Il teologo cattolico John McNeil e la maturità spirituale delle persone omosessuali
Relazione del teologo cattolico John J. McNeill* tenuta all’VIII Forum Europeo dei Gruppi Cristiani Omosessuali (Strasburgo 24-27 maggio 1990) pubblicata sul Bollettino L’incontro di Padova n.3, giugno 1990, pp.2-5
Dopo più di 25 anni di attività tra gli omosessuali, sia come prete che come psicoterapeuta, sono persuaso che nell’ambiente gay si stia sviluppando una intensa spiritualità del tutto in sintonia con la sessualità dell’amore gay. Negli Stati Uniti questa spiritualità sì concretizza con ì gruppi gay di ispirazione religiosa, come la Metropolitan Community Church, Integrity, Dignity, le sinagoghe gay. ecc. Ogni chiesa ha praticamente al suo interno un gruppo gay.
Potremo dire che Dio si diverte a costruire le comunità dei suoi fedeli con quella che la Scrittura definisce “la pietra d’angolo che era stata scartata”. Io sono profondamente convinto che la rinascita della fede sia da un lato rappresentata
dalle povere comunità di base dell’America latina e dall’altro dai gruppi gay credenti del mondo occidentale.
Non é questa una novità: chi si occupa di gay dal punto di vista storico sa, che in ogni epoca e in ogni cultura, i maggiori apporti dal punto di vista intellettuale e spirituale provengono in gran parte da personalità gay.
Il maggior ostacolo per una maturazione spirituale degli omosessuali é stato fino ad ora l’isolamento che ci circondava, con l’impossibilità di trasmettere alla generazione successiva l’eredità della propria esperienza. Nella nostra generazione l’obiettivo principale dev’essere quello di aprire un varco in questo isolamento.
Che cosa intendo dire con maturità spirituale degli omosessuali?
Il monaco medioevale S.Bernardo di Chiaravalle scriveva: “Noi beviamo dalle nostre: stesse sorgenti”. La. spiritualità é quindi come un’acqua viva che sgorga dalla nostra propria esperienza spirituale, che per nor gay é essenzialmente esperienza profonda di intimo amore omosessuale.
“Diletti, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore é da Dio e chiunque ama é nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio: perché Dio é amore” (Prima Lettera di Giovanni, 4.7-9). Di conseguenza solo vivendo un’esperienza di amore reciproco possiamo realizzare una propria intensa vita spirituale. E’ solo in questa personale esperienza che noi gay possiamo trovare l’acqua pura da cui dissetarci. I messaggi che ci provengono dalla Chiesa e dalla società sono in gran parte acqua contaminata dalla omofobia. Anche la Scrittura é stata inquinata da traduttori omofobici.
Ad esempio, nella Prima Lettera di Paolo ai Corinzi (6.9), un’oscura parola greca, “arseonokoitai”, che per duemila anni è stata tradotta con “prostituti del Tempio“, nell’American Revised Standard Version viene attualmente tradotta con “omosessuali praticanti“: Questi “arsonokoitai” sono elencati tra coloro che “non erediteranno il regno dei Dio”.
Forse Paolo intendeva designare uno speciale tipo di culto orgiastico-idolatrico, ebbene, dopo duemila anni é stata tradotta come se intendesse consapevolmente condannare una relazione d’amore tra due persone dello stesso sesso. Per quanto riguarda la Scrittura basti dire che in nessun punto troviamo condannata la relazione d’amore tra due uomini o due donne.
In che maniera noi gay nella nostra vita spirituale “ci dissetiamo alle nostre stesse sorgenti”? Un’antica disciplina spirituale chiamata “Discernimento dello Spirito” (N.d.T. gli “Esercizi Spirituali” di S.Ignazio di Loyola) ha come presupposto il convincimento che Dio ci parla direttamente, attraverso l’esperienza personale, e non solo indirettamente con l’intermediazione della Scrittura e delle autorità spirituali.
Il secondo presupposto di questa pratica é che Dio ci parla direttamente attraverso la nostra sensibilità piuttosto che attraverso il nostro intelletto. Discernere lo Spirito significa ascoltare il nostro cuore: se un azione che compiamo cì porta profonde sensazioni di pace, di gioia e di soddisfazione significa che, come un segno da parte di Dio, noi stiamo facendo ciò che é giusto per noi.
Al contrario, se la nostra azione porta con sè sensazioni di profondo dispiacere, depressione, ansietà e insoddisfazione significa che stiamo facendo qualcosa che per no1 é sbagliato. Questa pratica ha la sua base nella Scrittura. In Giovanni 16.7 Gesù dice ai discepoli: “… é necessario che io me ne vada per far si che lo Spirito venga“. Perché questa necessità? Finché Gesù fosse rimasto fra gli apostoli essi erano praticamente dipendenti da lui e non sarebbero diventati degli adulti creativi e responsabili.
Solo con la morte di Gesù e con la venuta dello Spirito Santo hanno avuto la possibilità di maturare. Non c’era più nessuno che si occupava di loro, dovevano pertanto ricercare in se stessi e della propria esperienza ciò che Dio voleva da loro. In maniera simile noi gay dobbiamo passare, nella nostra vita spirituale, da un ruolo di dipendenza passiva a uno di attiva creatività. Abbiamo un bisogno particolare di diventare persone mature, consapevoli, autonome, non più disposte, nella ricerca della nostra identità e del nostro equilibrio, a basarsi passivamente su fonti esterne e omofobiche.
Che cosa intendono i psicologi con “maturità”? Un sano processo di maturazione é quello con cui ci sì stacca dalla dipendenza di genitori, famiglia, chiesa e si diventa adulti autonomi che fanno le proprie scelte e ne assumono le responsabilità. Si può definire la maturità come la capacità di vivere la propria vita secondo il proprio intuito e la propria personale sensibilità; vivere senza sforzarsi di assecondare le aspettative altrui.
Un famoso psicologo inglese, Winnicott, scrive: “Ogni bambino, dentro di sè, sa che che in quella che viene definita la sua cattiveria c’é la speranza di qualcosa di migliore; così come sa che dietro al comportamento conformistico da bravo bambino, che gli viene imposto, c’é la disperazione”.
Ogni bambino, secondo Winnicott, conserva la speranza se si rende conto che continuerà ad essere amato e rispettato anche quando non sì adatterà alle attese dei genitori. Ha già invece perso la fiducia nella vita se arriva a pensare che l’unico modo per essere amato é di adattarsi alle aspettative altrui e di nascondere nell’intimo il suo vero “se stesso“.
Per un gay la maturità significa uscire da questi condizionamenti e la maturità spirituale uscire con Dio. Dobbiamo avere il coraggio di uscire, e di essere amati da Dio e dagli altri esseri umani per quello che siamo, noi dobbiamo “puntare su Dio“. Sia sul piano psicologico che su quello spirituale la maturità significa capacità di comprendere che cosa veramente siamo ed avere la capacità di trovare il coraggio di esprimere questa verità.
Nel mio lavoro di psicoterapeuta ho avuto spesso dei pazienti gay che venivano da me seriamente depressi e mì raccontavano, dopo essere rimasti chiusi in se stessi per anni, di essersi decisi a vivere perché per la prima volta avevano avuto una relazione con le sensazioni di gioia, di pace e di realizzazione di se stessi.
Ma al mattino seguente incominciavano ad agire quei motivi sessuofobici che gli erano stati inculcati dalla famiglia e dalla società, che gli facevano provare odio e disprezzo per se stessi e per quello che avevano fatto.
Erano tentati di rompere la relazione e di ritornare nel vecchio e disperato stile di vita fatto di chiusura, e interrotto ogni tanto con delle “uscite” fatte magari con l’aiuto dell’alcool. Quanto é difficile far sì che un tale paziente sappia “riconoscere le esigenze dello spirito“, ascolti le proprie sensazioni e si renda conto che Dio gli sta comunicando qualcosa per mezzo di quelle sensazioni di pace, di gioia e di soddisfazione, all’opposto di quelle sensazioni negative di tristezza, di depressione che otteneva con le “uscite” saltuarie.
La mia speranza é che in seguito sappiano distinguere tra la loro necessità di una vita affettiva gay e la deleteria volontà di reprimere la loro omofobia per sviluppare in modo armonico le loro esigenze di vita gay, cioé accettarle, conviverci e viverle, così come dovranno imparare a ridurre la forza dei richiami negativi dell’omofobia, dimodoché impareranno a tenere in pugno la loro vita.
Ricorderò qui le parole di un celebre Padre della Chiesa del IV secolo, Sant’Atànasio: “La gloria di Dio sono degli esseri umani che vivono!“. Ciò significa degli uomini sessualmente vivi. Per un gay la gloria di Dio consiste nel vivere totalmente la sua vita come gay.
* John J. McNeill (2 settembre 1925 – 22 settembre 2015) è stato un prete cattolico americano, psicoterapeuta e teologo accademico, con una particolare reputazione nel campo della teologia queer. Autore di alcuni libri su fede e omosessualità.
Dal libro di John ] McNeill “Taking a chance on God” (Scommettere su Dio. Teologia della liberazione omosessuale, editrice Sonda, 1994, 192 pagine): C’é un antico racconto hassidico che sottolinea il valore dell’amore fraterno in una comunità. Una volta un pio rabbino domandò a Dio una grazia speciale: prima di morire gli sarebbe piaciuto vedere come erano fatti il Paradiso e l’Inferno. Dio lo accontentò, e così venne portato nell’Aldilà e fu fatto entrare in una stanza. E in questa stanza, attorno ad un fuoco sul quale era appesa una pentola di cibo, stava un gruppo di persone, magre, scavate, tristi. Tutti cercavano di mangiare, ma i loro sforzi erano inutili perché avevano dei lunghi cucchiai di legno, troppo lunghi per riuscire a portare il cibo alla bocca. E questo era l’inferno.
Allora il rabbino fu portato in un’altra stanza, uguale alla prima, con un eguale gruppo di persone sedute attorno ad un’eguale pentola e con in mano gli stessi cucchiai troppo lunghi; ma stavolta tutti erano allegri e contenti. L’unica differenza era che qui ciascuno porgeva il cibo agli altri: e questo era il Paradiso. Un gruppo di gay cristiani dev’essere fatto in maniera che ognuno aiuti se stesso, grazie all’aiuto che dà agli altri.