Per una teologia dell’omosessualità. Tra il Giubileo e il Pride, dove sono le vite delle persone LGBT?
Recensione di Antonio de Caro* al libro “Per una teologia dell’omosessualità, Gli scritti del prete e politico di Genova che anticiparono Papa Francesco” (a cura di Luigi Accattoli, editore Luni, 2020, 144 pagine), Terza parte
La ricostruzione di Accattoli (in “Per una teologia dell’omosessualità, Gli scritti del prete e politico di Genova che anticiparono Papa Francesco“) ha, senza dubbio, il pregio di portare alla luce aspetti poco noti del pensiero di Gianni Baget Bozzo, che oggi costituiscono nuclei forti – e problematici – della riflessione sui rapporti fra omosessualità e fede cristiana.
Personalmente, mi colpiscono non solo i temi – come quelli che ho cercato di richiamare prima – ma anche la libertà e la lucidità con cui sono stati formulati, già negli anni ’70 e ’80, e che hanno un riverbero nell’eleganza stilistica sia di Baget Bozzo sia di Accattoli.
Uno degli obiettivi centrali del saggio, in effetti, è di mostrare la modernità delle idee del sacerdote ligure, quasi costituissero un trait d’union fra gli slanci post-conciliari e il periodo che stiamo vivendo, in cui la Chiesa Cattolica Romana cerca faticosamente di trovare o ritrovare un’identità, fra passato e futuro.
Accattoli sostiene un’interpretazione in cui spicca l’idea della coerenza: nonostante la sua spiccata tendenza a «ruotare» (cioè a cambiare prospettiva ed opinione su diversi problemi morali e sociali, pp. 119-128), Baget Bozzo avrebbe mantenuto ferme nell’arco di 30 anni le proprie convinzioni sui problemi legati alla condizione omosessuale (p. 26).
Se questa interpretazione è fondata, si chiede Accattoli, come mai gli scritti di Baget Bozzo non vengono citati o discussi all’interno dei dibattiti odierni, né in campo conservatore né in campo moderato o progressista? Come mai nessuno coglie nelle idee di Baget Bozzo (formulate con estrema chiarezza, anche in anni lontani dai cambiamenti di questi ultimi tempi) una fonte preziosa di ispirazione o, al contrario, una pericolosa deriva?
Da queste domande di Accattoli, che formano la cornice programmatica della sua pubblicazione e la attraversano con civiltà e discrezione, mi sento direttamente interpellato: non solo come omosessuale credente, coinvolto e impegnato su questi temi, ma anche perché lo stesso Accattoli, a p. 119, cita un dossier teologico di cui sono stato il curatore (Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale, agosto 2019, reperibile sul Portale Gionata a questo link) da cui, nota con sorpresa, i contributi di Baget Bozzo sono assenti, benché il dossier abbia esplicitamente lo scopo di raccogliere e salvare dall’oblio le voci teologiche più significative degli ultimi decenni, che hanno spianato la strada alle convinzioni che oggi ci sorreggono.
Cercherò di rispondere alle domande di Accattoli sia in questo sia nel prossimo paragrafo.
L’anno 2020 ha rappresentato un anno importante per i cristiani omosessuali in Italia: infatti nel 1980 è cominciato, in varie città del paese, il cammino dei gruppi che hanno cercato (e cercano ancora) di accogliere le persone omosessuali che non intendono rinunciare alla loro identità cristiana o cattolica.
Quaranta anni di accoglienza delle persone, di accompagnamento pastorale, di ricerca spirituale, di dialogo (faticosissimo) con la Chiesa di Roma, di cammino verso la consapevolezza e la visibilità. In questi decenni (che sono stati anche quelli della mia personale crescita umana e culturale), un aspetto è stato essenziale e ha fatto davvero la differenza: non era più possibile che qualcuno, in modo più o meno favorevole, parlasse su noi; non era più possibile che i nostri diritti, la nostra identità, le nostre speranze venissero definiti dall’esterno; era giunto il tempo in cui noi stessi potevamo e dovevamo parlare di noi, narrare le nostre esperienze di esclusione ed il nostro bisogno di riconoscimento.
L’esperienza doveva farsi testimonianza coraggiosa e visibile, segno di una presenza capace di avviare nuove interpretazioni bibliche, teologiche e morali. Il messaggio doveva incarnarsi nel cammino reale di persone reali, in narrazioni autentiche e credibili di riscatto dalla sofferenza attraverso la fede e l’amore. Con le formule, le regole, le condanne, i catechismi non progrediamo.
Quello che, innanzitutto, manca nelle pagine di Baget Bozzo è la voce vera delle persone, la sofferenza e la consolazione che attraversano le nostre vite e diventano luogo e segno dell’amicizia di Dio. Mettere al centro l’ascolto delle persone omosessuali credenti significa anche coglierne lo slancio profetico e la tensione creativa. È quello che il Magistero vaticano ancora si rifiuta di fare, al netto di numerose e splendide esperienze pastorali di segno contrario.
Non mi pare, dai contributi raccolti da Accattoli, che Baget Bozzo faccia riferimento a storie reali, in cui cogliere l’elaborazione di concreti progetti di vita. Si ha, piuttosto, l’impressione che egli parli (con grande rispetto, certo, e con una certa condiscendenza) delle persone omosessuali quasi esclusivamente dall’esterno, senza averne ascoltato le esigenze vere, usando invece dei filtri ideologici (non sempre favorevoli) che non gli hanno permesso di incontrare la dignità autentica delle persone e delle loro storie di vita.
Qualche esempio: nel cap.1 Baget Bozzo propone una rivalutazione della sessualità anche in chiave teologica, come linguaggio complessivo che nella Scrittura diventa simbolo dell’amore fra Dio e l’umanità; ma ribadisce che le relazioni omosessuali rappresentano una «perversione» (p. 33), per cui i soggetti che, senza loro colpa, si trovano in una condizione omosessuale devono osservare l’astinenza o non possono ricevere l’approvazione della morale cristiana.
L’astinenza richiesta alle persone omosessuali (la cui condizione non rappresenta certo una colpa) renderebbe esplicito un messaggio che Dio intenderebbe dare all’umanità (cap. 3): che cioè la sessualità non può rappresentare la massima realizzazione degli esseri umani. Quindi Baget Bozzo (che in ciò non si discosta dal Magistero vigente) si assume la responsabilità di spiegare quale sia l’intenzione di Dio riguardo le persone omosessuali, che diventerebbero in tal modo (e senza averlo scelto) lo strumento divino per giudicare «l’idolo» della sessualità come forma fallace di appagamento e successo.
È evidente che il sacerdote ligure non sa cogliere nella sessualità omosessuale la possibilità di comunicare l’amore, di prendersi cura (con onestà e fedeltà) di un altro essere umano; ma soprattutto, come dicevo, colpisce che tutto questo discorso venga fatto in contumacia, cioè in assenza del reale incontro con le persone omosessuali le cui esperienze, aspirazioni e scelte non vengono assolutamente prese in considerazione.
Ci si chiede, allora, in che cosa dovrebbero consistere la prudenza e la misericordia che Baget Bozzo consiglia alla Chiesa (p. 50) per accogliere con carità le persone omosessuali. Colpisce che il loro diritto di amare e di essere amate sia discusso dall’esterno, con un atteggiamento insensibile alle loro reali esigenze affettive e morali; e ciò comporta anche una forzatura ideologica sempre più evidente a partire dal cap. 9, che coincide con il Grande Giubileo del 2000 e il Gay Pride di Roma, svoltosi proprio in quella occasione.
Sono gli anni in cui le rivendicazioni LGBT sul piano dei diritti civili cominciano a farsi sentire in modo più organico, consapevole e diretto; ed anche gli anni in cui Baget Bozzo matura il suo posizionamento a destra. Quell’anno forma palesemente uno spartiacque, segna una svolta, nel pensiero di Baget Bozzo, che dal nostro punto di vista non può che risultare involutiva.
Il sacerdote ligure, infatti, teme che il fenomeno omosessuale possa assurgere a moda e a modello, sinistramente capace di fagocitare i diritti e la fisionomia della famiglia tradizionale. Questo refrain (oggi più volte ripetuto in ambienti integralisti privi di qualsiasi dignità culturale) è assurdo: forse non abbiamo gridato abbastanza chiaramente che a nessun omosessuale interessa fare proselitismo. Le persone LGBT cercano, sì, spazi di libertà e di visibilità, ma in nessun caso e per nessuna ragione hanno motivo di voler “convertire” gli altri all’omosessualità o alla transessualità.
Un politico può tranquillamente difendere i diritti (e i doveri) della famiglia tradizionale e nello stesso tempo i diritti (e i doveri) delle relazioni omosessuali, poiché gli uni non escludono gli altri.
Il Gay Pride di Roma, nell’anno 2000, è stato il grido non ascoltato verso una Chiesa che ha chiesto perdono a tutti, tranne che agli omosessuali, per le sofferenze crudelmente inflitte nel nome della Croce; è stata un’occasione di dialogo ancora una volta fallita, né ci si poteva aspettare altro da Karol Wojtiła o da Joseph Ratzinger.
È come se Baget Bozzo sia rimasto solo alla superficie del problema, e ciò gli costa una grande contraddizione: poiché sul piano della morale individuale egli riconosce che è assurdo imporre alle persone, specialmente se cristiani, un’astinenza che invece le religiose e i religiosi scelgono liberamente; ma sul piano della vita ecclesiale e sociale vede come un pericolo che le unioni omosessuali vengano equiparate a quelle eterosessuali, anche perché ciò indebolirebbe la coerenza della dottrina (cap. 12 e 13).
Gli studi degli ultimi decenni, invece, hanno più volte, e con autorevoli argomenti, messo in discussione la dottrina cattolica sull’omosessualità; ma Baget Bozzo (e questa rappresenta una mancanza abbastanza grave per un politico come lui) non ha nemmeno previsto che la difesa ad oltranza dei “principi non negoziabili” possa aprire la strada a forme di intolleranza ed integralismo, come quelle che registriamo negli ultimi anni insieme a pericolosi rigurgiti di estrema destra.
Che cosa è più importante: difendere ostinatamente la tradizione cattolica, con cui si identificherebbe la civiltà europea (cap. 15), o farsi carico della sofferenza e della libertà delle persone, come suggerisce il Vangelo? Soprattutto negli ultimi capitoli si nota questa deriva ideologica che si allontana sempre di più dalla vita delle persone reali e giunge ad un’aberrante sovrapposizione fra omosessualità e pedofilia (cap. 16).
Ne ho tratto l’impressione che Baget Bozzo sia partito con buone intenzioni, ma che poi non abbia avuto gli strumenti e la disponibilità per andare fino in fondo, ascoltando autenticamente la coscienza delle persone omosessuali e cogliendo la loro vocazione all’amore.
Anche per via delle sue scelte politiche ha dovuto difendere un impianto ideologico in cui astratti “valori” contano più del bene delle persone. Forse, al volgere del millennio, pochi sarebbero riusciti a compiere il «salto storico» che egli altrove auspica per la Chiesa: ma proprio per questi limiti e per la sua involuzione non può costituire un conforto o un’ispirazione per gli omosessuali credenti.
Se mai, il tema su cui, come osserva Accattoli, Baget Bozzo non cambia mai idea, è che la condizione omosessuale non può essere considerata una colpa, a patto di essere vissuta in modo casto. Più volte Baget Bozzo si richiama, infatti, a quei santi medievali, come Anselmo d’Aosta o Aelredo di Rievaulx, che hanno usato il linguaggio dell’eros per esprimere e sublimare un forte affetto verso altri monaci; e tale costante richiamo serve per affermare che le persone omosessuali possono quindi essere ammesse al sacerdozio e mantenere fede all’impegno della castità.
Questa idea si ripete con insistenza – quasi come se dipendesse da un intenso coinvolgimento personale dell’autore. Ma se, da un lato, essa può servire a rivendicare la vocazione sacerdotale di alcuni omosessuali, esso non tiene conto della vocazione di molti altri omosessuali a costruire relazioni e vite di amore, in cui l’intimità fisica è nello stesso tempo conquista gioiosa e dono per l’altro.
* Antonio De Caro, classe ‘70, esperto di cultura grecolatina, vive e insegna materie umanistiche e collabora con l’associazione “La Tenda di Gionata” e col settimanale cristiano Adista. Ha edito l’ebook di riflessione teologica “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale“ (Tenda di Gionata, 2019) e il saggio “La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella chiesa” (ed. Etabeta, 2020, 214 pagine).