Perchè la chiesa cattolica non sà ascoltare, ne parlare alle persone transgender?
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 6 settembre 2021, liberamente tradotto da Silva Lanzi
Qualche mese fa, due uomini cisgender ebbero uno scambio di opinioni sul Commonweal (il più antico giornale di opinione cattolico statunitense) delle problematiche di genere nella Chiesa, in particolare sulle esperienze delle persone transgender. Tratteremo di alcune delle principali idee proposte.
Daniel Walden è un gay cattolico definito, nel suo pezzo sul Commonweal, “Gender, Sex, and Other Nonsense” come “scrittore e classicista” inizia parlando dei due problemi della Chiesa riguardo a genere e sesso, vale a dire un’incapacità esteriore di “parlare in modo credibile al pubblico non cattolico” e un’incapacità interiore di “parlarsi reciprocamente in modo produttivo“. Walden critica la Chiesa istituzionale su entrambi i punti e propone alcune riflessioni sulla soluzione.
Scrive: “Il primo passo per fare fruttuose discussioni su sesso e genere è capire di cosa si sta parlando. Nelle dispute teologiche si usano termini come ‘sesso’ e ‘genere’ come se le loro definizioni fossero di per sé chiare, anche se al di fuori di quest’ambito, tra le persone che hanno passato la vita a ragionare seriamente sul loro significato, ci sono ancora discussioni in proposito”
Walden distingue l’idea, sempre più accettata dalla società, che il sesso sia relativo agli organi genitali mentre il genere sia più una realtà costruita dalla società. Riguardo a quest’ultimo, lo sviluppo verso la maturità implica, scrive Walden, l’acquisizione di storie sul proprio genere dai genitori. È, brevemente, il racconto della propria storia con le proprie parole – incluso l’argomento del ‘genere’.
Di questo processo, che, secondo lui, include anche Dio, scrive: “Comunque sia, noi esserei umani, viviamo in una storia e ci (ri)conosciamo raccontandola: quando narriamo le nostre vite, parliamo in modo diretto e profondo di noi stessi. Ma facciamo di più di questo, perché nel dischiudere noi stessi dischiudiamo anche l’opera di Dio. Portatori quali siamo dell’immagine divina, in questi atti narrativi insegnamo alle altre persone come interpretarla, come leggere ed intendere l’icona che sta loro davanti… Imporre un altro significato alla loro vita è, al contrario, una sorta di finta davanti alla divinità. È dire ad un’altra persona qualcosa che solo Dio può dire loro, arrogarsi l’autorità interpretativa ultima di esperienze che non ci appartengono. A ben pensarci, è fare violenza all’umanità dell’altro…”
Cosa c’entra tutto questo con il genere? Walden sottolinea che non è raro che la narrazione delle storie di determinate persone sia respinta e rimpiazzata da quella dell’autorità. L’approccio migliore è rapportarsi al genere altrui non semplicemente con espressioni, per così dire “esterne”, ma relazionandosi con l’intera persona. Ecco come capire “il quadro generale di chi è cosa è un individuo”. Sostiene che la teologia cattolica, “faccia discussioni sicure e sterili assumendo come discrimine il sesso come medico ed anatomico, mente trascura dolorosamente argomenti che hanno un reale peso morale ed etico,” ovvero il racconto della vita di ciascuno.
Aggiunge:“Non affermo come un dovere l’ascoltare le storie che le persone vi raccontano, includendo quelle sul loro genere, senza alcun atteggiamento critico. Ma… per farlo veramente, dobbiamo prima sapere veramente cosa critichiamo. Dobbiamo capire cosa la persona stia dicendo: quali siano i suoi termini, come si orienta nella propria esperienza, e come la disposizione di quei termini tragga senso e significato dagli eventi sequenziali dell’esperienza. Questo tipo di comprensione non nasce dalla reazione momentanea ad una sola dichiarazione, ma da uno sforzo continuo nel capire pienamente l’intera vita di una persona.”
Walden afferma che “quello che le persone ci raccontano quando si aprono correggendo la storia del proprio genere è terribilmente importante,” in particolare per le persone transgender per le quali il coming out significa trovare “modi più veri di parlare delle loro vite.”
Commenta così questo processo: “Non c’è nulla nel magistero della Chiesa che ci obbliga a non credere a queste cose quando ci vengono dette, e, in effetti, è urgente prenderle seriamente. Riesaminando la storia della propria vita, le persone cercano di essere se stesse in modo più completo, di arrivare ad una consapevolezza più matura di di ciò che sono e del senso delle loro esperienze come si sono svolte finora… Se prendiamo seriamente le parole di Gesù che noi, suoi discepoli, conosceremo la verità ed essa ci farà liberi, allora dobbiamo anche agli altri questo atteggiamento nell’accogliere i loro tentativi di dire la verità su se stessi e cercare di vedere la verità in ciò che dicono, anche e, forse soprattutto, quando con i nostri modi di parlare e di pensare consueti non la accolgliamo facilmente.”
Notando che i commenti contrari alle persone transgender spesso descrivono la loro comprensione del genere come “difettiva”, Walden sostiene che una visione del genere esistente all’interno di una creazione “caduta”. La comprensione del genere è comunque difettiva, citando, come esempio, i problemi del patriarcato nella società. Il problema è che è impossibile sapere cosa significasse la parola “genere” prima della caduta.
Le persone transgender, allora, mostrano il mistero del genere e richiamano all’umiltà: “Prima di tutto, quest’umiltà significa essere consci del proprio peccato. Il modo in cui viviamo il genere è oggettivamente un po’ subdolo ed egoista: il matrimonio e la vita religiosa sono entrambe scuole per dimostrarlo e insegnarci a vivere meglio.
Che il tentativo di qualcuno di vivere in modo autentico possa sconvolgere le nostre convinzioni la dice più lunga della povertà dei nostri schemi di pensiero che dell’altra persona, così come la necessità di cambiare il nostro linguaggio dice solo che esso è sempre stato inadeguato. Nulla di ciò è nuovo ad una tradizione cristiana in cui Dio sfugge sempre e comunque ai nostri tentativi di inquadrarlo con le parole mentre mostra la sua opera nelle vite di tutti quelli che incontriamo.”
Walden conclude con un’ulteriore esortazione all’umiltà e all’ascolto: “Pensare che Dio rifugga una storia di vita completamente diversa dalla nostra è leggere un’altra persona attraverso gli occhi del nostro peccato e le bugie che il peccato ci ha insegnato. È peccare – e noi l’abbiamo fatto così tanto – contro di loro e contro il Dio che li ha creati, quando quel che davvero gli dobbiamo è un nuovo inizio… Quando diamo tempo ad una persona di essere chi è e raccontare la propria storia, prendiamo anche parte, per quanto pallidamente, ad un atto di creazione, e, così facendo, diventiamo più compiutamente le creature che siamo stati creati per essere. Una volta imparato a fare così, possiamo iniziare a parlare veramente.”
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0, blog quotidiano di notizie, opinioni e testi spirituali relativi al mondo LGBTQ cattolico. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: Part I: Writer Daniel Walden Proposes Narrative Approach to Transgender Issues in Church