La Croce è il cuore della fede cristiana?
Riflessioni* di Élian Cuvillier** pubblicate sul mensile protestante liberale Évangile et Liberté (Francia) n° 345, gennaio 2021, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Bisogna forse farla finita con la Croce quale simbolo del cristianesimo, simbolo il più delle volte compreso come sacrificio espiatorio?
Paolo sarebbe il principale colpevole di questo fraintendimento: “Poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso” (1 Corinzi 2:2); ma, prima di lui, troviamo Gesù Cristo: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16:24).
La crocifissione interpretata a partire dalla Resurrezione occupa un posto centrale nel pensiero di Paolo: per lui, la Croce attesta, in maniera paradossale, la divinità e l’alterità di Dio, il quale si rivela diverso da ciò che ci si aspetta da Lui. Si trova dove non Lo cercheremmo mai: nella morte di un crocifisso (1 Corinzi 1:18-25).
Siamo lontani dalla logica del sacrificio tradizionale, in cui bisogna placare la collera di un Dio che reclama una vittima espiatoria sostitutiva: sulla croce, Dio solidarizza con l’uomo rifiutato, e “sacrifica” in un certo senso la sua divinità per lasciarsi incontrare dove non Lo andremmo mai a cercare. Se c’è qualcosa da sacrificare, è la rappresentazione di un Dio Onnipotente e temibile.
Seguendo Paolo, la croce di Cristo porterà con sé il tema della morte di Dio: non è solamente l’uomo Gesù a morire sulla croce, bensì Dio stesso. Ora, parlare della morte di Dio, come osò fare, a suo tempo, Lutero, significa affermare che sulla Croce muore una determinata figura divina. Il sacrificio, se di sacrificio si tratta, è il sacrificio del Dio che reclama sacrifici, e che ne trae soddisfazione. Abramo intendeva offrire suo figlio in sacrificio (Genesi 22), e invece è un ariete, simbolo della divinità arcaica, del padre primitivo, a venire ucciso, figura immaginaria del padre che deve morire.
Qui troviamo una figura immaginaria di Dio che muore sulla Croce, menzionata da Gesù che prega “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. C’è il dio che abbandona Gesù, e c’è quello che Gesù abbandona di dio, ovvero quello che noi dobbiamo abbandonare e lasciar morire di dio, ed è questo che è in gioco sulla Croce. La manifestazione dell’amore gratuito di Dio non può compiersi senza un sacrificio, senza una perdita, ovvero il sacrificio del dio che esige sacrifici.
Come possiamo comprendere, da questo punto di vista, questa parola di Gesù: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” (Matteo 16:24b-25)?
Non si tratta di negare ciò che ci forma nel profondo, la nostra soggettività, in un certo senso, ciò che costituisce la nostra singolarità e che solo Dio, non noi, conosce pienamente: il nostro intimo! Si tratta di negare noi stessi, vale a dire quell’io che non è il soggetto, bensì un ammasso di immagini con le quali ci costruiamo di fronte agli altri, immagini certamente indispensabili ma che non dicono la nostra essenza, o più precisamente, non dicono cosa sia l’io.
Questo io conviene effettivamente negarlo, vale a dire, negare che possa essere fondamento autentico, solido e duraturo dell’esistenza. Conviene porlo sulla croce, non quella di Cristo, ma quella che portiamo noi, la nostra, quella di quell’io al quale sacrifichiamo senza sosta la nostra vita, sperando così di salvarla, mentre in realtà la perdiamo ripiegandoci su noi stessi, vale a dire sul nostro ego.
Vediamo così che, liberata dall’interpretazione espiatoria, la Croce conserva tutta la sua pertinenza per parlare di Dio con Paolo, e dell’essere umano con Gesù. Ancora una volta, dobbiamo compiere lo sforzo dell’interpretazione: ignorare la questione sarebbe senza dubbio più facile, ma certo non ci farebbe onore.
* I passi biblici sono tratti dalla versione Nuova Riveduta.
** Élian Cuvillier insegna teologia pratica all’Istituto Protestante di Teologia (facoltà di Montpellier), dove in precedenza insegnava Nuovo Testamento.