Imago Dei. Vivere ad immagine di Dio al di là del nostro genere
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 4, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Genesi 1:27 non ci offre nuove parole per aiutarci a comprendere la realtà del genere umano, ma ci dà un nuovo concetto teologico. Ci viene detto che gli uomini sono creati a immagine di Dio – imago Dei, come la chiamano i teologi. Poiché la creazione di maschio e femmina viene menzionata quasi nello stesso istante, molti si sono chiesti se i due fossero in qualche modo correlati. Quale parte di noi riflette l’immagine di Dio? Potrebbe avere qualcosa a che fare col nostro sesso o genere?
Nella sua opera Dogmatica della Chiesa Karl Barth ha tracciato uno studio approfondito del modo in cui è stata interpretata nel tempo la imago Dei. Uno scrittore successivo ha riassunto i suoi studi dicendo: “Ogni interprete si è attenuto solamente all’antropologia e alla teologia della propria epoca. In altre parole, ogni grande pensatore ha guardato il mondo attraverso la lente del proprio tempo e luogo, come facciamo tutti noi. Per esempio, Atanasio di Alessandria, vescovo del IV secolo, pensava che l’immagine di Dio data agli uomini fosse la nostra logica.
Considerando l’importanza della logica fra gli Stoici greci e nell’Impero Romanoromano, che all’epoca governava Alessandria, avrebbe avuto senso per Atanasio giungere a tale conclusione. Ha anche un senso che quando osserviamo il comportamento di creature non umane, quello che sembra distinguerci è la nostra capacità di ragionare”.
Non tutti gli studiosi sono giunti alla stessa conclusione. Forse è più semplice raggruppare le teorie sull’immagine di Dio in tre categorie. Un gruppo pensa, come Atanasio, che riflettiamo l’immagine di Dio attraverso una caratteristica non fisica che ci è stata data. Un secondo gruppo ritiene che l’immagine di Dio sia in qualche modo stampata sul nostro corpo: tramite il genere, la forma del nostro corpo, o il modo in cui camminiamo su due gambe. Un terzo gruppo vede l’immagine di Dio nelle nostre relazioni verso con Dio e con il resto del creato.
Fra le prime opere in cui si suggerisce che l’immagine di Dio abbia a che fare col nostro corpo fisico troviamo un articolo del 1897 dello studioso Theodore Noeldeke. Dato che i Cristiani hanno sempre inteso Dio Creatore di Genesi 1 senza un corpo, molte persone hanno considerato l’immagine di Dio un’estensione di Dio stesso. Nel 1940 un altro studio ha analizzato i termini ebraici per “immagine” e “somiglianza”. Le stesse parole venivano usate per descrivere statue e altre opere d’arte nella Bibbia, suggerendo che forse esisteva qualche connessione fisica.
Un terzo studio pubblicato parecchi anni dopo faceva notare che queste stesse parole vengono usate in Genesi 5:3 quando Adamo parla del figlio Seth: “Adamo…generò un figliolo a sua somiglianza, conforme alla sua immagine; Adamo generò Seth a sua immagine. La seconda affermazione è molto chiara: il figlio assomiglia al padre: gli assomiglia nella forma e nell’aspetto. La prima affermazione va interpretata di conseguenza: il primo essere umano assomiglia a Dio in forma e apparenza”.
Ma c’è una differenza cruciale fra questi due passaggi, nel verbo usato per descrivere esprimere che si è dato data la vita ad una nuova persona: P per Dio il verbo è “creare”, per Adamo “generare”. Mentre generare un figlio è in un certo senso un atto di creazione, ogni genitore può dire che non si può scegliere l’apparenza e la personalità di un figlio. Invece, quando Dio crea, ha la libertà di farlo come vuole.
Alcuni studiosi moderni hanno suggerito che l’immagine di Dio è rappresentata dal nostro sesso e che questa immagine è realizzata pienamente quando un uomo e una donna cisgender si uniscono in matrimonio, rimettendo insieme qualcosa che era stato separato. Altri, come il teologo James Brownson, sono in disaccordo: “Il fatto che maschio e femmina siano entrambi creati a immagine divina ha lo scopo di trasmettere il valore, il dominio e la relazionalità condivisi da uomini e donne, ma non l’idea che la complementarità dei generi sia in qualche modo necessaria per esprimere o incarnare pienamente l’immagine divina”.
Verso la fine del suo saggio sulla Imago Dei, Barth conclude: “Il passaggio di Genesi 1: 26-31 non sembra prestare più attenzione al corpo dell’uomo di quanto non faccia alla sua anima e alla sua natura intellettuale e spirituale”. In effetti sarebbe risultato strano per l’antico popolo ebreo pensare all’uomo come qualcosa di diviso in mente, corpo e anima, come facciamo oggi. Questo modo di pensare è proprio della filosofia greca, e all’epoca in cui è stata scritta Genesi 1 non esisteva ancora tale filosofia.
Il biblista ebreo Claus Westermann ha puntualizzato: “La discussione se l’immagine e la somiglianza di Dio si riferissero all’aspetto corporeo o spirituale della persona ci ha portati alla conclusione che la questione è stata posta in modo errato”. Egli dice che questo versetto: “non riguarda né le caratteristiche fisiche né quelle spirituali delle persone; si riferisce alla persona nella sua totalità”.
Per il pastore transgender Barclay vivere come un riflesso dell’immagine di Dio è possibile solo se si vive come persona nella sua interezza, in modo autentico senza nascondere nessuna parte di sé. Quando gli chiesi se sostenesse qualche teoria particolare sull’immagine di Dio, mi fece conoscere i sermoni del riformatore John Wesley su questo tema. “Mi piace l’approccio di John Wesley all’immagine di Dio. Per lui si tratta di capacità relazionali, non di una singola caratteristica innata”.
Wesley immaginava l’imago Dei formata da tre parti differenti: predicava che la le persone erano create a immagine naturale di Dio (un essere spirituale dotato di comprensione, libera volontà e vari affetti); a immagine politica di Dio (il governatore di questo mondo inferiore, che ha dominio sui pesci del mare e su tutta la terra); e a immagine morale di Dio (in rettitudine e vera santità e pieno di amore). Credeva che questo fosse il nostro modo d’essere prima della caduta, ma che le persone sono ancora in grado di vivere con queste caratteristiche con l’aiuto di Dio.
Per Barclay la possibilità di vivere nell’immagine morale di Dio è molto suggestiva. “Wesley usa l’immagine del respiro e dice che noi respiriamo la compassione, la generosità e l’amore di Dio e dovremmo espirare gli stessi sentimenti verso gli altri. Quindi dipende tutto da come ci poniamo verso gli altri e verso la creazione”.
Il fatto è che non possiamo essere nella giusta relazione con gli altri se non siamo in grado di vederci veramente. Non possiamo essere davvero presenti in una relazione se stiamo murando rinchiudendo una parte di noi stessi o ci nascondiamo dietro una maschera. Barclay sospirò: “Diventa davvero difficile essere se stessi quando si è rinchiusi in una gabbia”.
Cominciò a raccontarmi le sue esperienze in seminario prima del coming out come non binario. “Mi ritrovavo ad arrabbiarmi con le persone che usavano i pronomi lei, sua, rivolgendosi a me, e questo non era affatto giusto, perché non lo sapevano! Stavo inibendo le mie relazioni per sentirmi al sicuro. I miei rapporti con gli altri, con me stesso, con la mia comunità erano inibiti. Ero limitato nella mia capacità di vivere nel mio intimo a immagine di Dio”.
Quando Barclay fece coming out le cose cominciarono a cambiare. Piuttosto di cercare di conformarsi alle attuali aspettative sociologiche di uomini e donne, M. cominciò ad esprimersi esattamente come si sentiva di essere. Cominciò a destrutturare il muro costruito intorno a se stesso e a togliere la maschera e ci volle un atto di fede. Permettere agli altri di vedere quello che Dio aveva sempre visto.
Allora come si manifesta nei nostri corpi l’immagine di Dio? Nello stesso modo in cui si manifesta nel resto del nostro essere. L’immagine di Dio non è stata data all’umanità a pezzi, con un po’ di vita nel tuo braccio sinistro, un altro pezzo nella tua anima e un altro nella tua capacità di discutere e ragionare. Si tratta di un dono che risuona in tutto ciò che siamo, coi toni profondi di una campana che suona in lontananza, ci sveglia e ci spinge avanti verso Dio e verso il prossimo.
Mentre parlavamo, Barclay ed io abbiamo convenuto che sarebbe stato impossibile cercare di vivere nell’immagine di Dio mentre stavamo negando la nostra identità di genere. Abbiamo dovuto dire di sì a come Dio ci ha creati prima di poter immaginare Dio nel mondo. Una cosa doveva avvenire prima dell’altra altrimenti le nostre difese si sarebbero intromesse.
Quando ho chiesto a Barclay come spiegasse la relazione tra questo grande concetto teologico e la sua identità di genere, ha riflettuto un attimo prima di rispondere. Infine, ha detto: “La mia transessualità è legata solo all’immagine di Dio in me, in quanto mi permette di essere naturalmente, politicamente e moralmente nella giusta relazione con me stesso, con la mia comunità e con il creato nel suo insieme. Non ha niente a che fare con la imago Dei e nello stesso tempo ha tutto a che fare con essa”.
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