Omogenitorialità, l’ospedale di Padova riconosce le mamme gay
Articolo di Fabiana Pesci del 2 gennaio 2013 pubblicato su Il Mattino di Padova
PADOVA. Basta una parola. Da “padre”, ad un più generico “partner”. Mentre l’Italia si divide, la politica si interroga se sia giusto che le coppie gay possano adottare figli, la realtà, come spesso accade, è già almeno tre passi avanti.
L’azienda ospedaliera ha fatto i conti con una famiglia non contemplata dalla legge: per questo ha dovuto cambiare la dicitura sui braccialetti di riconoscimento che vengono stretti al polso dell’altra “metà della coppia” dopo la nascita del figlioletto.
Finchè ad essere dotati di sistema di riconoscimento erano solo mamma e bimbo di problemi non ce ne sono stati, il nodo è venuto al pettine nel momento in cui, per una questione di sicurezza (il bracciale rientra in quel grande calderone che si chiama “Gestione del rischio clinico”) è stato dotato di fettuccia anche l’altro genitore.
Prima riportava solo un numero, poi è stato aggiunto un “madre” e “padre”. Circa due mesi fa è accaduto l’imprevedibile. Il personale della Clinica avrebbe potuto continuare a cercare il papà di quel bimbo nato nel reparto diretto da Giovanni Battista Nardelli ovunque. Nessuna risposta alla ricerca del “padre” cui attaccare al polso il bracciale dedicato. Madre single? Nemmeno per idea. Al momento della firma dei documenti, è stato risolto il rompicapo. In Clinica si sono trovati di fronte ad una coppia di fatto costituita da due “lei”, una delle quali ha dato alla luce un bambino.
«Di fronte a questa situazione abbiamo capito che la dicitura “padre” avrebbe, di lì in avanti, potuto creare inopportuni imbarazzi per i genitori. Ne è nato un percorso di verifica con la direzione sanitaria fino alla soluzione: abbiamo modificato i bracciali, non facendo più scrivere “padre”, ma un più generico “partner”. E’ stato un processo lungo, scattato a seguito di un evento oggettivo, che ci ha permesso però di compiere una riflessione fondamentale», spiega Nardelli.
I vincoli della legge 40, che vietano la fecondazione eterologa, nulla hanno potuto di fronte alla volontà di due donne di diventare madri. Nessuno ha chiesto come è stato concepito quel figlio, se all’estero con la procreazione assitita o in altro modo. In Clinica l’imperativo non è stato rispondere a domande, ma risolvere una questione urgente.
«Ci troviamo di fronte a cambiamenti culturali e sociali cui noi clinici dobbiamo saper rispondere in modo adeguato», continua il direttore della Clinica ginecologica. Ed ai mutamenti il professor Nardelli ci è più che è abituato: sono scritti nero su bianco nei report del centro di Pma, cui si rivolgono sempre più donne over 40 dopo la delibera regionale che permette di accedere al servizio fino ai 50 anni.
Cambiano le donne, ma si modifica anche l’assistenza: il 2013 secondo Nardelli sarà l’anno della rivoluzione, in cui le ostetriche avranno nuove competenze. A loro i parti fisiologici (con la supervisione di un medico): «Perchè di norma la gravidanza è uno stato della donna, e non una patologia».