Quattro mussulmani si confrontano su Islam e omosessualitá
Dialogo di Kerem Adigüzel*, Elias**, Christian Awhan Hermann*** e Mazin**** pubblicato sul sito di Amnesty International (Svizzera) nel marzo 2019, liberamente tradotto da Andrea Boschetto
Numerosi Paesi e società che si dichiarano islamici non tollerano le persone LGBTQIA+. Quattro musulmani riuniti attorno ad una tavola rotonda discutono sulle possibilità di migliorare la situazione.
AMNESTY: Come spiegate che così tante persone LGBTQIA+, cresciute in Paesi musulmani o all’interno di una famiglia praticante, abbiano delle difficoltà ad accettare il proprio orientamento sessuale e a viverlo apertamente?
Elias: Il problema è dovuto più alla cultura che alla religione. Quand’ero molto giovane, rimasi scioccato nell’apprendere che l’Islam storico era abbastanza aperto nei confronti dell’omosessualità. Agli albori dell’Islam, i comportamenti omosessuali erano molto diffusi, e raramente considerati problematici. Due sono i motivi che spiegano perché oggi le cose non stanno più così: nel XIX secolo si è iniziato a considerare l’omosessualità non più come un comportamento, ma come un’identità. Sotto l’influenza della colonizzazione europea, i Paesi musulmani hanno adottato questo mondo di categorizzare gli individui, e con esso il giudizio negativo attribuito a certi orientamenti sessuali. Non è tuttavia presente alcun riferimento diretto all’omosessualità nel Corano. I governi dei Paesi musulmani propugnano quasi sempre la tesi secondo cui l’omosessualità è un “prodotto d’importazione” dell’Occidente, il che è assurdo.
Condividete l’opinione secondo cui non è la religione a creare problemi, ma la cultura?
Christian: Senza alcun dubbio. L’Islam viene ingiustamente evocato per giustificare dogmi e divieti che servono a marginalizzare le minoranze. L’omosessualità è vista come l’origine di tutti i mali. In questi Paesi, le persone LGBTQIA+ subiscono una pressione molto forte.
Kerem: L’ignoranza è un problema. Un buon numero di persone musulmane non si interessa abbastanza all’argomento da rendersi conto che ciò che viene loro raccontato dagli imam e dalle autorità è falso. Occorre correggere urgentemente i pregiudizi che corrono, cosa che numerose moschee e istituzioni religiose evitano di fare, per paura di perdere il loro potere e la loro influenza.
Mazin: Penso che in alcuni passaggi del Corano si possa leggere una condanna dell’omosessualità, per esempio nella storia di Lot e di Sodoma.
Christian: È una questione di interpretazione. Il racconto originale resta molto vago in proposito. Non si trova, in tutto il Corano, una sola riga che rifiuti esplicitamente l’omosessualità.
Kerem: Si può naturalmente imbastire ogni sorta di interpretazione negativa. Ma non ci vedo alcun fondamento solido.
Le difficoltà non deriverebbero proprio da lì? Dal fatto di far dire al testo ciò che fa comodo, e di utilizzarlo per sostenere le proprie tesi?
Christian: Alla base c’è un forte complesso di inferiorità. Per secoli la civiltà araba ha dominato buona parte del mondo in ambito scientifico, culturale e militare. La perdita di questo status è difficile da incassare, da qui l’importanza di sottolineare la differenza con l’Occidente e l’attaccamento ad una fede dogmatica.
Elias: Colui che osa mettere in discussione i dogmi del passato si ritrova immediatamente ad essere accusato di voler “rivoluzionare l’Islam”. Il rifiuto dell’omosessualità è così diffuso, che il semplice fatto di interrogarsi sulla fondatezza di tale condanna è già considerato come un sacrilegio.
Mazin: Quando ripenso alla mia adolescenza tormentata in Arabia Saudita, tutte queste riflessioni non hanno molto peso di fronte alle angosce, all’odio di sé e agli istinti suicidi che ho provato allora.
Christian: Si tratta però di trovare un modo di coesistere, qualunque sia l’interpretazione che ci sta a cuore. È praticamente impossibile cambiare l’opinione delle persone, ma dovremo per lo meno essere in grado di portarle ad accettare che esistono altri modi di vedere le cose.
Ci racconti com’è andato il suo coming out.
Mazin: Mi sono accorto di essere gay fin da giovanissimo, ma lo sentivo come un difetto enorme, e quindi mi sforzavo di essere irreprensibile. Non ero solo uno studente eccellente, ma anche un musulmano estremamente praticante. È solo all’età di vent’anni che la religione ha perso la sua importanza, e ho cominciato a esplorare liberamente la mia sessualità. Ma continuavo ad odiare me stesso, in particolare a causa del disprezzo riservato ai gay nella società saudita. Sono caduto in depressione, e mi sono sottoposto a cure mediche per cinque anni. Solo più tardi mi sono riconciliato con la mia sessualità.
Christian, perché ha scelto di convertirsi all’Islam?
Christian: Sono cresciuto a Norimberga, dove ho ricevuto un’educazione protestante, e ho fatto coming out a diciannove anni. Ho chiuso con la Chiesa subito dopo, perché non mi ci riconoscevo più. L’Islam mi attirava già all’epoca, ma da uomo gay pensavo che non sarei stato particolarmente il benvenuto. Ho vissuto a lungo la mia fede monoteista in un angolo, senza essere legato ad alcuna religione. Nel 2017 mi sono avvicinato all’Islam perché ho capito che questa religione può essere vissuta in modo progressista ed inclusivo. Ho iniziato la formazione di imam per aiutare le persone LGBTQIA+ di confessione musulmana, che è ciò che faccio ora.
In quali Paesi musulmani la situazione delle persone LGBTQIA+ è migliore che in Arabia Saudita?
Elias: Il Marocco, e soprattutto la Tunisia, stanno avanzando nella giusta direzione, non ancora sotto il profilo giuridico, ma nella vita di tutti i giorni. A Casablanca ci sono addirittura dei bar gay; certo, non si dichiarano apertamente come tali, ma tutti in città sanno dove si trovano. Il Libano ha la reputazione di essere un Paese relativamente liberale.
Christian: In diversi Paesi, il motto “Don’t ask, don’t tell” sembra funzionare bene. Si possono fare molte cose, persino organizzare feste, a patto di rimanere discreti.
Kerem: il Pakistan riconosce legalmente da poco l’esistenza di un terzo genere. In questo è avanti rispetto a numerosi Paesi occidentali. In Iran ci sono dibattiti tra i teologi, segni di apertura.
Che cosa bisognerebbe fare affinché la situazione migliori in tutti i Paesi musulmani?
Christian: Le cose stanno cambiando, oggi abbiamo uno strumento che le generazioni passate non hanno conosciuto: la tecnologia. Grazie ad Internet, anche una valle isolata del Pakistan è in contatto con idee e individui provenienti dal mondo intero. In rete i giovani LGBTQIA+ scoprono improvvisamente modelli nei quali possono identificarsi. Anche un uomo gay in Somalia avrà così accesso ad un Islam progressista ed inclusivo.
Kerem: Dobbiamo affrontare il tema molto più attivamente nelle moschee, con l’obiettivo di smorzare i pregiudizi. Ci serve una pluralità di punti di vista al posto del pensiero unico che regna allo stato attuale: l’unità nella diversità, piuttosto che una fede cieca che ostacola ogni evoluzione. La diversità richiede allenamento, si tratta di insegnarla e di erigerla a modello.
Christian: Per ironia della sorte, è proprio la religione che può aiutarci a raggiungere questo obiettivo. Dobbiamo prendere nuovamente in considerazione ciò che costituisce il cuore dell’Islam e di tutte le grandi religioni del Libro: l’amore, la pace, l’accettazione di tutti gli esseri. Non dimentichiamo che dovunque ci siano esseri umani, ci sarà speranza.
* Kerem Adigüzel, trentun anni, etero, nato in Svizzera da famiglia turca. Ingegnere presso le Ferrovie Federali Svizzere. È a capo dell’associazione Al-Rahman, e ha scritto un’opera intitolata “Clés pour comprendre le Coran”.
** Elias, ventun anni, etero, è nato e cresciuto in Germania da padre tedesco e madre marocchina; studia scienze religiose, e ha appena terminato la sua tesi triennale a proposito delle persone LGBTI e il mondo musulmano.
*** Christian Awhan Hermann, quarantotto anni, gay, si è convertito all’Islam nel 2017 e ha di recente terminato la sua formazione di imam. Ad oggi è uno dei due soli imam omosessuali in Germania.
**** Mazin, trentaquattro anni, gay, originario dell’Arabia Saudita, informatico, vive da qualche anno in Svizzera.
Testo originale: L’ISLAM INSTRUMENTALISÉ