Grazie a mio figlio transgender mi sono liberata da una mentalità bigotta
Testimonianza n.2 di una madre con un figlio transgender della Norvegia, tratta da Tell it out (Dillo fuori), libro di testimonianze di genitori con figli LGBT+ di tutta Europa realizzato da ENP – European Network of Parents of LGBTI+ Persons (Rete Europea di Genitori di Persone LGBTI+) con il supporto editoriale de La Tenda di Gionata ed il contributo del Consiglio d’Europa, edito nel 2020, pp.9-10, liberamente tradotto da Diana, revisione di Giovanna
Pensavo di avere una bambina. La mia unica figlia: bionda, snella, bella e femminile. Molto più femminile di quanto io fossi mai stata. Tacchi alti, molto alla moda. Si rivelò tutto sbagliato. “Mamma, sono un ragazzo. Non sono una ragazza”, mi disse mia figlia a 18 anni, “Non posso più di vivere come una ragazza. Dentro di me sono un ragazzo”.
Ne fui devastata. Lo misi in discussione. Non lo accettai. “Ma se tu hai visto a malapena un paio di jeans,” ribattei, “indossi sempre tacchi alti e vistosi abiti femminili. Come puoi essere un ragazzo?”. La risposta mi aiutò a capire. “L’unico modo in cui riesco a vedere il mondo in forma femminile è quando mi sento un uomo in trappola”. La risposta mi colpì. Aveva un senso.
Divenne una realtà. Una realtà sconosciuta, spaventosa. “Lei” doveva diventare “Lui” nei miei pensieri e nei miei discorsi. Era difficile. Piansi, andai in panico, maledissi l’intero universo, trascorsi lunghe notti senza sonno, ero devastata. Ero in lutto per la perdita di mia figlia. Non avevo idea di cosa fare. Mi sentivo un’idiota: come avevo potuto non accorgermene?
Lentamente mia figlia divenne un ragazzo. Per me era tutto nuovo. Fortunatamente per lui non era così nuovo. Mi aiutò a trovare persone con cui parlare, che avevano esperienza su questo argomento. Mi procurò libri e siti per aiutarmi a comprendere. Cominciai a capire meglio, ma continuai a essere preoccupata.
Ero molto spaventata per lui. Mi preoccupavo per come sarebbe stata la sua vita. Le statistiche di suicidi tra giovani transgender mi spaventavano a morte. Sarebbe sopravvissuto? Avrebbe ricevuto un’adeguata assistenza sanitaria? E riguardo all’amore? Come avrebbe trovato l’amore? Non conoscevo nessun transgender, non conoscevo nessuno come lui che avesse trovato l’amore. E il lavoro? Avrebbe mai trovato lavoro con così tanta ignoranza e pregiudizio? Questi pensieri mi torturavano.
Il tempo passò. Il mio ragazzo divenne un giovane uomo. Tra esami clinici, terapia ormonale e interventi chirurgici è riuscito a continuare la sua istruzione. Ha impiegato un po’ di più rispetto alla media, naturalmente, ma ce l’ha fatta.
La mia prima paura ad essere superata è stata quella che non avrebbe trovato nessuno da amare. Mi sbagliavo; l’interesse per l’amore c’era. C’erano stati parecchi ragazzi e ora aveva una relazione stabile da parecchi anni col suo ragazzo. A poco a poco scomparvero anche le mie paure per la sua serenità.
Ora è più sereno e contento di se stesso, più fiducioso di sé ed è impegnato attivamente per rendere più semplice la vita degli altri transgender in Norvegia. Oggi è un uomo, un omosessuale brillante, transgender, amato e rispettato. Oggi mi sembra strano averlo visto come una ragazza. È un uomo. Riguardo al lavoro, non pare ci siano problemi. Sono così sollevata e riconoscente per il suo coming out.
Cosa ho imparato da tutto ciò? Molto! Mi considero fortunata per questa lezione di vita. Mi ha dato lezioni di amore, di differenza di genere e sesso. Mi ha fornito approfondimenti su temi che dobbiamo affrontare nella nostra società.
Mi ha dato uno scopo. Ma in primo luogo ha reso la mia mente soprattutto più agile e flessibile. Mio figlio mi ha liberata dalla maledizione di una mentalità rigida e bigotta.
Per questo gli dico grazie!
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