Per una teologia dell’omosessualità. Può “un’ingiustizia storica” trasformarsi in “un’esperienza di libertà”?
Recensione di Antonio de Caro* al libro “Per una teologia dell’omosessualità, Gli scritti del prete e politico di Genova che anticiparono Papa Francesco” (a cura di Luigi Accattoli, editore Luni, 2020, 144 pagine), seconda parte
La tesi di Accattoli (in “Per una teologia dell’omosessualità, Gli scritti del prete e politico di Genova che anticiparono Papa Francesco“) è che Baget Bozzo – fin dagli anni ’70, all’indomani della dichiarazione Persona Humana – abbia riflettuto e scritto con coerenza a favore delle persone omosessuali e della loro accoglienza nella Chiesa. Le sue affermazioni rappresenterebbero quasi intuizioni profetiche dell’atteggiamento di dialogo e di apertura manifestato in diverse occasioni da papa Francesco.
Accattoli è profondamente convinto di questa idea (che innerva l’intero saggio), al punto che alle pp.22-24 segnala le analogie concettuali e le continuità anche linguistiche fra i testi di Baget Bozzo e quelli di Bergoglio, soprattutto l’esortazione apostolica Amoris laetitia.
L’attenzione al linguaggio adoperato sugli omosessuali non è solo segno della professionalità giornalistica di Accattoli: lo stesso Baget Bozzo afferma a chiare lettere che la Chiesa può e deve cambiare approccio alle persone attraverso un linguaggio più rispettoso, delicato e accogliente. Cambiare il linguaggio può cambiare le relazioni – e favorire quindi l’evoluzione della Chiesa stessa.
Le convergenze maggiori con le idee di papa Francesco si colgono a proposito dei temi del discernimento e della misericordia. Baget Bozzo ritiene che le formule del disprezzo e della condanna, che marchiavano gli omosessuali come “sodomiti”, vadano definitivamente abolite: gli omosessuali non scelgono di essere tali; la loro è, piuttosto, una condizione naturale e permanente (A. Fumagalli, nel recente saggio L’amore possibile, ha usato l’espressione «condizione esistenziale»), che non può essere considerata uno sbaglio della creazione.
Occorre quindi indagare il senso dell’omosessualità nel disegno di Dio e nel piano della redenzione, nell’ambito di una più ampia riflessione teologica sulla sessualità umana, che il Concilio Vaticano II e l’enciclica Humanae Vitae hanno soltanto avviato: e quindi andrebbero sviluppati quei nuclei di novità nell’etica sessuale presenti già nel Magistero a partire dagli anni ’60, per esempio il valore non solo pro-creativo ma anche ri-creativo e unitivo della sessualità.
Baget Bozzo auspicava seriamente una nuova teologia della sessualità e quindi anche dell’omosessualità (Per una teologia dell’omosessualità è il titolo del primo contributo ed anche dell’intera antologia), come esperienze in cui sia possibile crescere spiritualmente: e fonda questa esigenza sul fatto che nella Sacra Scrittura l’eros umano è spesso assunto come occasione e simbolo del rapporto dell’uomo con Dio.
È il motivo per cui Baget Bozzo parla di «eros teandrico» (in cui cioè l’uomo si unisce a Dio e viceversa), riprendendo un termine di origine greca che appartiene al cristianesimo orientale. In quell’ambito solitamente si distingue fra l’acribia (“esattezza, rigore”), cioè la forma più pura e indiscutibile della legge divina, e l’economia, cioè la capacità di adattare tale norma assoluta alle concrete circostanze dell’esistenza per trarre da esse, di volta in volta, il maggior bene possibile.
È questo che deve fare adesso la Chiesa, propone Baget Bozzo, sempre attento al rapporto fra cristianesimo e storia: la teologia morale, infatti, cerca di continuo un difficile e dinamico equilibrio fra “mistica” ed “etica”, cioè tra il rapporto con Dio (che si ha per esempio attraverso la preghiera) e la sua traduzione nei comportamenti individuali e sociali. La soluzione consiste, quindi, in quell’atteggiamento che la tradizione alfonsiana chiama prudenza e che oggi il Papa gesuita chiama discernimento.
Quando la Chiesa Cattolica afferma che, in diversi casi, la condizione omosessuale non dipende da una scelta della persona, e quindi non è moralmente imputabile, ciò rappresenta secondo Baget Bozzo una svolta epocale, che dovrebbe però proseguire verso soluzioni pastorali coerenti: per esempio, sospendere il giudizio sulla vita delle persone omosessuali; accompagnare con misericordia la crescita spirituale dei singoli, in un cammino di discernimento del bene che sono chiamati a realizzare; includere nella vita delle comunità le persone omosessuali, riconoscendone la dignità umana e battesimale.
Tutto questo, afferma Baget Bozzo, non può nascere che da una vera carità ecclesiale, che però dovrebbe essere autentica e radicale, e non ipocrita o superficiale: e quindi è assurdo accogliere gli omosessuali negando loro, nello stesso tempo, il diritto di amare secondo la loro natura, poiché proibire a qualcuno di amare è una mancanza di carità. La castità dovrebbe essere, piuttosto, una libera scelta in risposta ad una chiamata di Dio: invece, nella prospettiva del Magistero, solo gli omosessuali sarebbero vittime di una vocazione che viene loro imposta senza possibilità di libera adesione.
Da questo punto di vista, particolarmente pregevole è il cap.5, cioè la replica di Baget Bozzo ad uno dei documenti più problematici del Magistero sull’omosessualità: la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nota anche con il titolo latino di Homosexualitatis problema, scritta nel 1986 da J. Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Baget Bozzo lo definisce «un documento inaccettabile», poiché rischia di tornare indietro rispetto a Persona humana definendo come oggettivamente disordinata la stessa identità omosessuale, non solo la sua traduzione in sessualità vissuta.
Per la Chiesa Cattolica, afferma Baget Bozzo, aprirsi ad una valutazione positiva delle persone omosessuali rappresenterebbe un «salto storico» che essa forse non è ancora in grado di fare: ma intanto è indispensabile che il Magistero non contribuisca a fomentare l’intolleranza omofobica, che è identica al razzismo. Persistere in queste condanne vorrebbe dire trasmettere un’immagine di Dio incompatibile con quella rivelata da Gesù Cristo.
Piuttosto la Chiesa, anche per rimediare a secoli di persecuzioni e discriminazioni, dovrebbe almeno accettare che le leggi dello Stato riconoscano i diritti civili degli omosessuali e delle loro unioni, senza interferire con la laicità della vita sociale e politica. In effetti, quando gli omosessuali decidono di vivere in una relazione stabile, accedono a uno stadio evolutivo superiore rispetto a quello degli incontri occasionali e promiscui (affermazione ancora più rilevante dopo la diffusione dell’AIDS), per cui una sana morale dovrebbe incoraggiare le unioni durevoli e non spingere gli omosessuali ad una sessualità compulsiva e dispersiva.
Nello stesso tempo – ed anche questo è un tema di grande attualità – Baget Bozzo ripete continuamente che la condizione omosessuale non dovrebbe rappresentare motivo di esclusione per candidate o candidati alla vita consacrata; essi infatti, attraverso un opportuno percorso di preparazione psicologica e spirituale, sono chiamati a sublimare la loro sessualità come dono verginale, segno della tenerezza di Dio verso tutti. Maturità e temperanza devono essere egualmente richieste a candidate/candidati eterosessuali o omosessuali.
* Antonio De Caro, classe ‘70, esperto di cultura grecolatina, vive e insegna materie umanistiche e collabora con l’associazione “La Tenda di Gionata” e col settimanale cristiano Adista. Ha edito l’ebook di riflessione teologica “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale“ (Tenda di Gionata, 2019) e il saggio “La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella chiesa” (ed. Etabeta, 2020, 214 pagine).