‘Oltre le colline’, ovvero il Calvario di una ragazza lesbica
Recensione tratta dal sito del gruppo Kairos di Firenze, 19 novembre 2012
E’ recentemente passato nelle sale un film forte e intenso che mette in scena con distaccato realismo la lotta tra l’amore di una ragazza lesbica e le convinzioni rigide di una comunità religiosa chiusa alla contemporaneità.
Dai titoli di testa si capisce che “Oltre le colline” del rumeno Mongiu, premiato alla scorsa edizione del festival di Cannes, è ispirato a un fatto di cronaca. Alcuni anni fa una giovane donna morì in un convento ortodosso della Romania dopo essere stata sottoposta a un rito di esorcismo dalla comunità religiosa.
Alina è una giovane che è sola al mondo, torna in patria dopo essere emigrata in Germania per ritrovare Voichita l’amica del cuore conosciuta in orfanotrofio e che ora è novizia in uno sperduto convento della Moldavia.
Alina va a trovarla in convento con l’intento mal celato di farle cambiare idea e di farla fuggire con lei. Ma adesso Voichita non è più quella di una volta: sebbene sia ancora legata da affetto sincero all’amica a frapporsi tra di loro ora ci sono Dio, la comunità religiosa e il sacerdote che la guida che per la giovane sono diventati la famiglia che non ha mai avuto.
Quando la laica Alina assieme all’amica varca la soglia del monastero ben presto entrerà a far parte di un mondo che non le appartiene e dal quale viene percepita come un corpo estraneo. Qui le religiose vivono senza gas ne luce elettrica e il sacerdote venerato quasi come un santo vede nel modo moderno come la pancea di tutti i mali.
Il dramma si sviluppa attorno al legame complesso che lega le due ragazze incapaci di gestire e di vivere la propria affettività vissuto in un contesto repressivo che farà sprofondare Alina, la più fragile delle due a un destino crudele.
La ragazza non riuscirà a strappare l’amica alla sua vocazione e ben presto le sue manifestazioni di insofferenza e ribellione verso le regole imposte verranno interpretati dai religiosi come peccato/malattia e poi come possessione demoniaca. Una via crucis di 150 minuti con alcune scene che sfiorano il grottesco come quando Alina viene costretta sotto lo sguardo indagatore delle monache a spuntare sulla lista che elenca tutti i peccati riconociuti dalla chiesa ortodossa, quelli che lei ha commesso.
Il regista ha voluto raccontare il tutto con distacco senza dare dei giudizi sull’operato dei personaggi. Questo realismo quasi verista fanno del film un opera ricca di significati e di suggestioni. “E’ soprattutto un film sull’amore e sulla libertà di coscienza: su come l’amore può trasformare i concetti di bene e male in concetti molto relativi.” ha affermato il regista, aggiungendo: “Molti dei grandi errori di questo mondo sono stati commessi nel nome della fede e con l’assoluta convinzione di agire per una buona causa”.
La conclusione sarà come nella realtà, tragica. Il film almeno suggerisce nel finale un cambiamento da parte della giovane novizia Voichita, che inizia ad avere dei dubbi e a sfiorare l’idea che forse un’altra vita esiste oltre quelle colline, oltre le mura del convento.
Questa nuova consapevolezza arriverà, paradossalmente proprio di fronte a un sacrificio d’amore disperato, martoriato, legato e imbavagliato a un legno… a forma di croce.