L’accoglienza dell’identità dell’altro deve essere incondizionata
Intervista di Isabelle de Gaulmyn alla storica Élisabeth Roudinesco pubblicato sul portale della rivista cattolica La Croix (Francia) il il 1 dicembre 2021, liberamente tradotto da Nadia Di Iorio
La storica Élisabeth Roudinesco, spiega come il legittimo riconoscimento delle identità si sia trasformato in ipertrofia del me. Lei ci ricorda che «non siamo il nostro sesso, le nostre origini, la nostra religione, il nostro territorio».
Inizialmente le ricerche sulle proprie identità erano legittime. Dopo la caduta del muro di Berlino e la preoccupazione verso i diversi aspetti della vita sociale degli individui, era necessario interessarsi a coloro i quali, nelle democrazie, dovevano beneficiare di emancipazioni, che fossero delle minoranze ancora perseguitate, delle vittime del razzismo o delle donne e dei bambini vittime di violenze…
E’ da tenere in considerazione che, immediatamente, alcuni sociologi hanno messo in guardia contro il rischio di una cultura del narcisismo. Christopher Lasch ha subito indicato il pericolo della perdita dell’identità la quale rischia di evolversi in affermazione identitaria. Nella storia della psicoanalisi, si parlava di sofferenze patologiche del «sé in relazione al sé medesimo » la cosidetta: Self Psychology.
Nell’arco di quarant’anni questo modo di agire si è trasformato nel suo contrario, le concezioni innovatrici sugli studi della sessualità, le quali distinguono tra genere e sesso, sono retrocesse verso una realtà normalizzatrice.
Senza dubbio è importante l’idea che non esista alcuna identità biologica e che anche quest’ultima dipenda da un costrutto sociale, questa concezione ha permesso di compiere dei passi avanti per quanto riguarda la depenalizzazione dell’omosessualità, ma nonostante ciò ho percepito, dagli anni 1995-1998 negli Stati Uniti, che questo individualismo portava a una dislocazione delle identità e generava l’impossibilità di ritrovare una cultura comune.
Questa auto-affermazione del sé, trasformata in ipertrofia del me, è diventata il simbolo di un’epoca dove ognuno cerca di essere se stesso come un re, e non se stesso come qualsiasi altro.
Noi non siamo ridimensionabili a una identità
Tutti abbiamo una identità plurale in noi: noi non siamo ridimensionabili al nostro sesso, origine, religione, territorio. C’è necessità di rifiutare il senso di radicamento all’appartenenza, per sottolineare che l’identità è prima di tutto multipla, e che questa include lo straniero in sé. Perciò mi piace molto l’affermazione fatta da Michel Serres, «Io sono io, e basta».
Ciò che è riprovevole è l’affermazione che ormai dovremmo essere assegnati a un costrutto sociale dopo essere stati ridimensionati a una identità anatomica.
Detto ciò, per riprendere l’espressione di Jacques Derrida o di Paul Ricœur, l’essere ospitali verso l’identità altrui deve essere incondizionato altrimenti non si potranno mai contenere i conflitti d’identità. Se tutto il mondo si assomiglia, l’umanità si dissolve nel nulla. E se ognuno smette di rispettare l’alterità del prossimo affermando la propria differenza identitaria, l’umanità sprofonda nell’odio perpetuo nei confronti dell’altro.
Il diritto deve essere capace di gestire questi conflitti d’identità. Gli Stati, che garantiscono a ogni individuo i grandi principi del 1789, devono fissare i limiti oltre cui non si può andare. Ad esempio, esistono delle leggi che arginano il razzismo, e non sono d’accordo quando si parla di uno Stato francese razzista in modo «sistemico ».
Uno Stato razzista?
Si fa confusione tra Stato e società civile. Lo Stato non è razzista, è possibile fare ricorso al diritto. Prendo le distanze dalla filosofia analitica che fa entrare nel diritto l’idea della soggettività lesa: dico che sono stato violato, dunque è vero. Ciò non è necessariamente vero nel diritto. Durante gli anni, la parola delle donne, dei bambini o degli omosessuali non valeva niente.
Oggigiorno ci si deve assicurare che questa parola venga ascoltata e queste persone ben accolte e poi che la giustizia faccia appello alle prove. Altrimenti, si parla di linciaggio giudiziario. E si ha la tendenza a dimenticare che il diritto deve valutare a seconda dei casi.
* La storica Élisabeth Roudinesco ha recentemente pubblicato “Soi-même comme un roi: Essai sur les dérives identitaires” (Seuil, 288 pagine, 2021)
Testo originale: «L’hospitalité à l’identité de l’autre doit être inconditionelle»