La mia risposta di persona LGBT a tutta la tristezza di questo mondo
Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 23 dicembre 2021, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il mondo sta andando a fuoco, e non stiamo esagerando, come dimostrano le avvertenze degli esperti sul riscaldamento globale. Stiamo andando a folle velocità verso il disastro, e questa prospettiva ha instillato una sorta di terrore esistenziale nei giovani di tutto il mondo: e ne hanno ben donde.
Negli Stati Uniti stiamo assistendo a un feroce e terrificante attacco alla democrazia, le differenze ideologiche sono sempre più aspre, le rivalità tra tribù sempre più squallide, e la pandemia che avrebbe dovuto unirci ci ha messi ulteriormente in conflitto. I nostri leader politici non sanno più che pesci pigliare. Siamo sballottati da una crisi all’altra.
In altre parole, stiamo diventando tutti più cupi. E allora perché non mi ci sento del tutto? Perché i miei sentimenti non collimano esattamente con il chiacchiericcio che sto attorno a me, il quale sostiene che stiamo andando sempre peggio?
Una delle ragioni è il corso che ho appena tenuto alla Duke University, e un’altra ragione è il libro che dopo la conclusione del corso ha avuto finalmente il tempo di cominciare. Queste due cose mi ricordano che ci sono stati tempi ben più duri, e che noi abbiamo progredito molto verso la luce, almeno sotto certi aspetti.
Il corso si intitolava “I media e le persone LGBTQ+ americane”, un misto di giornalismo e di storia omosessuale, durante il quale, assieme agli studenti, ho analizzato il “pericolo lavanda”, un evento contemporaneo al maccartismo e alla psicosi del comunismo, che portò al licenziamento o alle dimissioni forzate di migliaia di gay e lesbiche dagli uffici governativi tra la fine degli anni ‘40 e gli anni ‘50.
Abbiamo poi analizzato gli antefatti della rivolta di Stonewall del 1969, che al di là della scintilla che la fece deflagrare rifletteva una profonda rabbia verso l’oppressione, e ha segnato un punto di svolta. Abbiamo dato uno sguardo all’epidemia di AIDS, quando i gay sono stati visti come degenerati da biasimare, e come lebbrosi da cui stare alla larga.
Queste rivisitazioni devono anche tener conto dei progressi delle discipline storiche, per esempio grazie all’aiuto del libro a cui facevo riferimento: Secret City: The Hidden History of Gay Washington (La città segreta. La storia nascosta della Washington gay) di James Kirchick, che ho letto in anteprima e che mi ha catturato (verrà pubblicato il prossimo maggio).
È un libro notevole, impressionante, frutto di una ricerca coscienziosa, molto ben scritto, erudito e sinceramente sentito, che racconta non solo di cosa vuol dire, nella vita della nazione, vivere una doppia vita, ma parla anche di cosa significa, a livello individuale, nascondere la propria anima. La lettura mi ha rattristato, ma mi sono sentito anche grato per le molte cose che sono cambiate da quell’epoca di bugie e sussurri.
Un passo della dedica scritta dall’autore gay dice tutto: Kirchick ringrazia “tutti coloro che si sono liberati del loro fardello segreto, in modo che io non abbia dovuto vivere con il mio, di fardello”. Amen.
Quando sono uscito dal liceo nel 1982, e quando poi mi sono laureato nel 1986, non avrei mai immaginato di vivere un giorno in un Paese dove le coppie gay e lesbiche avrebbero potuto sposarsi legalmente. Non prevedevo che ci sarebbero stati tanti papà gay, tante mamme lesbiche. Non mi aspettavo che sul lavoro non avrei mai dovuto celare il mio orientamento sessuale, e che non sarei mai stato penalizzato per la mia sincerità nel mostrarlo.
Esistono ancora delle sacche di crudele e violenta discriminazione, soprattutto nei confronti delle persone transgender. Non abbiamo alcuna garanzia di filare dritti verso la giustizia, al contrario, e gli ultimi cinque anni ce l’hanno mostrato chiaramente, ma la maggior parte degli Americani è ben cosciente delle disuguaglianze, come un tempo non accadeva, e questo è vero non solo per quanto riguarda le persone omosessuali, ma anche altri gruppi emarginati.
Notiamo subito dettagli che un tempo ci sfuggivano, e se non siamo affatto d’accordo sulla risposta da dare, perlomeno discutiamo, e questo conta molto, anche se non ci porta dove dovremmo andare, e non è una scusa per aver concluso in realtà ben poco.
Discutere ci porta però più vicino alla soluzione, ed esaminare determinati aspetti del nostro passato ci dona una nuova, significativa speranza su determinati aspetti del nostro futuro.
Testo originale: My Gay Retort to All the Grimness