Il cammino di liberazione spirituale percorso dalle persone queer
Articolo di Bex Mui* pubblicato sul sito del bimestrale LGBT The Advocate (Stati Uniti) il 17 marzo 2021, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Come consulente professionista per la giustizia sociale e delle persone queer, non ho mai voluto occuparmi di fede e spiritualità. Sono cresciuta cattolica, ma come forse troppe persone LGBTQ+, ho avuto uno scontro brutale e doloroso con la Chiesa quando ho fatto coming out, con le cui conseguenze continuo a fare i conti.
Negli anni ho intuito che la mia vita è tutt’ora modellata dal fatto di essere cresciuta in una religione organizzata, cosa che, sorprendentemente, continua a offrirmi benefici. È stato il primo ambiente, e il più formativo, in cui ho imparato il significato di leadership e di comunità, e dove ho imparato l’attivismo.
Quel che ha favorito la mia guarigione è l’aver capito profondamente la forte differenza tra Chiesa e spiritualità.
Negli Stati Uniti molte Chiese sono simili ad altre istituzioni come il sistema scolastico, quello medico, il governo e via dicendo, e sono afflitte da secoli di supremazia bianca, colonizzazione, pregiudizi puritani riguardo il sesso, abilismo, omofobia e transfobia.
La Chiesa, i leader religiosi e le istituzioni che essi hanno costruito non hanno alcun diritto da accampare sulla mia spiritualità e sulla mia capacità di cercare l’aiuto di poteri più grandi (che per me includono dèi, dee, spiriti guida gender-fluid e antenati). Rifiutando le istituzioni che tali leader hanno creato, sono rimasta tagliata fuori da credenze, rituali, e pratiche che in realtà desidero nella mia vita di persona queer di colore.
Può spaventare dichiararsi queer e spirituali, figuriamoci religiosi, eppure sono tutt’ora attaccata a sostegni della salute mentale come preghiera e tradizioni festive (ovviamente re-immaginati e re-interpretati) che le mie famiglie immigrate hanno sviluppato per generazioni come parte della loro sopravvivenza.
E so che non sono la sola ad esplorare varie spiritualità. Vedo esempi ogni giorno nella mia amata comunità LGBTQ+: si cercano spiritualità e fede sotto un altro nome. Cerchiamo conferme, sicurezze e comunità.
Come tutti gli esseri umani, le persone queer vogliono sapere di non essere sole. Ci chiediamo perché siamo su questo pianeta, e quali siano i nostri scopi nella vita. Vogliamo sapere, proprio come tutti gli altri, se stiamo vivendo nel modo giusto questa cosa che ci sta succedendo.
Perché non ammettiamo con noi stessi che credere in qualcosa più grande di noi può fare molto bene alla salute mentale?
O che c’è bellezza e vero ristoro quando possiamo ammettere che non abbiamo tutte le risposte, che possiamo chiedere aiuto anche se non sappiamo esattamente come o quando arriverà, e che fare comunità può aiutarci ad affrontare periodi prolungati di incertezza (quelli odierni) e a continuare a crescere nonostante tutto?
Parte del mio attivismo spirituale nasce in risposta a ciò che ho notato succedere quando una comunità cerca conforto emotivo senza un profondo centro spirituale. Viviamo in una società consumistica che ha il potere di venderci sostegno spirituale.
Potremmo facilmente cercare la convalida dai “mi piace” dei social media e acquistare “strumenti di messa a terra” come le “scatole lunari” offerteci dalle aziende. Nella nostra società capitalistica e piena di distrazioni possiamo perdere di vista ciò che è effettivamente sacro.
Se non contaminata da cattive istituzioni e Chiese, la pratica spirituale può risollevarci e aiutarci a ricaricarci. Coltivare un profondo nucleo spirituale è lo strumento con cui possiamo lavorare per combattere l’ansia alimentata dall’incertezza, sempre presente durante la quarantena ed esacerbata dall’isolamento.
La spiritualità radicata nei rituali può essere l’auto-aiuto di cui gli attivisti e le attiviste LGBTQ + hanno effettivamente bisogno per affrontare il burnout, oltre ai bagnoschiuma e alle abbuffate di serie TV.
Cerchiamo di capire quali rituali e pratiche possiamo elaborare per soddisfare il nostro desiderio di relazione e la nostra profonda conoscenza di noi stessi, liber* dalle norme sociali e anche dalle famiglie in cui siamo nat*: essi sono la radice principale delle nostre convinzioni e tradizioni.
Perché dovremmo tagliarci fuori da rituali e pratiche che possono aiutarci nel nostro viaggio? Perché non prendere ciò che funziona e fare ciò che facciamo sempre: stravolgerlo e reinventarlo per noi stess*?
* Becca Mui (lei) è una donna queer cisgender femme, birazziale, consulente professionista per la giustizia sociale. Unitevi a lei su Instagram: @HouseOfOurQueer.
Testo originale: The Case for Spirituality as Mental Health Self-Care for Queer Folks