La sessualità, materia bocciata dal Cristianesimo
Articolo del teologp Juan Josè Tamayo-Acosta* del 23 maggio 2009 tratto dal sito “Cristianos Gays” liberamente tradotto da Adriano
Dice la Chiesa: il corpo è un peccato. Dice il mercato: il corpo è un negozio. Dice il corpo: io sono una festa” (Mario Benedetti).
Qualche tempo fa il teologo progressita Juan José Tamayo Acosta in un articolo pubblicato da El Pais intitolato “La sessualità, materia rimandata del Cristianesimo” scriveva che quando il Cristianesimo scoprirà la sessualità sarà una festa, e che quando i confessori la includeranno nelle opere buone, si comincerà una nuova era.
Le sanzioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti del sacerdote Valverde del Camino (di Huelva), il quale ha dichiarato pubblicamente il suo comportamento omosessuale, così come le squalifiche contro di lui (‘disordine morale’, secondo il portavoce della Conferenza Episcopale, o ‘Infermità’ secondo il vescovo di Mondoñedo-Ferrol) ci confermano che la sessualità rimane una materia bocciata dal Cristianesimo.
Il rifiuto o la negazione della stessa da parte delle chiese cristiane in generale risiede nella concezione dualistica dell’uomo, che non ha avuto origine né dalla tradizione ebraica, dalla quale ha avuto inizio il Cristianesimo, né da Gesù di Nazareth, con il quale inizia il percorso della fede cristiana. In questo ambito, il cristianesimo è l’erede di Platone, Paolo di Tarso e Agostino d’Ippona.
Da Platone inizia la concezione antropologica dualistica che distingue nell’essere umano due elementi in opposizione frontale: il corpo e l’anima. Ciò che identifica l’essere umano è l’anima, che è l’essenza della persona. Il corpo è un peso, un fardello, peggio ancora la prigione dove l’anima vive prigioniera durante il suo pellegrinaggio sulla terra. Il corpo e i suoi desideri sono la causa di guerre, lotte e rivoluzioni. Per colpa sua non siamo in grado di contemplare la verità né conoscere nulla in forma pura.
Nelle lettere di Paolo sono numerosi i rimasugli di dualismo antropologico, come evidenziato dalle esortazioni morali che fa nelle sue lettere ai cristiani delle comunità cristiane fondate o animate da lui. Buona parte delle liste dei peccati che appaiono in queste lettere hanno a che vedere con la sessualità, e le attitudini morali che raccomanda ai credenti in Cristo sono repressioni al corpo. Carne e spirito, appaiono come due princìpi che camminano in due direzioni contrarie: ‘Camminate per lo Spirito e non adempite i desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro; in guisa che non potete fare quel che vorreste. Or le opere della carne sono manifeste e sono: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizia, discordia… quelli che son di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze. (Gal. 5, 16 ss)’.
Dopo la sua conversione e la lettura dei neoplatonici e degli scritti paolini, sant’Agostino fece propria la concezione antropologica dualistica sia nella sua vita, con la rinuncia ai piaceri del corpo considerandoli un ostacolo alla salvezza, che nella sua dottrina morale, proponendo l’astinenza sessuale come ideale cristiano. Da allora, ciò viene utilizzata nelle chiese cristiane come teoria ufficiale e pratica.
Come conseguire la liberazione? Lacerando il corpo, reprimendo gli istinti, rinunciando ai piaceri corporali. Come si può conquistare la sapienza e accedere alla conoscenza pura? Sbarazzandoci del corpo e contemplando le cose in se stesse solo mediante l’anima.
Il corpo, preferibilmente quello delle donne, viene considerato motivo di tentazione, occasione di scandalo e causa del peccato. Bisogna dunque evitare, di esibirlo, di curarlo, di migliorarlo di abbellirlo. Dovrebbe essere nascosto (ad esmpio con il velo, con abiti lunghi ecc.) castigarlo, mortificarlo fino a renderlo irriconoscibile. Da questa logica dualistica si giunge al concetto che il corpo delle donne non può rappresentare Cristo, che fu maschio e unico maschio, non può rimettere i peccati per la mancanza di sacralità, non può, infine, essere portatore di grazia, ma di sensualità peccaminosa. Di conseguenza, non può neanche essere sacerdote.
L’immagine negativa del corpo femminile fu determinante nelle convizioni dell’Inquisizione contro le donne. Queste comunicavano le conoscenze ispirate dalla divinità attraverso di esso. Il corpo delle donne in estasi era segno dell’impossibilità ad avere dentro di loro lo Spirito Santo e la presenza di Dio. Alcune visioni, come l’innamoramento di Gesù o i baci e le carezze delle mistiche verso di Lui, avevano una caratteristica erotica. In un’epoca in cui si sopravvalutava l’intelletto come via di accesso a Dio e si disprezzava il corpo, queste esperienze destavano sospetto, e quelli che le provavano finivano spesso per essere condannati al rogo. Tanto più se erano donne!
Tuttavia, la concezione dualistica dell’uomo che porta al rifiuto della sessualità e al disprezzo del corpo non sembrerebbe la più concorde con quella del cristianesimo originale, né che rifletta il pensiero ebraico. Quest’ultima considera la persona come un’unità e no
n a compartimenti. Tutti gli esseri umani sono immagine di Dio. E lo sono gli uomini e le donne. L’essere umano è sessuato, e in quanto tali ci rivolgiamo a Dio. La morale ebraica non reprime il corpo. Difende il piacere, il godimento, la gioia di vivere, come evidenziato da molteplici tradizioni religiose d’Israele. Il libro biblico dell’Ecclesiaste, per esempio, afferma la vita materiale e sensuale nella quotidianità, e invita a mangiare il pane e il vino con allegria, a godere i frutti del proprio lavoro e a godere con la persona che si ama, a indossare abiti bianchi e a profumarsi il capo (Eclesiaste 9, 7-9). Chiama i giovani a godere e a divertirsi, a lasciare andare il cuore a quello che viene attratto dagli occhi, a respingere le pene del cuore e i dolori del corpo (11, 9).
La vita e il messaggio di Gesù di Nazareth si trovano in questo orizzonte vitale, anche con vitalità. L’incompatibilità che stabilizza non è tra Dio e la sessualità tra lo S(s)pirito e il corpo, tra la beatitudine e la felicità, ma tra il Dio generoso e l’opulenza, tra il Dio debole e il potere oppressivo, tra il Dio della vita e gli idoli della morte.
La riflessione cristiana femminista sta sviluppando oggi un’importante teologia del corpo verso questa linea, della quale fu pioniero il teologo tedesco Dietrich Bonhoffer nella sua emblematica opera Etica, dove mostra che il godimento del corpo è fine a se stesso (e non semplicemente un mezzo per il raggiungimento di altri fini superiori), canale privilegiato di comunicazione interpersonale, mediazione necessaria tra gli umani e il loro incontro con Dio, e che la felicità è un diritto inalienabile di ogni persona che nessuna religione può reprimere.
Concludo con alcuni versi, penso di Mario Benedetti, che sono calzanti come un guanto: Dice la Chiesa: il corpo è un peccato. / dice il mercato: il corpo è un negozio. / Dice il corpo: io sono una festa. Quando il cristianesimo scoprirà che la sessualità è una festa, e i confessori lo includeranno nelle opere buone, avrà inizio una nuova era.
(*) Juan José Tamayo-Acosta è teologo e autore di “Dio e Gesù. L’orizzonte religioso di Gesù di Nazareth” (Dios y Jesús. El horizonte religioso de Jesús de Nazareth).
Testo Originale: “Y vio Dios todo lo que había hecho: y era muy bueno”. (Gn 1, 31a)