La più sottile omofobia: la compassione
Lettera con risposta di Francesco Merio pubblicata nella rubrica delle lettere del quotidiano La Repubblica del 15 luglio 2021, pag.23
Caro Merlo, in questa calda serata estiva ancora rovente dell’ubriacatura collettiva dovuta a un pallone rotolato, molto mi è piaciuta la sua risposta a proposito della parola compassione applicata agli omosessuali: orrore puro.
La compassione, che pure quel figaccione di Foscolo definiva l’unica virtù non usuraia, diventa un ‘ustione se applicata a chi ama come caspita crede meglio. E quale sarebbe la sventura che la farebbe scaturire nelle anime bianche? La presunzione di essere bianche, appunto. E dunque viva l’hilaritas (che bella parola) e la leggerezza e la libertà. Giulia Livi
La risposta…
La compassione è uno dei più difficili temi dell’omofobia. La sessualità può essere un problema per tutti, ma l’idea che gli omosessuali siano sofferenti è difficile da sradicare, anche in persone aperte di cuore e di testa come il Cardinal Bassetti.
Una volta chiesi allo scrittore Wulter Siti, curatore dei dieci Meridiani su Pasolini, se avesse mai pensato alla propria omosessualità come a una malattia. “Sì, dopo la laurea entrai in analisi anche per guarire dell’omosessualità”. E come andò? “Ne uscii con dieci chili in meno e una grande barba“.
Sartre, nel famoso libro su Genet, sostiene che la sessualità si sceglie: lei si risceglierebbe omosessuale? “Sartre aveva torto. Ma se potessi, mi sceglierei bisessuale per capire le donne che non so raccontare“.
Esiste la serenità omosessuale? “Sì. Oggi si. Specie nelle nuove generazioni. La mia (1947) ha sofferto troppo“.