria misoginia, omofobia, razzismo o quant’altro, può aggredire con quella violenza sapendo di essere protetta da un vincolo di segretezza. Ecco: no. Una civiltà serve esattamente a questo, a impedire che chiunque possa imporre le proprie idiosincrasie, la propria spaventosa idea di mondo a qualcun altro, sottomettendolo in virtù di un supposto vincolo sentimentale, affettivo, familiare.
E’ esattamente per questa ragione che esistono le leggi, e esattamente per questa ragione deve essere approvata la legge contro l’omotransfobia. Per impedire che chiunque possa arrogarsi i diritto di stabilire cosa è normale e cosa non lo è, trasformando in un incubo 1’esistenza di qualcuno solo perché è diversa dalla propria.