Veglierò perchè le chiese abbiano braccia talmente larghe da includere tutte e tutti
Riflessioni di Andrea Rubera dell’associazione Cammini di Speranza
Da tanti anni partecipo e spesso organizzo veglie di preghiera contro l’omotransfobia. Perché continuo a partecipare e, soprattutto, perché parteciperò quest’anno? A volte mi viene da pensarlo. Ho 55 anni, quasi 56. Ho un compagno, lo stesso, dal 1986. Siamo sposati dal 2009. Abbiamo 3 figli. Frequento comunità di fede con serenità e sentendomi incluso.
E allora?
Parteciperò e pregherò insieme alla comunità a cui sento di appartenere perché vorrei tenere vivo dentro di me l’Andrea di tanti anni fa, quel bambino, quel ragazzo che si è sentito tagliato fuori, che si è sentito di allontanarsi, di rimanere alla finestra, di guardare quel mondo che aveva considerato casa per tanti anni. E che lo ha fatto quando ha realizzato di essere omosessuale.
Quell’adolescente che un pomeriggio tornò dalla parrocchia vomitando in silenzio, e senza farsi vedere dai genitori, perché aveva sentito dire da un’amica che “gli omosessuali sono condannati all’inferno”.
Vorrei che quel bambino, che ancora versa una lacrima dentro di me, quel ragazzo possano sentirsi accolti, contare su una comunità che li sostenga.
Vorrei che i ragazzi e le ragazze di oggi non debbano mai guardare alla finestra ma che sentano il conforto di condividere leggerezze e dolori con altri compagni e altre compagne di viaggio.
Che non debbano nascondere una parte importante di sé come ho fatto io. Che possano pensare di innamorarsi senza sentirsi in difficoltà. Che non si sentano chiamare con parole che evocano stigma e separazione.
Parteciperò e pregherò perché la società, e anche la comunità in Cristo, abbiano braccia talmente larghe da includere tutte e tutti, perché si avveri il sogno di un grande spazio vivo e pulsante che tutti possano chiamare “casa”.
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