«Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Gv 15,12). Ecco perché veglierò!
Riflessioni di Gianni Geraci del Gruppo Il Guado di Milano su Giovanni 15, 12, versetto biblico delle Veglie per per il superamento dell’omotransbifobia 2021
Provate a immaginare la scena: Gesù e i suoi discepoli sono seduti a tavola per festeggiare la Pasqua; il clima è particolare, perché Gesù, «sapendo che era giunta la sua ora», «dopo aver amato i suoi» decide di amarli «sino alla fine» (Gv 13,1); loro, se da un lato sono senz’altro contenti, dall’altro sono disorientati dalle tante parole misteriose che Gesù sta dicendo. Una cosa però è chiara: Gesù chiede loro di amarsi a vicenda con un’insistenza che non può lasciare indifferenti, perché questo «comandamento nuovo», viene infatti ripetuto per ben quattro volte (13,34; 13,35; 15,12; 15,17).
Anche noi, come loro, non possiamo svicolare: se vogliamo davvero seguire Gesù dobbiamo amarci gli uni gli altri! Ma è questo quello che davvero stiamo facendo? Ed è questo quello che nella Chiesa facciamo quando abbiamo a che fare con le persone LGBT e con le violenze che subiscono?
Una risposta capace di riassumere tutte le situazioni, naturalmente, non la si può dare, perché, mentre in alcune Chiese le persone omosessuali e transessuali vengono trattate con rispetto e con delicatezza e, quando vengono aggredite, o vengono insultate, o vengono additate come meritevoli di disprezzo e di discriminazione, sentono parole concrete di solidarietà, ci sono altre realtà ecclesiali in cui si fa fatica a intravedere un atteggiamento di inclusione, di accoglienza, di amore.
Qualcuno si ricorda, per esempio, di qualche vescovo italiano che è mai intervenuto per condannare un episodio specifico in cui le persone omosessuali e le persone transessuali sono state «oggetto di espressioni malevole e di azioni violente»? Eppure la frase che ho appena citato tra virgolette è la stessa che si legge nel più articolato documento che il magistero cattolico ha dedicato all’omosessualità (cfr. Homosexualitatis Problema, 1986) che, per sgomberare il campo da qualunque equivoco, aggiunge che questi episodi vanno deplorati «con fermezza» e che «simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino».
Dove sono allora i nostri pastori, quando, nel nostro paese, sono vengono uccisi degli omosessuali o dei transessuali? Dove sono tutte le volte che, nel nostro paese, gli omosessuali e i transessuali vengono picchiati, vengono insultati, vengono bullizzati e spinti verso gesti disperati ed estremi? Possibile che i vescovi italiani non conoscano a fondo la Homosexualitatis problema? O forse, dietro ai loro silenzi c’è il fatto che, quando si parla di omofobia e di transfobia, travolti dai tanti distinguo e dai gridi d’allarme che certi “profeti di sventura” seminano nella chiesa, hanno paura di seguire fino in fondo le raccomandazioni di una lettera che era stata scritta appositamente per loro?
Il rischio che si corre di fronte a questo rumoroso silenzio è quello di farsi prendere dalla rabbia e di puntare il dito, ma le veglie per le vittime dell’omofobia e della transfobia di quest’anno, ci debbono insegnare a superare questo rischio e ad amare questi vescovi così assenti con lo stesso amore con cui Gesù ci ha amati. E con lo stesso amore dobbiamo amare anche quelle persone che si oppongono a qualunque tutela specifica per le persone LGBT e che sostengono che qualunque forma di riconoscimento della loro esperienza, non è altro che il frutto di una non meglio identificata «menzogna del potere».
Forse, toccati da questo amore, anche i nostri vescovi, anche coloro che parlano della nostra tutela e dei nostri diritti come del frutto di un complotto, mossi dall’amore con cui Gesù ci ama, capiranno che la paura e il sospetto hanno avvelenato il loro cuore e, finalmente, sapranno dire a noi, che siamo diversi, parole di inclusione e di solidarietà.
Potremo così vivere fino in fondo quell’esperienza che san Giovanni della Croce descrive quando scrive: «Se non c’è amore. Metti amore. Troverai amore».
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