I due volti di Oscar Wilde. Un sacerdote della parola o un lussurioso libertino?
Brano tratto da un articolo di Alex Ros* pubblicato sul settimanale The New Yorker (Stati Uniti) del 8 agosto 2011, liberamente tradotto da Innocenzo Pontillo, parte seconda
“Al mondo sembro, per mia decisione, un dilettante o semplicemente un dandy: non è mai saggio mostrare il proprio cuore al mondo”, scrisse una volta Oscar Wilde. Non dobbiamo presumere che il suo cuore ci è stato rivelato quando Wilde è diventato un’icona gay, o quando è stato canonizzato nei più ampi circoli bohémien, come il santo patrono del “Sii te stesso”.
L’estetismo di Wilde, il suo culto fanatico della bellezza, era la più profonda e duratura delle sue passioni, ed è ancora la sua caratteristica più radicale. Forse solo la minaccia della persecuzione (omosessuale) ha impedito a Wilde di esprimere liberamente la propria sessualità nei suoi scritti, tuttavia potrebbe anche essere stato catturato nella moderna lotta di vivere un’identità, senza esserne definiti. L’orribile finale del suo “il ritratto di Dorian Gray”, in cui Dorian pugnala il suo ritratto in preda alla rabbia, mostra infine un uomo che perde alla fine la battaglia con la sua immagine pubblica.
Le due principali biografie a lui dedicate, tra quelle più recenti, sono Built of Books: How Reading Defined the Life of Oscar Wilde di Thomas Wright, pubblicata nel 2008, e The Secret Life of Oscar Wilde: An Intimate Biography di Neil McKenna, che è uscita nel 2005.
Entrambe ci presentano due ritratti dello scrittore quasi comicamente contraddittori.
Il Wilde di Wright è un sognatore intellettuale che raramente esce dal suo regno letterario. Ci viene detto che i suoi genitori – il chirurgo degli occhi e dell’orecchio William Wilde e la poetessa Jane Francesca Wilde, che scrisse sotto il nome di Speranza – accumularono montagne di libri a casa loro, a Dublino, che il giovane Oscar leggeva abitualmente a letto. Cosi la sua mente fu rapita da racconti popolari irlandesi, testi greci antichi, poesie romantiche e romanzi gotici.
Wright suggerisce persino che Wilde abbia scoperto la sua sessualità attraverso le pagine di Platone. “È stato un caso in cui la cultura letteraria ha sopravanzato la natura biologica?”, si chiede Wright, come se Wilde avrebbe potuto trovare i ragazzi poco attraenti se un filosofo non gli avesse messo in testa l’idea. In questo racconto, l’ultima umiliazione di Wilde non arrivò il giorno del suo arresto, il 5 aprile 1895, ma poche settimane dopo, quando la sua biblioteca fu venduta all’asta.
Il Wilde di McKenna, al contrario, è una persona assai sessuale che legge per trovare un linguaggio per il suo desiderio e scrive per esprimere quel desiderio ad alta voce. È indicato come “un martire, in un’epica lotta per la libertà degli uomini di amare gli altri uomini”.
McKenna rifiuta l’idea, esposta in precedenti biografie, che Wilde non abbia avuto una vita gay fino ai trent’anni, sino a quando ha incontrato a Oxford a Robert Ross, un adolescente canadese precocemente consapevole di sé. In effetti, alcune delle poesie giovanili di Wilde grondano di omoerotismo “E mi guardò con desiderio e so che il suo nome era Amore” e la sua prima amicizia con il pittore Frank Miles, tra gli altri, aveva una forte sfumatura sessuale.
Eppure McKenna legge troppe cose in cosi scarse prove, come scrittore della scuola del “quasi certamente”, omette tutto il materiale che smentisce la sua tesi.
I suoi capitoli si basano sulle dubbie memorie di Edmund Trelawny Backhouse, un falsario e un fantasista, che sosteneva di aver avuto una conoscenza carnale non solo con Wilde, ma anche con Paul Verlaine e con un imperatrice cinese ormai vedova .
McKenna, fissandosi sulla vita sessuale di Wilde, arriva a farne un ritratto stranamente poco lusinghiero. Lo descrive come un predatore di giovani fan della letteratura o di giovani prostituti, che si accompagnava con ragazzini di appena quindici anni, così da privare Wilde di tutto il suo fascino.
Leggere una dopo l’altra le due biografie scritte da Wright e da McKenna fa cambiare continuamente, davanti ai nostri occhi, l’immagine di Wilde, descritto dall’uno ora come un appassionato libromane e subito dopo definito dall’altro come una persona con una dipendenza sessuale.
Non c’è, tuttavia, una vera contraddizione, innumerevoli vite letterarie in passato hanno raccontato il lavoro monacale e la insensata ricerca del piacere di Wilde. Lo stesso Wilde ha sentito, per la prima volta, questa divisione in se stesso quando studiava a Oxford.
Nella poesia “Hélas!“, pubblicata nel 1881, immagina malinconicamente una vita di “controllo austero”, in cui “avrei potuto di vetta in vetta andare, alto nel sole, e dalle dissonanze della vita, un chiaro accordo trarre che giungesse all’orecchio di Dio”, ed assaporare “il miele del romanticismo” (the honey of romance) per perdere ogni equilibrio.
Sedici anni dopo, Wilde tracciò lo stesso arco discendente nel “De Profundis”, la lettera lunga un libro che scrisse in prigione ad Alfred Douglas, il suo ex amante, in cui afferma: “Stanco di essere in vetta, sono andato deliberatamente negli abissi alla ricerca di nuove sensazioni.”
Wilde non ha mai trovato la via di mezzo tra quei due estremi, anche se l’ha intravista. Scrisse “ogni eccesso, così come ogni rinuncia, porta la propria punizione”, riassumendo il suo “Dorian Gray“.
Gli epigrammi furono il fondamento della fama di Wilde e ancora lo sono. Spesso è stato visto come il padrino della cultura della celebrità, in quanto fin dall’inizio ha dato un’immagine ben riconoscibile di se. Anche ai tempi di Oxford, le sue battute si facevano strada oltre le mura dell’università. (Il suo primo successo fu: “Trovo ogni giorno più difficile essere all’altezza della mia porcellana blu.”)
Stabilitosi a Londra, nel 1879, assunse le sgargianti pose neorinascimentali che ispirarono dozzine di vignette della rivista satirica Punch e due personaggi dell’opera comica “Patience” di Gilbert e Sullivan. Mantenne atteggiamenti squisiti durante il suo giro di conferenze in America nel 1882, sopportando gli scherni degli studenti universitari e godendo dell’inaspettata ammirazione dei minatori del Colorado.
Tornato in Inghilterra, causò ulteriori chiacchiere con la sua conversione alla vita domestica, sposando Constance Lloyd e diventando padre di due figli. Solo quando pubblicò “Il principe felice e altri racconti” (The Happy Prince and Other Tales), nel 1888, la sua produzione letteraria raggiunse la sua fama. Con quella pubblicazione iniziò la fase più intensa della carriera di Wilde. La sua arguzia acquisì un aspetto più tagliente: la celebrità divenne un veicolo di sovversione.
Le sue fiabe sono fornite di deliziosi paradossi, anche se non mancano stranezze e tristezza. “Il bambino stella” (The Star-Child”) termina con la frase “E colui che venne dopo di lui governò male”.
Sono storie di amori impossibili: un pescatore che ama una sirena, una statua parla con una rondine. I genitori vittoriani che leggevano le sue storie ai loro figli potrebbero essersi imbattuti in alcune immagini forti, come quando il personaggio de “Il giovane re” (The Young King) preme le labbra su una statua di Antinoo, lo schiavo dell’imperatore Adriano.
Wilde rivela la complessità umana e la sofferenza dietro le lussuose superfici che evoca così facilmente nella sua scrittura irlandese. Il giovane re è costernato nello scoprire che i suoi sudditi hanno lavorato duramente e sono persino morti, per fabbricare le sue vesti d’oro, ma quando cerca di assumere un aspetto più umile, il suo regno si ribella contro di lui.
Wilde non è mai stato un radicale aperto alla maniera di George Bernard Shaw, ma gli imperiosi saggi che pubblicò tra il 1889 e il 1891: “The Truth of Masks,” “Pen, Pencil, and Poison,” “The Decay of Lying,” “The Critic as Artist,” and “The Soul of Man Under Socialism” hanno scavato dei tunnel sotto le fondamenta morali dell’Inghilterra vittoriana.
Ecco perché gli artisti vengono definiti fuorilegge (“Non c’è incongruenza essenziale tra crimine e cultura”), creatori di idee pericolose (per resistere meglio a “quel splendido sistema che eleva [gli uomini] alla dignità di macchine”), narratori di splendide bugie che soppianteranno ottuse verità e le usuali opposizioni rifiutando “le parole d’ordine di qualsiasi setta o scuola”.
* Alex Ross è il critico musicale della rivista The New Yorker dal 1996. Il suo primo libro, il bestseller internazionale The Rest Is Noise: Listening to the Twentieth Century, è stato finalista al Premio Pulitzer e ha vinto un National Book Critics Circle Award. Il suo secondo libro, la raccolta di saggi Listen to This, ha ricevuto un ASCAP Deems Taylor Award.
Testo originale: How Oscar Wilde Painted Over Dorian Gray