Vita, morte e miracoli del ddl Zan
Riflessioni di Gianni Geraci pubblicate sul settimanale Adista Segni Nuovi n° 28 del 24 luglio 2021, pp.6-7
Cosa c’è dietro all’opposizione dei vertici della Chiesa al DdL Zan. Il testo originale, in apparenza, ha tutte le caratteristiche per non incontrare resistenze da parte di chi, dovrebbe avere come riferimento le parole con cui la Congregazione per la dottrina della fede deplora «con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente» (Cfr. Homosexualitatis Problema 10) o quelle del Catechismo, quando ricorda che: le persone omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza» (Cfr. 2358) e prosegue dicendo che: «a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (ibidem).
Il fatto è che l’omofobia e, ancora di più la transfobia, per la Chiesa, continuano a restare un problema e che l’idea che, l’omosessualità sia «una variante naturale del comportamento umano» a cui è approdata, il 17 Maggio del 1990, l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dai vertici della Chiesa cattolica non è mai stata completamente digerita.
Basta leggere il susseguirsi di interventi, più o meno autorevoli, con cui si affronta il tema della discriminazione fondata sull’orientamento sessuale: dall’ultimo uscito (contenuto nel Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso pubblicato il 14 marzo successivo dove si legge che: «La dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un’ingiusta discriminazione») fino ad arrivare al più vecchio e più significativo, quello riportato nella lettera riservata che la Congregazione per la dottrina ha scritto ai vescovi statunitensi, dove si legge che: «La “tendenza sessuale” non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, ecc. rispetto alla non-discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo e richiama una preoccupazione morale» (Cfr. Lettera: Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali del 24 luglio 1992.
Basta questo per capire che, quando l’onorevole Zan ha presentato il suo Disegno di legge in cui non si fa altro che aggiungere l’orientamento sessuale e l’identità di genere ai «motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» che vengono sanzionati negli articoli 604 bis e 604 ter del Codice Penale, nei sacri palazzi siano entrati in fibrillazione anche perché, questa volta, non solo si pretendeva di trattare la “tendenza sessuale” come la razza, la nazionalità e l’origine etnica, ma si pretendeva addirittura di trattarla come l’appartenenza religiosa.
La nota pubblicata con cui la Presidenza della CEI ha affermato che una legge del genere, non solo era inutile perché «esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio», ma che è anche dannosa perché «rischierebbe di aprire a derive liberticide» (cfr. Omofobia, non serve una nuova legge, nota del 10 Giugno 2020).
Naturalmente visto che gli “adeguati presidi” che rendono inutile l’estensione all’orientamento sessuale e all’identità di genere delle norme contenute nel Codice Penale si erano rivelati utili quando si parlava di razza, etnia, nazionalità e religione, la legge è andata avanti lo stesso. E all’accusa di aprire la strada a “derive liberticide” i deputati hanno risposto aggiungendo l’articolo 4 che ribadisce quello che, molto più autorevolmente, dice l’articolo 21 della Costituzione.
Non è stata questa l’unica modifica fatta per andare incontro alle preoccupazioni che la Presidenza della CEI aveva espresso indirettamente, utilizzando tra l’altro, il condizionale: i due articoli originali sono diventati ben dieci e questo ha spinto il cardinal Bassetti, che qualche responsabilità nella crescita smisurata del testo pure ce l’ha, a dire a Gianluca Vecchi, che il testo va cambiato, perché deve essere «semplice e chiaro» (Cfr. «Bassetti: legge anti-omofobia? Sia chiara, il DdL Zan va corretto», Corriere della Sera del 17 Maggio 2021).
E così quello che poco meno di un anno prima, la Presidenza della CEI aveva definito «un testo inutile», il 26 Aprile del 2021 è diventato un testo “importante” che è necessario che «cresca con il dialogo» (cfr. Nota della Presidenza CEI sul Ddl Zan. Troppi i dubbi: serve un dialogo aperto e non pregiudiziale) e quella che era una legge pericolosa è diventata una legge il cui testo «non va affossato, ma va modificato» (cfr. «Omofobia: card. Bassetti, legge potrebbe essere corretta», ANSA del 16 maggio 2021), mentre il Segretario di Stato ha precisato che non c’è «nessuna richiesta di fermare la legge contro l’omotransfobia» (cfr. Andra Tornielli, «Parolin: nessuna richiesta di bloccare il DdL Zan», Vatican News del 24 Giugno 2021).
C’è da credere che questa “conversione” sia un sì condizionato a una legge contro l’omofobia e la transfobia? L’esperienza e i documenti ci suggeriscono di no. L’esperienza nasce dall’opposizione che, in passato, hanno sempre incontrato tutti gli altri disegni di legge contro l’omofobia e la transfobia.
I documenti dicono che dietro a questo atteggiamento c’è un problema legato al modo in cui i vertici della Chiesa cattolica affrontano certi argomenti. Il Lexicon dei termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, pubblicato nel 2003 dal Pontificio Consiglio per la famiglia, alla voce “omofobia” parla di «un termine feticcio, che inibisce ogni riflessione e cerca di stigmatizzare coloro che ritengono che, socialmente, l’omosessualità pone un problema» (cfr. pag. 691).
Di transfobia non si parla mai perché semplicemente, l’identità di genere, così come viene definita dalla psicologia contemporanea, non esiste, visto che in un documento del Pontificio Consiglio Justitia et Pax: si legge che: «Di fronte alle teorie che considerano l’identità di genere soltanto come prodotto culturale e sociale (…) la Chiesa non si stancherà di ribadire il proprio insegnamento secondo cui spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale» (cfr. Compendio della dottrina sociale cattolica, 2006, p 224).
Alla luce di queste premesse diventa illuminante quanto ha scritto il giurista cattolico Francesco D’Agostino in un fondo dedicato al DdL Zan e pubblicato da Avvenire il 7 Luglio del 2020: «Come tutti intuiscono, coloro che sostengono la nuova proposta di legge non vogliono, ovviamente, mandare in galera più persone di quante attualmente non ce ne siano, ma affermare, per via legislativa, un principio antropologico molto complesso e controverso, quello secondo il quale l’omosessualità e la transessualità (…) debbano ottenere un riconoscimento non solo sociale, ma giuridico, come mere ‘varianti’ delle pulsioni sessuali e identitarie umane. Di contro, coloro che si oppongono alla nuova possibile normativa lo fanno nella convinzione che questo riconoscimento e banalizzazione non solo siano epistemologicamente errati, ma anche che possano alterare l’ordine sociale, che avrebbe piuttosto bisogno che si rafforzassero i fondamenti della famiglia eterosessuale, monogamica e aperta alla procreazione naturale, così ben delineata dalla nostra Costituzione» (cfr. «Omofobia, diritto penale e antropologia»).
Il nocciolo della questione non è tanto una libertà di espressione che, essendo tutelata dalla Costituzione, non può certo essere messa in pericolo dall’estensione a una platea più ampia di una norma ormai consolidata.
Il nocciolo della questione è il riconoscimento del valore giuridico della libertà di essere omosessuali alla luce del sole.
* Gianni Geraci è fondatore dell’Associazione Il Guado di Milano ed è uno storico attivista cattolico dei diritti della comunità LGBT.