Cari senatori perché applaudite mentre mi insultano solo perché sono gay?
Lettera aperta inviata ai senatori italiani da Paolo di Bologna
Mi chiamo Paolo e vivo a Bologna. Ho letto su Facebook l’invito del Progetto Gionata a trasmettere i propri riflessioni, in merito a quanto accaduto nella triste giornata di ieri.
La prima immagine che mi ha colpito è vedere membri del senato esultare scompostamente per una vittoria, come quando l’Italia ha vinto agli Europei.
Mi interrogo su questa vittoria, in particolare pensando al mio vissuto di un uomo di quasi 40 anni, che ancora porta le vive ferite di una non accettazione ed in molti casi repulsione della propria dimensione di omosessuale; dinamiche vissute in vari ambiti, da quello parrocchiale a quello scolastico, a quello dei gruppi in cui mi capitava di trovarmi.
Spesso sguardi di scherno e straniti, che dall’alto al basso mi squadravano per come mi muovevo o per come mi potevo approcciare ai vari argomenti o a loro, sempre attenti a tenermi educatamente distante; e sottolineo ‘educatamente’, così da rispettare con gli altri l’etichetta del “politicamente corretto”. E capitava che un compagno di classe mi dicesse “non guardarmi da frocio” o mi sputassero addosso, talvolta esprimendosi in blande imitazioni di me, spesso a pochi passi da me,…tutto giustificato, perché tanto si sta scherzando.
Come giustificate, a dir loro, erano le svastiche che alcuni apponevano in bella vista sulle pagine dei miei libri di scuola.
Capitava inoltre che un conoscente di un coro parrocchiale in cui cantavo mi dicesse che delle signore del coro mi ridevano dietro per come mi muovessi o gesticolassi mentre cantavo; e quello stesso conoscente mi suggerisse di essere più ‘come lui’, ossia più (usando le sue parole) ‘normale’. O che un gruppetto di ragazzi, perfetti sconosciuti, mi aspettassero fuori dal campetto da calcio dove un mio amico mi insegnava a fare tiri di rigore, per schernirmi dicendo che sembravo una ragazza e facendo poi a turno nell’estrarre un ragazzo della compagnia che dovesse ‘provarci con me’.
Sono piccoli ma significativi episodi di una lunga lista, come ciascuno di noi ne avrebbe da raccontare, che hanno puntellato in noi nitide cicatrici.
Ancora oggi ho paura ad incrociare certi sguardi, o a trovarmi isolato in certi contesti affollati di persone; a trovarmi minoranza o ancor più paura di rimanere solo. Ferite che ti segnano a vita.
Tornando dunque alla cosiddetta ‘vittoria’ di cui i Senatori di ieri hanno esultato, io non so quanti di loro abbiano figli o amici o fratelli/parenti che abbiano vissuto e stiano vivendo ferite occasionate semplicemente dal loro orientamento sessuale o identità, ma non vivere personalmente o attraverso terzi certe dinamiche ghettizzanti ed umilianti non può giustificare il loro trascurarle fino a disinteressarsene.
Un po’ come dire: non mi riguarda allora non è importante ed anzi, non deve violare la mia libertà, intesa come tutto ciò che possa intaccare in qualche modo la mia area di comfort.
Quante persone riducono realtà complesse come ad esempio la Chiesa e le persone che la compongono ad una grande ‘area di comfort’, in cui ricondurre semplicistiche categorie rispetto a cui ‘se non ti sposi o non ti consacri’ allora probabilmente hai un problema e in quel caso, è meglio che tu tenga nascosto il tuo vissuto e, se non sei di disturbo agli altri, allora vieni tollerato, ancor più se sei ‘utile’ a qualcosa o qualcuno.
Ecco, noi persone lgbt non siamo un disturbo né un intralcio; siamo anche noi portatori di valori e titolari di diritti in quanto persone che, in un mondo equilibrato, dovrebbero essere riconosciuti in quanto tali, senza bisogno che disposizioni di legge lo precisino e senza bisogno che ce li conquistiamo.
Eppure le espressioni festose di ieri in Senato ci hanno confermato ancora una volta quanto sia necessaria una legge contro l’omotransfobia.
Si vive una volta sola e in questa sola vita abbiamo il diritto di non essere feriti per il semplice fatto di essere noi stessi; non si può tollerare, in un paese che si reputa civile, una cultura di educata quanto spesso subdola ghettizzazione e repressione di tutto ciò che viene percepito come diverso da schemi preimpostati. Siamo persone.
Mi auguro che in risposta alla triste giornata di ieri potranno emergere chiari e precisi segni di un Paese inclusivo, aperto, disposto al dialogo, in contrapposizione con una politica (o perlomeno una parte importante di essa), lontana e disinteressata alla vita concreta dei singoli.
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