Pd, Concia vittima della capricciosa Bindi
Articolo di Lia Celi del 20 dicembre 2012 tratto da lettera43.it
Bisogna guardarsi dalle donne che si tengono i capelli bianchi. Sono veramente capaci di tutto. Nell’era delle 11enni con i colpi di sole, le chiome di neve in genere ricoprono teste più dure del corindone. Qualche nome? Rita Levi Montalcini, che alle ultime elezioni nel 2008, 99enne, è rimasta orgogliosamente in fila per mezz’ora in un seggio romano dove nessuno le aveva dato la precedenza né offerto una sedia. Rossana Rossanda, la leggendaria «ragazza del secolo scorso» che ha appena rinnegato con poche righe asciutte la sua creatura più amata, Il Manifesto.
ROSY E PAOLA, BIANCO AGLI ANTIPODI. Nella categoria «canute juniores» abbiamo due campionesse provenienti dalla politica, entrambe militanti nel Pd, e la cosa non sorprende: nel Pdl le ultra 40enni sono ammesse solo a patto di sembrare eternamente 30enni, e negli altri partiti non ci sono donne tout court. Sono Rosy Bindi e Paola Concia, unite dal colore dei capelli ma divise su quasi tutto il resto.
Una nata nei probi Anni 50, l’altra negli effervescenti Anni 60, una cattolica, l’altra laica (ancorché ex scout), una fieramente nubile, l’altra felicemente sposata, una inflessibile tutrice della famiglia tradizionale, l’altra capofila nella lotta per i diritti di gay e trans, compreso quello di sposarsi e di adottare. E dopo il 24 febbraio 2013, fra Rosy e Paola potrebbe aggiungersi un’altra fondamentale differenza: una rieletta al parlamento, l’altra no.
CONCIA ESCLUSA DAL LISTINO DI BERSANI. Com’è noto, le parlamentarie promosse dal Pd per scegliere i candidati alle prossime elezioni prevedono un listino bloccato di nomi scelti dal segretario Bersani, 90 su 900, che non verranno sottoposti al giudizio degli elettori sul territorio. Quello di Paola Concia era dato per certo: la sua azione politica anti-omofobia non è legata a un collegio particolare, ma, come dice lei, è «apolide» e si dispiega in tutta Italia, col risultato che Paola è popolare e benvoluta da Bolzano a Trapani, però non muove pacchetti di voti e clientele locali, atout che alle parlamentarie conteranno eccome.
Ma la vicepresidente dell Camera, che alle consultazioni passerà quasi certamente (chiederà la deroga al limite dei tre mandati e con tutta probabilità si presenterà in un collegio blindato), pare abbia puntato i piedi, e Paola è rimasta fuori. Con la tipica cavalleria che usa verso tutte le donne, lei si rifiuta di credere che tutto derivi da un’impuntatura bindiana, e pensa a un errore di valutazione da parte della segreteria.
SMASH CONTRO LA CAMPIONESSA DEI DIRITTI CIVILI. Fatto sta che nella prossima legislatura l’Italia si giocherà le ultime carte per diventare un Paese veramente moderno, e il Pd, che potrebbe essere il mazziere della partita, rischia di lasciare a casa l’icona (anche mediatica) della battaglia per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, ormai negati solo dalle teocrazie, dalle dittature e dai governi italiani. È come se la nazionale femminile di tennis partisse per Wimbledon senza Sara Errani.
Citazione non casuale, perché la Concia è tennista provetta, e si vanta di saper insegnare diritto e rovescio anche a un muflone. Ma sulla terra rossa della politica il match sembrerebbe averlo vinto Rosy, che pur non essendo la Sharapova (mi riferisco solo allo stile, beninteso, lungi da me alludere anche lontanamente all’aspetto fisico della Bindi, tipico argomento da berlusconiani) piazza degli smash non elegantissimi eppure micidiali.
BINDI VINCE IL MATCH CON RENZI. Tipo quelli contro l’odiato Matteo Renzi, da lei chiamato figlio di Berlusconi, inaffidabile e privo di idee, a parte quella della rottamazione, della quale peraltro l’attempata ex democristiana sarebbe stata una delle prime vittime. Durante la campagna per le primarie ogni apparizione televisiva della Bindi che schizzava fiele antirenziano veniva accolta sul web da cori di «buu» e di pernacchie anche da molti bersaniani, che già paventavano l’autogol. Invece alla fine il risultato l’ha portato a casa lei: Renzi fuori gioco, Rosy di nuovo in corsa per il parlamento.
Con in mano, posata su un vassoio d’argento, la testa argentea della pubblica peccatrice contro Dio e la Natura Paola Concia. Così impenitente da essere andata in Germania per sposarsi con la donna che ama, anziché accontentarsi di essere tollerata nel suo Paese. Così spudorata da pretendere che l’Italia sprofondi nella dissolutezza approvando leggi simili a quelle in vigore in Germania e in altre notorie sentine di vizi come Francia, Spagna e Inghilterra.
QUATTRO RAGIONI PER UN POSTO IN PARLAMENTO. «Sì, tanto brava però voleva il posto sicuro», ha malignato qualcuno in rete. Certo. Ed era una dei pochi a meritarlo, perché:
a) Bersani ha conquistato voti anche facendosi fotografare mentre sbaciucchiava paternamente una coppia lesbica, quindi è in debito con la comunità lgbt.
b) ha promesso che, se diventerà premier, si impegnerà per l’introduzione del matrimonio gay alla tedesca, il che non sarà facile se si tiene in parlamento le Bindi e i Fioroni e non la Concia.
c) Paola si è sbattuta ovunque per la causa, da un capo all’altro dell’Italia, da un contenitore televisivo a un filo diretto radiofonico, passando perfino da CasaPound, un posto dove né io né voi né Bersani andremmo neanche con una tuta da palombaro, e non ha avuto tempo per tagliare nastri e ballare alle sagre fra Abruzzo e Puglia, attività necessarie per coltivarsi il territorio.
Aggiungo una
d) c’è molta gente che se il più grande partito della sinistra ricandida una Bindi e non una Paola Concia si chiede che senso abbia votarlo. Chissà se il segretario l’ha capito e se ci metterà una pezza – se necessario una anche sulla bocca di Rosy Bindi. Perché oh, ragazzi, siam pazzi? Siam mica qui a spaccare il capello bianco in quattro.