Riconciliazione o semplice e sano esercizio di memoria? Riflessioni sulle veglie
Riflessioni di Massimo Battaglio
Si è concluso il mese delle veglie per le vittime di omofobia. Le parole ricorrenti che si sono ascoltate sono state: memoria, grido di giustizia ma anche perdono e riconciliazione. Io, che mi trovo molto sui primi due termini, ho sempre molti dubbi sugli altri. Mi pare che diano adito a fraintendimenti e che siano sintomo di un po’ troppa fretta.
Il perdono
Per un cristiano, il perdono è sempre fondamentale e la riconciliazione è sempre auspicabile. Bisogna perdonare “settanta volte sette” (Mt 18,21) cioè sempre. Il problema è: chi deve perdonare e chi deve essere perdonato?
Nel nostro caso, sembrerebbe semplice: le vittime di omofobia devono perdonare gli omofobi. Secondo noi.
Perché, secondo altri, devono essere gli omosessuali a chiedere perdono del loro “peccato abominevole” e i preti a perdonare. A parte che (mi si perdoni una battuta, per l’appunto) in quest’ultimo caso si finirebbe spesso per perdonarsi tra preti, è tutto così relativo?
Il Padre non è relativo. E’ l’unico vero Assoluto. E, nella sua assoluta giustizia, tra vittima e carnefice, sceglie sempre la vittima, qualunque peccato abbia commesso (sempre che ne abbia commesso qualcuno) e qualunque regola abbia infranto (anche nella remota ipotesi che quella regola fosse giusta).
Le veglie per il superamento dell’omofobia non sono e non devono essere un ipotetico riconoscimento di colpa da parte delle persone omosessuali di fronte alla Chiesa. Casomai il contrario.
Sono un momento in cui la Chiesa, soprattutto quella che tanto predica di amare i gay, ha l’occasione di chiedere loro scusa per tutte le volte che li ha perseguitati e per tutte le volte che ha generato odio intorno a loro.
E qui emerge un secondo problema: possiamo noi perdonare la Chiesa? Forse, chi ha effettivamente subito atti di omofobia, può farlo. Ma chi non li ha subiti in proprio? Perdona per conto terzi?
Posso io perdonare l’assassino di Maria Paola?Posso perdonare chi ha indotto al suicidio il “ragazzo dai panaloni rosa”? Teresa Manes, la mamma di Andrea (il “ragazzo dai pantaloni rosa”, appunto) è molto chiara: “Gli insegnanti, i genitori dei compagni di Andrea sono scomparsi. Lo stesso vuoto che ha provato mio figlio e che non auguro a nessuno“. Dunque, prima ancora di perdonare (per il proprio dolore, non certo per quello del figlio che non c’è più): chi perdonare, se tutti fuggono?
Spesso succede proprio così: chi ha bisogno di essere perdonato fugge. Rifiuta di accettare e superare la vergogna.
Altre volte è peggio ancora: inventa scuse per dimostrare a se stesso di non avere nulla di cui chiedere perdono. E allora si scopre che “il ragazzo era fragile“, che l’omofobia non c’entra o, addirittura, che “se l’è cercata“. C’è chi sostiene che il suicidio sia la logica conseguenza dell’aver “scelto” l’omosessualità.
Possiamo perdonare chi non sente il minimo bisogno di perdono? Secondo le regole dei preti, si direbbe di no: quando si entra in un confessionale, è richiesto il pentimento.
Senza confessione, cioè ammissione della propria colpa, non si può ottenere assoluzione. E suona terribile l’adagio “tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Mt 18,15). Si direbbe che, chi non ammette il proprio peccato, se la vedrà direttamente con Dio.
A volte noi pensiamo, col nostro desiderio di essere buoni cristiani, che il perdono vada elargito comunque, come fece Gesù sulla croce quando disse: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Crediamo di dover fare il primo passo.
Ma di nuovo: Maria Paola e Andrea avranno intenzione di fare il primo passo? Lo sapremo quando li raggiungeremo in cielo. Per ora, trovo molto più rispettoso attendere, senza sostituirsi per l’ennesima volta alla loro volontà. Tanto più che, nella maggior parte dei casi, chi perseguita le migliaia di Maria Paola e Andrea del mondo, pensa di sapere benissimo quel che fa e di agire precisamente dalla parte del bene.
Dunque, andiamo piano con lo slogan del perdono. E ancora più piano andiamo con la riconciliazione.
La Riconciliazione
Tutti desideriamo un mondo in cui governi il principio della riconciliazione. Tutti attendiamo il giorno in cui le colpe saranno cancellate e ci si vorrà bene.
Molti di noi sognano di poter rientrare in parrocchia ricevendo un abbraccio sincero al posto degli sguardi sospettosi che abbiamo sopportato fin quando ce ne siamo andati. E soprattutto molti genitori bramano di tornare a sedersi in chiesa coi propri figli, magari al primo banco e con un pizzico di orgoglio.
Non basta volerlo. E forse non è nemmeno l’obiettivo che dobbiamo perseguire in questo momento storico. Oggi siamo alla prima fase: suscitare nella Chiesa il desiderio di conversione senza il quale non è possibile alcuna riconciliazione.
La riconciliazione richiede processi seri, impegnativi e, per certi versi, anche dolorosi.
Si pensi al percorso di riconciliazione messo in atto in Sudafrica da Nelson Mandela. Fu tutt’altro che un semplice abbraccio. O meglio: l’abbraccio era l’obiettivo finale ma, nel mentre, occorreva che ogni torto fosse risarcito e ogni pregiudizio fosse punito prima ancora che superato.
Oppure si pensi a quali sono le misure penali alternative al carcere previste in Italia. Quando una persona è condannata per un crimine d’odio, non le viene chiesto immediatamente un gesto di riconciliazione con la vittima.
A quell’obiettivo si arriva attraverso un percorso di rieducazione che prevede formazione personale, volontariato, maturazione del desiderio di chiedere scusa. E’ anche per questo che stiamo rivendicando l’approvazione del ddl Zan: perchè l’omofobia non deve restare impunita e richiede percorsi di riparazione anche lunghi e articolati.
Similmente, un percorso di riconciliazione tra le persone omosessuali e la Chiesa esige che si sanino le ferite, si cancellino tutte le strutture di pregiudizio che finora si sono spacciate per dottrina e si chieda pubblicamente scusa.
Solo allora si potrà parlare di riconciliazione. E si scoprirà, in aggiunta, che chiedere scusa non è vergognoso, anzi, è liberante.
Lo stesso capitolo del Vangelo di Matteo in cui si parla di perdonare “settanta volte sette”, è molto chiaro su cosa sia un percorso di riconciliazione:
“Quando il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo. Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Poi, se non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea e, se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18,15-17).
Noi persone omosessuali abbiamo il diritto e il dovere di esigere questo tipo di riconciliazione, non quella del dimenticare. Se un omofobo ci offende, proviamo fieramente a ragionarci (posto che sia possibile).
Se si rifiuta di ragionare (o se ciò non è possibile), denunciamolo. Avrà l’opportunità di scusarsi di fronte a un tribunale e di chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Se non gli va neanche questo, almeno paghi. Dopo sarà perdonato.
Lo so che posso sembrare vendicativo e lontano dal Vangelo. Ma il Vangelo della riconciliazione non è tutto uno “scordiamoci il passato” e un “vogliamoci bene”. E’ anche un Vangelo di giustizia.
Per approfondire clicca su> Cronache di ordinaria omofobia.org