Un percorso difficile, ma felice
Testimonianza di don Franco Barbero pubblicata sul bimestrale Social News, giugno-luglio 2009, pag. 30 e riproposto su AlessandriaNews del 10 dicembre 2012
Esercitando il ministero della confessione, incontrai i primi omosessuali. Il mio modo di concepire il sacerdozio mi predisponeva a un mite e attento ascolto delle singole persone. Ero io che avevo bisogno di essere “guarito” dai miei stereotipi
Debbo risalire indietro di quasi cinquanta anni… quando correva l’anno 1963. In quell’anno fui ordinato prete nella piccola diocesi di Pinerolo (Torino) e fui destinato all’insegnamento nel locale seminario.
La domenica celebravo la messa in cattedrale e nella stessa chiesa, come assistente dei giovani, esercitavo con molta assiduità il ministero delle confessioni. Fu specialmente nell’esercizio di questo ministero che incontrai i primi omosessuali e le prime lesbiche.
Non ero assolutamente preparato, né sul piano culturale, né sul terreno psicologico e teologico. Il mio modo di concepire il sacerdozio mi predisponeva però a un mite e attento ascolto delle singole persone. La mia ignoranza e la mia inesperienza non mi impedirono tuttavia di mettermi in questo dialogo alla ricerca di far spazio reale al vissuto delle persone.
Le mie certezze (gli omosessuali sono malati o persone fragili e confuse) presto vacillarono e lentamente diventarono “scadute”. La “mossa” più positiva avvenne quando, dal 1964, decisi di invitare questi fratelli e sorelle nel piccolo alloggio che era la mia abitazione in seminario.
Oggi vedo che quella decisione fu per me determinante e segnò una svolta nella mia pratica pastorale. Ascoltai, ascoltai… Cosciente della mia ignoranza, unii all’ascolto umile e assiduo delle persone, una buona dose di studio e contattai alcuni gruppi sia a Parigi, sia a Berlino. L’ascolto mi guarì. Ero io che avevo bisogno di essere liberato, “guarito” dai miei stereotipi, dalla prigione del modello unico, dalle maglie dei dogmi e del pregiudizio. Fu, comunque, un percorso lento, in cui sperimentai il dono dello smarrimento.
Non è facile uscire da un “territorio” di granitiche certezze, dove gli spazi e i confini sono precisi, definiti, infallibilmente garantiti. Tanto più che, in quegli anni, era per me assolutamente impossibile parlare con altri confratelli di questa prassi pastorale in cui ormai giorno dopo giorno entravo, nell’ottica che sull’amore splende sempre il sorriso di Dio. Le stesse parole erano, in molti ambienti, non solo ecclesiastici, del tutto impronunciabili.
Quegli anni rappresentano per me l’ingresso in un continente sconosciuto, in cui muovevo i miei passi tra paura e meraviglia. Nel 1975, ormai passato dal seminario all’attuale esperienza della comunità cristiana di base, il mio impegno si allargò e si approfondì.
Nel 1978, senza coinvolgere la mia comunità che non era ancora matura per questo passo, celebrai l’eucarestia di matrimonio di due giovani omosessuali che avevo incontrato l’anno precedente. Era il 4 febbraio di trentaquattro anni fa… Da quel giorno, con Ferruccio Castellano, un omosessuale cattolico di Torino, ci prefiggemmo di dar vita ad un convegno nazionale su “Fede cristiana e omosessualità”.
Non trovammo spazio nelle strutture ufficiali cattoliche e l’incontro si svolse nel Centro Ecumenico di Agape, messoci profeticamente a disposizione dalla Chiesa valdese. Gli oltre cento partecipanti ci dettero un segnale incoraggiante.
Quest’anno, dal 19 al 25 luglio (2009), si è svolto il trentatreesimo “campo” di Agape: una lunga storia ormai. Oggi, anche in area cattolica, gli studi e le esperienze, i gruppi e i dibattiti sono in pieno sviluppo. Nonostante le chiusure delle gerarchie, incapaci di ascoltare e asservite a un potere papale prigioniero della paura e della sessuofobia, nella chiesa-popolo di Dio, come nella società, è in atto una “rivoluzione” irreversibile.
Nessun colonnato dei sacri palazzi fermerà questo vento di liberazione e gli stessi studiosi di teologia hanno demolito il pregiudizio che da secoli ha oppresso i cattolici. L’alleanza di trono e altare fa dell’Italia, non solo su questo terreno, una provincia ad amministrazione vaticana, ma sono sempre più numerosi gli omosessuali che vivono in pace il loro essere cristiani-cattolici ed essere gay.
Il mio ultimo libro “Omosessualità e Vangelo” (Gabrielli editore), in qualche modo vuole contribuire a questo percorso, mentre già in parecchie realtà comunitarie di base, si celebrano con estrema serenità le nozze sia eterosessuali, sia omosessuali.
Là dove viene avanzata la richiesta di celebrare l’amore, dopo un percorso di approfondimento del cammino cristiano, la comunità accoglie gli sposi o le spose in un’eucarestia e in un semplice momento di festa. Resta il fatto che molte persone, viste le posizioni ufficiali della gerarchia cattolica, sono costrette ad un’emarginazione ecclesiale che spesso prelude all’abbandono della stessa esperienza di fede.
Guardando al futuro, non ci si può illudere: il cammino da compiere resta immenso, come il peso dell’emarginazione e della violenza. La lotta per i diritti sarà ancora lunga, ma le strade sono aperte e percorribili. Personalmente, nutro una profonda fiducia. Finché avrò respiro, sarò grato agli omosessuali-lesbiche-transessuali e mi prefiggo di essere loro compagno di speranza e di lotta.
Essi mi hanno aiutato a scoprire che Dio non è eterosessuale, né omosessuale. Dio, come ci ha insegnato Gesù, nell’esperienza cristiana è fonte di amore e spinge ogni uomo e ogni donna ad amare secondo la propria natura e non contro la propria natura. Solo il pregiudizio può vedere una contraddizione tra esperienza cristiana ed esperienza omosessuale.
Per questo, risulta particolarmente grave che dentro la Chiesa cattolica si incoraggino le “terapie riparative”, la mostruosa operazione di curare gli omosessuali per «riconvertirli» all’eterosessualità. Ovviamente, l’amore, quello vissuto in un corpo “animato” da sentimenti profondi, resta un cammino liberante, impegnativo e mai scontato. Siamo tutti e tutte in cammino verso l’amore. Chi costringe a entrare in un solo modello nega la realtà, inibisce la convivialità delle differenze e semina germi di violenza.