Teologia e genere. Mosè, mito di un uomo racconto di un maschio
Dialogo di Katya Parente con il pastore valdese Gabriele Bertin
Fresco di nomina, è con noi Gabriele Bertin, pastore valdese che si prende cura delle comunità di Taranto, Grottaglie, Brindisi e della diaspora salentina, autore di “Mosè. Mito di un uomo racconto di un maschio” (Claudiana, 2021). In questo volume l’autore rilegge, in modo nuovo ed inedito, la vicenda del patriarca ebreo. Lasciamo a lui la parola.
Innanzitutto, qual è la genesi della tua opera?
Innanzitutto preciso che il libro, pubblicato da parte della Claudiana, è una revisione della mia tesi di laurea magistrale presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma. Durante gli anni di studio in vista del pastorato ho avuto l’occasione e il piacere di confrontarmi sovente con il pensiero delle teologie femministe, del mondo LGBT e delle teologie queer. In questo ambito, quindi, è nato il mio interesse a riflettere sul rapporto fra teologia e genere, ma con una prospettiva diversa. Sono infatti molte le opere e gli studi che riportano l’attenzione sullo sguardo femminile o sulle figure femminili della Bibbia. Molto più ridotto è l’apporto di studi e riflessioni dal punto di vista maschile, con un’ottica più critica e riflessiva, che parta da sé.
In particolare, nell’Antico Testamento sono molto rari studi o articoli di questo genere, salvo alcuni sul tema dell’omosessualità o sulle figure di Davide e Gionatan. Così ho voluto provare a lanciarmi in questo percorso e cercare di coniugare il mio interesse per le teologie di genere con la passione per l’Antico Testamento, rifacendomi ad alcuni articoli in lingua inglese che, cogliendo l’eredità del pensiero femminista, avevano cominciato a riflettere in maniera diversa sulla costruzione del maschile a livello culturale, ma anche teologico.
In origine avrei voluto proporre una riflessione generale sulla maschilità nell’Antico Testamento, ma, a seguito di un colloquio con Thomas Römer, docente presso il Collège de France di Parigi, nel quale mi invitava a rivedere il progetto concentrandomi su una singola figura biblica, ho deciso di concentrare il lavoro attorno alla figura di Mosè, prendendo in analisi un campionario di testi che la riguardavano e provare ad analizzarli attraverso i criteri dei gender e men’s studies.
Il tuo libro parla di Mosè, archetipo di profeta, uomo e maschio. Quanto il maschilismo biblico ha influenzato l’immaginario collettivo, e di conseguenza, la società?
Credo che il maschilismo, ma più che altro il “maschiocentrismo”, abbiano fortemente influenzato l’intera società, la cultura, e anche le Chiese e la teologia. Non è più un mistero che tutto ciò che ci circonda sia stato pensato e organizzato in una prospettiva maschile, nota come patriarcato, e così anche le Chiese e la teologia, che per anni sono state monopolio del mondo maschile, etero e cisnormativo.
In questo, io credo che anche l’immaginario biblico del maschile e delle relazioni fra i generi sia stato estremamente centrale per promuovere un’immagine così violenta, separata e disarmoniosa delle relazioni fra generi. Non è un caso, credo, se nelle loro campagne elettorali sia Bolsonaro che Trump si rifacessero sovente a episodi della Bibbia (anche dell’Antico Testamento), parlando di ordine divino e di differenze fra uomini e donne, e di gerarchia.
Per secoli è stata proposta una lettura a senso unico dei testi biblici, ed una loro interpretazione completamente sradicata dal contesto sociale nel quale venivano letti. Su questo, io credo che un grazie vada rivolto alle donne che hanno scoperchiato la violenza della visione parziale del mondo maschile e ci hanno offerto la possibilità di cogliere questa critica per fare a nostra volta, come maschi, un lavoro di tessitura delle relazioni, un atto di solidarietà e complicità partendo innanzitutto da noi, anche e proprio dalla lettura e dallo studio dei testi biblici, dove possiamo ritrovare personaggi molto più vicini e vicine a noi di quanto immaginavamo.
Credo, quindi, che le Scritture, così come la loro interpretazione inalterata per secoli, abbiano rafforzato e incancrenito una visione del divino e del suo progetto per l’umanità, escludendo tutto ciò che rischiava di portare disordine in questa visione a senso unico. Per questo, ritengo che sia estremamente urgente, al giorno d’oggi, imparare a rileggere la Bibbia, ma così come altri spazi collettivi della nostra società, con un’ottica imparziale, che si apra alla possibilità di farsi interrogare dall’alterità e dalla differenza.
In che modo la teoria queer e il femminismo possono aiutare a rileggere gli episodi della Bibbia?
Non direi che solo la teoria queer e il femminismo possano aiutare nella lettura dei testi biblici, ma credo fermamente che tutte quelle interpretazioni/visioni/prospettive che permettono di spostare lo sguardo e la prospettiva di riflessione da un centro al margine, siano vitali per il progredire del pensiero teologico e spirituale delle nostre Chiese.
Quello che hanno fatto le teologie femministe e la comunità LGBTQ e queer è stato di denunciare come quella che si credeva fosse l’interpretazione unica ed assoluta, altro non era che un piccolo spaccato di una piccola parte del mondo, sovente e principalmente maschile, cisgender, etero, bianca ed occidentale. In questo, io credo che leggere la Bibbia e interpretarla anche grazie al pensiero delle teologie femministe e LGBTQ ci può far capire e spostare sempre e di nuovo il nostro centro e lo sguardo al di là di dove pensavamo di essere arrivati, proponendo una teologia che sappia essere intersezionale, che consenta la libertà a tutti i soggetti nella loro varietà identitaria, affettiva e spirituale di potersi rispecchiare ed essere accolti fra le pagine di questo ampio e variegato libro che è la Scrittura.
Come maschio, credo che ciò che mi hanno dato e mi continuano a dare queste prospettive di lettura ed interpretazione sia proprio la necessità di mettermi sempre in discussione, ma anche di prendermi il mio diritto di parola e di interpretazione, riconoscendone la parzialità e il rischio più o meno consapevole di ricadere in alcuni schemi interpretativi che possono essere eco di visioni binarie, patriarcali o colonialiste.
Credi che sia legittimo adoperare strumenti interpretativi e critici moderni per approfondire testi nati in un ambiente culturale così diverso dal nostro?
Credo che sia necessario, anche per rendersi conto che la Bibbia, nella sua totalità e varietà, non può fornirci le risposte ad ogni nostro interrogativo odierno. Come scrivo nell’introduzione al libro, gli studi e le riflessioni sul maschile, che cominciano a fiorire in questi anni nelle nostre accademie, non stanno nel background di chi scriveva i testi dell’Esodo o del Levitico.
Questo vale in molteplici ambiti che oggi, credo, si rischia di interpretare con l’ausilio delle Scritture, non rendendosi conto che gli interrogativi di oggi non erano quelli di allora, o almeno non così specifici. E questo vuole anche saper riconoscere che gli strumenti con cui interroghiamo le Scritture a volte possono risultare forzati, o completamente inadatti alla nostra ricerca. Ma sono anche convinto che leggere e studiare la Parola oggi voglia anche dire riconoscerle il potere di incarnarsi sempre e di nuovo nelle vite di chi la legge, e questo vuol dire aprire le porte ad una varietà di possibilità interpretative, sicuramente parziali, ma che possono aprire spiragli nuovi, dove la relazione diventa biunivoca: come io interpreto le Scritture, così loro interpretano e rileggono me nel mio essere credente al giorno d’oggi.
Credo quindi non solo che sia legittimo, ma anche necessario continuare ad interrogare la Parola con interpretazioni e strumenti così diversi, riconoscendo sempre, però, che non sono strumenti assoluti, ma che hanno un determinato valore e un grande potenziale.
Com’è vedersi pubblicata la propria tesi di laurea da una casa editrice prestigiosa come la Claudiana?
È stato un bel colpo al cuore. Quando la mia correlatrice di tesi, la pastora Letizia Tomassone, mi propose di parlare con la Claudiana per poter pensare ad una pubblicazione, non credevo che sarebbe mai realmente successo. Le tempistiche, poi, si sono allungate a causa del COVID e della difficoltà nella quale si è trovata la casa editrice. La fase di revisione, però, è stata molto importante per riflettere sul fatto che il testo doveva diventare fruibile per le persone, e quindi rivedere il linguaggio, l’ampiezza e la complessità. Cosa che magari non sono riuscito a fare perfettamente e come avrei voluto, ma confido che chi si avvicina alla lettura di questo testo, possa trovarci non tanto delle risposte, quanto piuttosto degli stimoli riflessivi, e anche provocatori, per continuare la propria ricerca personale e, perché no, anche collettiva.
Sicuramente vedere, a ventisei anni, la propria tesi pubblicata mette un po’ di timore e di paura (anche per imparare a muoversi nel contesto della pubblicità e promozione del testo), però confido anche che questa strada possa essere l’inizio di una riflessione collettiva, non solo fra uomini, ma fra tutti i generi, per poter cercare assieme di riconoscersi, nella propria varietà, immagine e somiglianza del divino, senza dover chiedere giustificazioni o scuse.
Auguriamo a Gabriele che Dio lo sostenga nella missione pastorale appena intrapresa, e auguriamoci che una visione così sfaccettata e assolutamente non monolitica della Scrittura, e della Parola divina ad essa sottesa, fecondi anche il pensiero teologico e filosofico della Chiesa Cattolica, affinché si apra davvero ai bisogni più profondi di una parte di fedeli che, fino ad ora, si sono sentiti figli di serie B.
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