Il soffio della speranza (Romani 4:18-22)
Restituzione* dell’incontro del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 16 novembre 2021
La tenacia nella speranza di Abramo, nonostante i momenti di fragilità, ci spinge a porci alcune domande: quando sentiamo vacillare la speranza? Dove ci sentiamo fragili? Dove, invece, sentiamo germogliare semi di speranza?
Consapevolezza della fragilità umana e fede nelle sorprendenti parole di promessa di Dio: due dimensioni che si intrecciano fra loro, che si legano indissolubilmente.
“Si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento”, si legge nella lettera ai Romani. Mi colpisce questa frase, ma questo atteggiamento non mi appartiene, vorrei essere pienamente convinta, ma non lo sono, posso vacillare, e sento la sfiducia nei miei talenti.
La speranza la trovo nei nostri figli, nei giovani, nella loro bellezza, nel loro entusiasmo, nella gioia di vivere che hanno. E la trovo anche in gruppi come il nostro, al di fuori degli schemi, con un pensiero più creativo, più vicino al divino, ai percorsi dell’anima, dove si cerca di respirare insieme al respiro di Dio.
“Così sarà la tua discendenza.” Come trovare il senso della vita senza discendenza? Come trovare un’altra missione per poter andare avanti? Senza i figli per me sarebbe stata dura. La comunità LGBT, senza figli, deve reinventare ogni giorno il senso della vita. Dove trovare la speranza?
Un papà ricorda il giorno della nascita del suo nipotino, nato dal primo figlio. E ricorda le lacrime dell’altro figlio, gay, appena lo ha visto…
“Finché c’è vita c’è speranza”, dice un proverbio. Sperare è credere nel respiro della vita che continua. Con mio figlio mi è difficile avere speranza: la paura prende il sopravvento, ho paura anche per la sua salute psichica. E la paura si associa al senso di fallimento nel proprio essere madre. Tutto questo fa a pugni con la speranza. Sono riuscita ad avere più speranza negli anni in cui ho lottato contro un tumore. Sperare è faticoso, ma necessario.
Sì, è faticoso sperare. A volte mi sembra quasi impossibile sollevare lo sguardo verso l’alto e riuscire a guardare più in là della routine quotidiana. Non è sempre facile pensare con convinzione che il Signore mantiene le promesse che ci ha fatto. Presa da troppi impegni e incastri, guardo solo a dove mettere i piedi per non inciampare, correndo così il rischio di lasciarmi sfuggire preziosi segni di speranza che pure già esistono, come questo gruppo, come il documento CVX per l’accoglienza delle persone LGBT…
È faticoso alimentare in me il soffio della speranza, è faticoso credere, ma anche necessario, non riuscirei altrimenti neanche a tirarmi su. Fede è credere che ciò che Dio ha promesso, è capace di portarlo a compimento.
La fede non mi ha mai abbandonata, mi ha salvata in momenti tremendi della mia vita, di fronte alla scoperta della fluidità di genere di mio figlio e ai tentativi di suicidio di un’altra figlia con problemi psichici. E chiedo a Dio: “Quando mi toglierai di dosso questa croce?”. Vorrei che mio figlio sentisse l’abbraccio della Chiesa, che lui ha lasciato, rifiutandola. Rifiuto che si è portato dietro anche il rifiuto di Dio.
Nei momenti più atroci, quando la paura di non farcela sembra prevalere, è il respiro della speranza che dobbiamo alimentare, continuando ad attendere una luce e una sorpresa di pace per sentire finalmente l’abbraccio tenero del Signore, che sa essere padre e madre.
Paura-speranza-fede. Paura e speranza possono coesistere ed intrecciarsi. La paura che mi assale quando qualcosa va male per persone che sento vicine, per i miei figli, per mio marito, non mi impedisce però di vivere anche la speranza. Il percorso che stiamo facendo nella Rete LGBT, nei gruppi di genitori, mi fa toccare con mano la speranza. Le testimonianze, pezzi delle nostre vite che reciprocamente ci doniamo in momenti forti dei nostri incontri, l’esperienza nel veder risorgere dalla disperazione tanti compagni/e di cammino, non possono non riempirci i cuori di speranza. Poi torneremo anche ad aver paura, ma nella consapevolezza che anche le paure, se condivise, ci spaventeranno di meno. E la fede? L’immaginario di Dio che mi porto dentro è cambiato con il tempo. Il mio Dio non è più onnipotente, non mette croci sulle spalle di nessuno. Sento vicino un altro Dio: quello che creandoci si è ritirato per far spazio alle sue creature, spogliandosi della sua onnipotenza. Rimasto a mani vuote le tende, come un mendicante, per chiedere alle sue creature una libera risposta di amore. Devo imparare a pregare il mio Dio mendicante, non lo so fare, rimane però la fiducia nel suo amore smisurato, che sa compiere miracoli e sa insegnarci a farli. I miracoli dell’amore sono contagiosi.
Tuttavia, come riuscire a non scivolare nel più cupo pessimismo quando ad avere il sopravvento è l’angoscia per un figlio meraviglioso, grande sognatore, ma non adatto a vivere in questo mondo così pieno di ingiustizie, oppressioni ed egoismi? Mi sono chiusa nel mio dolore in questo periodo, il Covid e l’isolamento non hanno aiutato. Mia figlia, lesbica, la vedo piena di vita, ma l’altro figlio… dice che non vuole avere figli, per non mettere al mondo infelici. Come ritrovare l’energia vitale, il senso positivo dell’esistere che pure appartengono alla vita, e che ho sperimentato tante volte anche nelle piccole cose? Il nostro gruppo rappresenta sicuramente un sostegno, un’ancora di salvezza, ci aiuta a credere alle sorprendenti parole di promessa di Dio. “Sperando contro ogni speranza”, si legge nel testo biblico. La speranza è il rischio dei rischi, ma è un rischio da correre.
La figura di Abramo ha un particolare fascino, anche perché capace di porre interrogativi. Il suo Sì a Dio, alla sua promessa, malgrado tutte le evidenze del contrario, non deve essere stato immediato. Anche lui deve aver avuto i suoi tentennamenti, i suoi dubbi, le sue resistenze. Ma Dio opera anche nel buio. E viene evocata una grande manifestazione di fede che troviamo nel Vangelo, la fede del centurione.
Pensare al movimento LGBT, al nostro camminare insieme, genera speranza e consente di superare i momenti di scoramento, di avvilimento indotti dalla Chiesa istituzione con i suoi atteggiamenti ripetitivi e ottusamente chiusi alla vita reale. Il nostro cammino è una nuova alba per la Chiesa.
Qualcuno nel gruppo testimonia, quasi con pudore di fronte a tante sofferenze, una serenità di fondo al di là delle durezze della vita. È bello guardare la bellezza della natura, del cielo, degli alberi. Un tentativo di suicidio da giovane, poi non ci ho più pensato. Una fede forse senza tante esternazioni, ma che c’è e mi accompagna.
In questo mondo che non ci piace ci sono tanti motivi per cui disperare, eppure esistono i semi di speranza, e vanno riposti proprio in quelle persone che si spendono generosamente con il loro impegno, come chi opera nei territori degradati della periferia romana, dove ogni speranza sembra spenta per sempre. Con questi compagni di cammino – molti sono giovani che ho formato – seguito a lavorare e lottare per la giustizia. Il loro entusiasmo, la loro generosità li sento come un dono molto più grande di quanto io ho dato loro. È questa passione, segno di speranza contro ogni speranza, che ci spinge ad andare avanti.
In questo nostro incontro, la capacità di contagiare la speranza è stata compiutamente espressa. Metti in circolo il tuo amore, canta Ligabue. È più bello metterlo in circolo l’amore, si sa da dove parte ma non dove arriva, non vincola a nessuna restituzione, ma contagia a rimettere in circolo tutto l’amore che si è ricevuto. Quel soffio di speranza lo abbiamo sentito, e forse lo Spirito, in cerchio insieme a noi, ha aiutato a soffiarlo.
Romani 4:18-22: Egli [Abramo] ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
* La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio, in v. Del Caravita 8 a. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com