L’AIDS e la Settimana Santa
Articolo di Trenton Straube pubblicato sul sito della rivista POZ (Stati Uniti) l’8 aprile 2020, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Stiamo vivendo la Settimana Santa, i giorni che ci portano alla domenica di Pasqua. A prescindere dalla vostra confessione religiosa (sempre che ne abbiate una), questo è il momento opportuno per dare un’occhiata al podcast in sei parti “La peste: Le storie mai raccontate dell’AIDS e della Chiesa Cattolica”.
Un certo tipo di racconto popolare dell’epidemia di HIV dipinge la Chiesa Cattolica come il cattivo rispetto alla malattia e alla comunità LGBT. La Chiesa non solo condanna gli atti omosessuali come un intrinseco male morale, ma è anche molto dura sull’uso del preservativo. Il conflitto ha raggiunto il suo apice, come è noto, nel 1989, quando ACT UP, un gruppo di New York attivo contro l’AIDS, ha inscenato un’imponente protesta, “Fermiamo la Chiesa”, presso la cattedrale di St. Patrick.
Ma c’è di più in questa storia, e il giornalista Michael J. O’Loughlin, gay e cattolico, rivela sfumature e punti di vista compassionevoli, intervistando persone che erano presenti negli anni ’80 e ’90, tra cui preti, cattolici LGBT e contestatori di ACT UP. Il podcast, che si può ascoltare gratuitamente su Apple Podcasts, Google Play e Spotify, è prodotto dal settimanale dei gesuiti America.
POZ ha intervistato O’Loughlin per conoscere la storia dietro le storie di Plague.
Qual è il tuo coinvolgimento personale nell’epidemia di HIV, e quand’è che ne hai sentito parlare per la prima volta?
Sono gay e cattolico, e da più di dieci anni faccio servizi sulle sfide che i credenti LGBT devono sostenere, ma dal momento che sono troppo giovane per ricordare molte cose sul culmine dell’epidemia di HIV e AIDS negli Stati Uniti, non sapevo che, in quel periodo, la Chiesa Cattolica aveva giocato un ruolo molto importante.
Un mio amico prete mi ha raccontato della sua opera pastorale tra le persone con l’HIV e l’AIDS negli anni ’80, dicendomi che quell’esperienza ha contribuito a plasmare il suo atteggiamento di accoglienza nei confronti delle persone LGBT nella Chiesa. Incuriosito, per saperne di più, ho iniziato ad indagare, scavando tra gli archivi e ascoltando persone che, in quegli anni, avevano lavorato con i malati.
Poiché, negli Stati Uniti, la Chiesa è molto attiva nell’ambito sanitario, ha avuto un importante confronto con la comunità LGBT, e molti cattolici queer cercavano di capire come comportarsi. Ho finito con l’intervistare decine di persone, raccogliendo molte ore di audio. Il risultato è il podcast Plague, che esplora temi complessi come fede, sessualità, politica, salute pubblica e molto altro.
Per me personalmente è stato un onore incredibile aver conosciuto così tanti cattolici LGBT più vecchi di me di decine di anni, che hanno percorso una strada simile alla mia, sebbene con difficoltà diverse, e che vogliono condividere le loro storie con me e con i nostri ascoltatori.
Per onorare le persone che sono state così generose, mi sono iscritto all’AIDS LifeCycle. [Il percorso ciclistico di 877 chilometri, previsto per l’inizio di giugno, che va da San Francisco a Los Angeles, è stato cancellato a causa del COVID-19, anche se la raccolta fondi continua, n.d.c.]
La Chiesa è nota per il suo impegno caritatevole a livello mondiale. Puoi farci degli esempi di come essa ha aiutato e cercato di curare le persone malate di HIV/AIDS?
Ci sono molti esempi molto noti di come la Chiesa si è presa cura delle persone con HIV e AIDS durante il culmine dell’epidemia e di alcune di queste discutiamo in Plague. Per esempio, intervistiamo dottori, infermieri, operatori pastorali ed ex pazienti dell’ormai chiuso St. Vincent’s Hospital di New York: si trattava di un ospedale cattolico retto dalle Sorelle della Carità di New York, che negli anni ’80 e ’90 era diventato una sorta di paradiso per la comunità LGBT.
Oggi questa storia sembra scontata, visto che sorgeva in un’area abitata da molti gay, ma come mostriamo nel podcast, non era garantito che andasse così. Le suore hanno dovuto fare un passo indietro e chiedere cosa dovevano fare dopo che i manifestanti avevano sottolineato che alcuni pazienti gay erano stati oggetto di abusi e molestie da parte del personale ospedaliero.
Presentiamo anche agli ascoltatori alcuni degli esempi meno conosciuti delle cure sanitarie elargite dalla Chiesa, come nel quinto episodio, che racconta di una suora di una piccola cittadina dell’Illinois meridionale che si è trasferita per sei mesi a New York per imparare a trattare i casi di HIV e AIDS, prima di tornare a casa per aprire uno dei primi centri di accoglienza per malati di AIDS in quella parte del Paese.
C’è poi il sacerdote che ha fatto coming out all’inizio degli anni ’80 come atto di solidarietà con le persone sieropositive di cui era direttore spirituale a New York. Ci sono molti esempi come questi di lavoro quieto ed eroico, svolto lontano dai riflettori.
Concludiamo la serie con interviste a cattolici impegnati nella pastorale HIV/AIDS in Sudafrica, ad oggi la nazione più colpita dal morbo. In questo momento la Chiesa Cattolica è uno dei maggiori erogatori di cure per HIV/AIDS al mondo, ma come abbiamo scoperto nei nostri servizi, molti dei dibattiti infuriati negli Stati Uniti negli anni ’80 e ’90 sono ancora in corso a livello internazionale. E certamente, come hanno notato quasi tutti durante le interviste, nulla di tutto questo può scusare l’omofobia di cui molte persone hanno sofferto da parte di altri cattolici.
Uno dei temi ricorrenti è come i cattolici LGBT, o che sostengono la causa LGBT, cercano di conciliare la loro fede con la dottrina cattolica, strenuamente antiomosessuale. Che cosa puoi raccontarci di questa lotta?
Praticamente tutti i cattolici LGBT che ho intervistato hanno detto di aver pensato, in un modo o in un altro, e dopo terribili esperienze di omofobia, di lasciare la Chiesa, ma molti di loro hanno anche detto che, abbandonando una parrocchia che amavano, sembrava loro di cedere al bullismo istituzionale.
Ho chiesto ad alcune delle persone che ho intervistato delle spiegazioni su come si sono comportati, e generalmente le risposte includevano variazioni sul tema “Una volta che hai deciso di rimanere, devi perseverare”.
Nel nostro primo episodio ascoltiamo David Pais, che ci racconta com’era essere gay, positivo all’HIV e cattolico negli anni ’80. In realtà, per un po’, aveva lasciato la Chiesa, ma alla fine ha deciso di rimanere e combattere.
Cliff Morrison, l’infermiere che ha predisposto un reparto AIDS [Reparto 5B] al San Francisco General Hospital, mi ha detto che la sua fede è stata di incredibile sostegno durante l’acme dell’epidemia. (Si parla della sua storia nel quarto episodio di Plague.) Era un membro della parrocchia del Santissimo redentore di Castro [il quartiere gay di San Francisco, n.d.c.], e dice di aver combattuto contro la posizione della Chiesa sulle questioni LGBT, ma una volta deciso di rimanere, è rimasto, aiutando a dare nuova vita alla parrocchia, avvicinandosi alla comunità gay e invitandone i componenti.
Mi ha suggerito di fare affidamento sulla forza interiore, e di cercare alleati cattolici con cui parlare del mio cammino. È molto importante per me trovare sacerdoti, suore e laici che accolgono pienamente la comunità LGBT nella Chiesa, non solo tollerandoci, ma gioendo di/con noi e apprezzando i nostri doni.
Anche oggi, per quanto riguarda l’HIV, c’è parecchia tensione tra la Chiesa Cattolica e gli attivisti LGBT. Ne parli alcune volte per quanto riguarda i preservativi, e di come alcuni vescovi hanno trovato il modo di aggirare la posizione contraria della Chiesa. Ho apprezzato particolarmente l’episodio che racconta della protesta di ACT UP all’ospedale St. Vincent’s, di cui non conoscevo i particolari. Tuttavia, per me, come uomo gay statunitense, la questione del preservativo impallidisce rispetto alla sostanziale condanna da parte della Chiesa degli atti omosessuali come “intrinsecamente cattivi”, e il fatto che essa combatta (finanziariamente ma non solo) contro il matrimonio omosessuale e a favore del diritto di discriminare le persone LGBT anche oggi, nel 2020. Cosa vorresti dire a chi vede questo podcast come un’apologia in difesa della Chiesa? Voglio dire, è stato interessante sapere, grazie al tuo podcast, che negli anni ’80 l’arcivescovo di New York John O’Connor amministrava privatamente i sacramenti ai moribondi per malattie correlate all’AIDS, ma sospetto che questo aneddoto non abbia cambiato l’opinione di molti newyorkesi di quel periodo, che lo consideravano un nemico della causa LGBT, dell’educazione sull’HIV e del sesso sicuro.
Posso capire perché qualcuno faccia una critica del genere, ma vorrei comunque incoraggiarli ad ascoltare l’intera serie. Abbiamo cercato di dare voce alle persone che hanno vissuto, lavorato e sofferto durante il culmine dell’epidemia. Piuttosto di dire alla gente cosa fare di questa storia, invitiamo ad ascoltare tutte le storie delle persone che abbiamo intervistato, le persone che vivono con l’HIV, le persone che hanno perso i loro cari a causa dell’AIDS, le persone che hanno protestato contro la Chiesa Cattolica, le persone che si stanno ancora riprendendo da esperienze di omofobia, e di trarre le loro conclusioni.
Ho sentito centinaia di ascoltatori. Alcuni hanno detto di non essersi resi conto che la Chiesa abbia fatto così tanto in ambito sanitario, ma hanno aggiunto di non ritenere che questo giustifichi l’omofobia presente nell’istituzione ecclesiastica in quel momento.
Nel realizzare questa serie mi sono reso conto che molte cose possono essere contemporaneamente vere. Negli anni ’80 e ’90 c’erano cattolici intensamente omofobi, ma ce n’erano altri immensamente compassionevoli, che hanno fatto la cosa giusta durante l’acme dell’epidemia, e ci sono stati molti cattolici LGBT che cercavano di trovare un senso in tutto questo. Nel podcast non abbiamo affrontato temi quali l’attuale opposizione della Chiesa a cose come il matrimonio tra persone dello stesso sesso e alcune leggi sulla non discriminazione, perché eravamo concentrati su questo periodo della nostra storia, gli anni ’80, ma spero che, riguardo a questi argomenti, gli ascoltatori seguiranno il dibattito ancora in corso all’interno della Chiesa.
Passando a qualcosa di un po’ più leggero, sono rimasto intrigato dal sapere del santo patrono dell’HIV/AIDS, san Luigi Gonzaga. Non sono cattolico (sono cresciuto in una famiglia battista, anche se non sono più praticante), quindi potresti darci un contesto per capire se avere un santo patrono dell’HIV/AIDS è importante, e come può essere utile per i membri della Chiesa?
Fondamentalmente, dipende. Per molti cattolici malati di HIV e AIDS che ho intervistato, avere san Luigi Gonzaga come santo patrono era segno che non erano soli nella Chiesa, che altri solidarizzavano con loro e con quello che stavano passando. Il ritratto di Luigi, creato per la maggior parte da padre Bill McNichols, che presentiamo nel terzo episodio di Plague, ha aiutato a rendere la gente consapevole dell’epidemia, e a livello spirituale, alcuni cattolici affetti da HIV/AIDS pensano di avere, nel santo, un amico e un intercessore.
Perché è importante documentare gli argomenti di cui si occupa Plague?
A volte, a causa del rapido avanzamento dei diritti civili LGBT degli ultimi anni, la questione di come le persone LGBT si relazionano con la Chiesa Cattolica risulta del tutto nuova. A volte può sembrare opprimente, perché non c’è una “tabella di marcia” su come gestire cose come rimanere cattolici, o sposarsi pur essendo un cattolico gay, così conoscere cattolici LGBT più “vecchi” è molto importante, perché hanno spunti da condividere e storie da raccontare, e dal momento che sono circa quarant’anni dacché è iniziata l’epidemia, rischiamo di perderci queste storie se non le “catturiamo” ora. Durante i tre anni che ho passato facendo ricerche per il podcast, purtroppo, alcune delle persone che ho cercato di intervistare sono morte: da qui l’urgenza di raccogliere ora queste storie.
Sei venuto a conoscenza di qualcosa di particolare mentre lavoravi a questo progetto?
Sì, di molte cose! Me ne vengono in mente due in particolare. In primo luogo, la quantità di lavoro svolto dai cattolici in aree lontane dai centri gay delle due coste. Per esempio, un gruppo di suore ha creato un’organizzazione per aiutare le persone con HIV e districarsi tra le sfide poste da strutture curative e soluzioni abitative a Louisville, in Kentucky, e un’altra suora ha aperto una piccola clinica con accesso diretto a Belleville, in Illinois. E ci sono molte storie come queste.
Poi sono rimasto sorpreso di sapere com’erano dichiarati ed orgogliosi di esserlo molti cattolici LGBT negli anni ’70 e ’80. Oggi, nel 2020, questa cosa può essere un tabù in molte comunità cattoliche, quindi sono rimasto sorpreso da quanto fossero espliciti alcuni cattolici LGBT all’epoca. In effetti, un certo numero di persone mi ha detto che, secondo loro, trent’anni fa fosse davvero più facile essere LGBT e cattolici.
Quali altri riscontri hai avuto sul podcast, in particolare dalla comunità dei sieropositivi e da quella cattolica?
La reazione è stata davvero travolgente. Abbiamo ricevuto un’ottima recensione dal New York Times e siamo stati interpellati dalla National Public Radio, ma per me, più significative ancora sono state le centinaia di e-mail, note vocali e messaggi sui social media che ho ricevuto dagli ascoltatori.
Molte persone vogliono condividere le loro storie sull’epidemia di HIV e AIDS. Più di uno ha detto che nessuno gli ha mai chiesto di questo periodo così traumatico della propria vita, e si sentono riconoscenti per il fatto che finalmente è stata data loro l’opportunità di sfogarsi.
Questo significa molto per me, perché sento che dobbiamo alle persone che hanno vissuto tutto questo la possibilità di condividere ciò che hanno imparato, o anche di piangere di nuovo. Alcuni ascoltatori hanno detto di desiderare che la Chiesa parli di più di questa parte della sua storia; altri hanno detto che abbiamo dipinto un quadro troppo roseo di come essa ha agito in quel periodo. Ma soprattutto, le persone hanno espresso apprezzamento per il fatto che la maggior parte del podcast sia costituita da persone che raccontano le loro storie, cosa che abbiamo fatto con l’intenzione che gli ascoltatori possano farsi un’idea di quello che è successo.
Testo originale: Uncovering Untold Stories of AIDS and the Catholic Church