Pier Paolo Pasolini. Il centenario di un uomo dalla vita troppo breve
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Riflessioni di Lavinia Capogna
“Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita (…)” (Pier Paolo Pasolini)
Il 5 marzo 2022 sarà il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Sembra strano perché Pasolini ha lasciato una immagine di giovinezza, di energia, di vitalità, non a caso era un grande appassionato di calcio e giocatore non professionista. Sarebbe impossibile nello spazio di un articolo parlare dettagliatamente di Pier Paolo Pasolini e di tutti i modi in cui egli espresse il suo grande talento e la sua creatività e qui si intende dare solo uno sguardo alla sua vita e alle sue opere.
Pasolini fu scrittore, poeta, regista, sceneggiatore cinematografico, drammaturgo, giornalista, acuto studioso della società ed anche attore e pittore. Nessun altro intellettuale italiano è stato amato e detestato come Pasolini. Egli ne era consapevole.
Intelligente, provocatorio, incompreso, uomo di sinistra non sempre in linea con la sinistra del suo tempo, per comprendere Pasolini dobbiamo comprendere a grandi linee com’era la società in cui egli visse.
Negli anni ’60 si iniziò a delineare una spaccatura tra la società contadina, fino ad allora prevalente, e la società industrializzata, a causa del boom economico e tale spaccatura si ampliò negli anni ’70 con un radicale cambiamento di vita e di costumi, con il potere della televisione e il consumismo sfrenato. Pasolini analizzò accuratamente questa situazione sociologica ed arrivò a prevedere l’omologazione in cui tutti o quasi si sarebbero allineati ad un unico modello culturale, cosa che si verificò dagli anni ’80 in poi e cioè dopo la sua morte avvenuta a soli 53 anni nel 1975.
E Pasolini probabilmente avrebbe avuto molto da dire su internet e i social media, da un quarto di secolo potentissimo mezzo di persuasione ed omologazione.
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna il 5 marzo 1922. Suo padre Carlo Alberto Pasolini era un ufficiale di fanteria. Il rapporto tra Pasolini e il padre, un uomo rigido, problematico, giocatore d’azzardo, fu molto difficile. Bellissimo fu invece il rapporto con la madre, Susanna Colussi, maestra, di cui parleremo tra poco.
La prima espressione artistica con cui si espresse Pasolini fu la poesia e raccontò egli stesso come nacque in lui il desiderio di comporre una poesia quando aveva solo sette anni:
“Io non ho cominciato a scrivere versi con Le ceneri di Gramsci: ho cominciato molto prima, ed esattamente nel 1929 a Sacile, quando avevo sette anni appena compiuti, e frequentavo la seconda elementare. É stata mia madre che mi ha mostrato come la poesia possa essere materialmente scritta, e non solo letta a scuola (“Vitrea è l’aria…”). Misteriosamente, un bel giorno, mia madre infatti mi presentò un sonetto, composto da lei, in cui esprimeva il suo amore per me (non so per quali costrizioni di rima la poesia finiva con le parole “di bene te ne voglio un sacco). Qualche giorno dopo scrissi i miei primi versi: dove si parlava di “rosignolo” e di “verzura”. Credo che non avrei saputo distinguere allora un rosignolo da un fringuello, come del resto un pioppo da un olmo (…)”.
Quando aveva 15 anni un suo professore di scuola lesse una poesia di Arthur Rimbaud e per Pasolini fu una rivelazione. Anzi egli datò il suo antifascismo a quel momento. Il poeta francese dell’ottocento, vagabondo e ribelle, di soli 19 anni, aprì al ragazzo bolognese di 15 nuovi orizzonti.
Pasolini iniziò la sua carriera artistica proprio come poeta pubblicando a vent’anni a sue spese la sua prima raccolta di poesie: “Poesie a Casarsa”, scritte in dialetto friulano. Il dialetto friulano era anche la lingua di sua madre ed incominciare la sua carriera letteraria scrivendo un libro nel dialetto di sua madre era anche un modo per esprimere il grande amore reciproco tra lui e lei, che fu il Leitmotiv della sua vita.
Susanna Colussi apparirà anche molti anni dopo in alcuni film diretti dal figlio.
Durante la guerra Pasolini andò come sfollato con sua madre a Casarsa, il paese friulano di lei. Probabilmente fu anche il periodo in cui il giovane poeta si rese pienamente conto del suo orientamento sentimentale.
Compose un bel romanzo autobiografico, “Amado mio”, dove espresse tutta la vitalità e l’incoscienza della giovinezza nonostante la guerra devastante ma dato il suo aperto contenuto omosessuale non era neppure vagamente pensabile di pubblicarlo in quegli anni (venne pubblicato postumo negli anni ’70).
Il primo romanzo di Pasolini contiene immagini molto poetiche come le descrizioni delle gite dei ragazzi sul fiume. La scoperta e poi l’accettazione del suo orientamento omosessuale ebbe come è logico un grande peso sulla vita di Pasolini (e purtroppo anche sulla sua morte).
Anche qui per comprenderlo appieno dobbiamo pensare che l’omosessualità era un tabù nella società italiana. Tra il 1938 e i primi anni della guerra moltissimi omosessuali, solo uomini, venivano schedati, spiati, licenziati dal lavoro, deportati al confino come si diceva allora cioè imprigionati in alcune isole allora piuttosto selvagge.
L’ omosessualità maschile era erratamente considerata un vizio, un peccato, un reato (anche se non c’era una legge specifica che la condannava era come se ci fosse stata per via del confino), una malattia.
Anche quella femminile era giudicata male ma meno visibile di quella maschile era erratamente considerata una fase sentimentale adolescenziale e passeggera e siccome le donne non contavano nulla nella società non era perseguitata in Italia.
Su questa base si può riflettere su quanto potesse essere sconvolgente per un ragazzo degli anni ’40 scoprirsi gay, non avere una vita conforme a ciò che la società e la chiesa prepotentemente si aspettavano ed esigevano. Il personaggio del ragazzo che scopre di essere gay nel film “Teorema” di Pasolini, che è comunque del 1968, rende l’idea di quanto ciò potesse essere problematico negli anni ’40 (e non solo).
Pasolini ebbe il grande peso psicologico e sociale di essere praticamente l’unico omosessuale dichiarato in Italia. Egli veniva indicato quasi come un delinquente, ebbe anche numerosi processi da cui venne assolto, fu calunniato, si tentò perfino di farlo passare per un pedofilo quando in verità i ‘ragazzi di vita’ che egli frequentava, anche se talvolta minorenni, erano tutt’altro che giovani ingenui ed innocenti. Pasolini scrisse anche queste illuminanti parole: “scandalizzarsi è banale e aggiungo chi si scandalizza è male informato“.
Nel 1942, a vent’anni, dunque Pasolini pubblicò a sue spese “Le poesie a Casarsa” che ebbero una recensione favorevole di un famoso critico e studioso di allora. Così Pasolini entrò nel mondo letterario con due opere di tutto rispetto anche se una rimase inedita.
Il 1945 fu tragico per Pasolini. Suo fratello Guido, diciannovenne, partigiano venne ucciso insieme ai suoi compagni da altri partigiani in quella strage conosciuta come la ‘strage di Porzûs’. Egli disse pudicamente “Quanto sia il dolore di mia madre, mio, e di tutti questi fratelli e madri e parenti (delle altre vittime ndr), non mi sento ora di esprimere”.
Nel 1949, una vicenda molto sgradevole colpì Pasolini, che nel frattempo era diventato un giovane insegnante: iscritto al PCI ne venne espulso per uno scandalo a sfondo omosessuale. Così sperimentò forse per la prima volta e duramente che cosa volesse dire essere messo alla gogna pubblicamente, cosa che si verificò molte altre volte in seguito e scrisse: “La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, che io lo voglia o no, che altri lo accettino o no”.
Nel 1952 per sfuggire al padre lui e sua madre vennero a Roma. Nonostante la povertà e le difficoltà quotidiane Roma fu una rivelazione per il poeta:
“Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull’Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l’abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove – nuove al vecchio canto –
a ripetere ingenuo quello che fu.
Scotta il primo sole dolce dell’anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi (…).
A Roma Pasolini scoprì le borgate. Le borgate erano zone all’estrema periferia di Roma che erano state costruite durante il fascismo, in realtà erano agglomerati di casupole in cui si viveva in situazioni di estrema indigenza, erano servite ad allontanare i poveri dalla capitale, erano soprattutto popolate da emigranti venuti dal sud e romani dediti alla malavita. Erano l’equivalente di quello che oggi sono i quartieri più poveri del Brasile e dell’Argentina. Esse vennero demolite negli anni ’70, inizio ’80 dai sindaci comunisti Argan e Petroselli.
Le borgate fecero da sfondo alle bellissime, nuove opere di Pasolini, due romanzi, “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, e due film “Accattone” e “Mamma Roma” interpretato da Anna Magnani. Sono opere artistiche piene di poesia e di compassione verso il mondo umile, innocente e crudele al tempo stesso, che egli raccontava.
Nel 1964 Pasolini diresse “il Vangelo secondo Matteo”, dedicato a Giovanni XXIII che era da poco deceduto, film bellissimo ed intenso girato tra i sassi di Matera, verosimile Palestina. Il film ha un grande rigore formale, una sentita spiritualità che si concentra su Gesù come amante della giustizia. Il Gesù di Pasolini, interpretato dall’attore spagnolo Enrique Irazoqui, era un Gesù ieratico, arrabbiato, molto probabilmente lontano dalla realtà ma del tutto rispettoso del Vangelo a cui si ispirava. Le immagini del film sono spoglie, essenziali, di un bel bianco e nero, accompagnate dalla musica di Bach e da canti africani.
Pasolini, seppure si dichiarasse ateo, fu un grande amante della vita in una sorta di panteismo laico.
Nel mediometraggio “La ricotta” Pasolini raccontava di un borgataro che, scritturato in un film per interpretare uno dei due ladroni crocifissi insieme a Gesù, muore di indigestione per aver mangiato troppa ricotta perché affamato. Il mediometraggio venne bloccato ed accusato di vilipendio alla religione ma sinceramente non c’era nulla di irrispettoso verso il cattolicesimo.
E questa spiritualità si ritrova in un altro bellissimo film del regista, “Uccellacci uccellini”, interpretato da Totò e da Ninetto Davoli, simpatico ragazzo borgataro amico e compagno del regista. Nel film c’era un personaggio, un corvo marxista che ammoniva i due frati lungo il loro poetico viaggio e che faceva una brutta fine. Doppiato da Pasolini era quasi una sua chiaroveggenza. Un vero capolavoro è l’episodio “Che cosa sono le nuvole” che fa parte del film di vari registi “Capriccio all’italiana”, anch’esso interpretato da Totò e Ninetto Davoli. Essi erano due marionette shakesperiane, Otello e Iago, che recitavano in uno scalcinato teatrino di periferia. Gettati tra i rifiuti da un incauto e canterino netturbino (interpretato da Domenico Modugno), scoprivano accidentalmente, guardando le nuvole, “la meravigliosa, straziante bellezza del creato”.
“Comizi d’amore” è un documentario in cui Pasolini stesso si recava in spiagge assolate, nelle campagne, nelle città, per intervistare le persone sul tema della sessualità. Già solo questo nell’Italia degli anni sessanta era impensabile. Eppure le persone, sia uomini sia donne, sia giovani sia anziani, si rivelarono genuinamente disponibili a parlare di ciò con il regista. Pasolini osava affrontare anche il tema tabù dell’omosessualità ricevendo risposte drammatiche a dir poco. Egli metteva in risalto come della sessualità si parlasse “solo in modo scientifico o volgare” il che sessant’anni dopo è ancora valido. Nel documentario c’erano anche Alberto Moravia ed Ungaretti.
Nel cortometraggio di 10 minuti, “La sequenza del fiore di carta” (1968), Ninetto Davoli percorreva, con aria lieta e giocosa, le strade rubate di Roma dalla cinepresa in lunghe carrellate.
Ma a queste immagini di innocenza e di felicità si sovrapponevano le immagini terrificanti di guerre e di esplosioni nucleari.
In “Teorema”, un film filosofico che mio avviso non è stato abbastanza compreso dal pubblico, Pasolini esplorava il malessere della società borghese e la spaccatura tra industrializzazione e mondo contadino in modo eloquente. Uno sconosciuto, ospite in una famiglia alto borghese, sconvolgeva la loro vita avendo relazioni con tutti loro. Sembra che a Pasolini non interessasse raccontare una storia, dire chi era questo sconosciuto, che aveva il volto provocatorio di Terence Stamp, ma piuttosto analizzare le reazioni emotive dei personaggi quando lui improvvisamente li abbandonava.
E Pasolini affrontò nel film, ultra censurato, temi molto scomodi come la psicosi in cui cade la ragazza, la triste ricerca dell’amore senza amore in cui cade la madre, la bravissima, elegante Silvana Mangano (interprete anche del bellissimo episodio pasoliniano “La Terra vista dalla Luna”), il rifiuto del ruolo di industriale del padre che donava alla fine la fabbrica agli operai, l’omosessualità difficilmente accettata e la creatività rabbiosa del ragazzo fino al ritorno nel mondo contadino e il grande dolore esistenziale della governante, interpretata dall’attrice bolognese Laura Betti.
Dopo “Medea” interpretato da Maria Callas e “Edipo re” Pasolini realizzava ‘la trilogia della vita’, i tre film ( “I racconti di Canterbury”, “Il Decamerone” e “Il fiore delle mille e una notte”) che si ispiravano alle omonime opere letterarie medievali. Pasolini creò un medioevo estremamente bello a livello estetico, con richiami agli affreschi di Masaccio, Masolino e Piero Della Francesca, semplice, candido, chiesastico, furbesco, ilare, crudele, scandaloso con gli insistenti nudi maschili ma mai morboso.
Pasolini divenne così il regista cinematografico più censurato del cinema italiano insieme a Bernardo Bertolucci di “Ultimo tango a Parigi”. La sua contrapposizione era sempre tra personaggi puri di animo e personaggi corrotti.
Egli continuò la sua attività di poeta, si interessò al teatro, divenne drammaturgo, svolse un’intensa attività giornalistica in cui affrontò temi difficili. Quando nel 1968 a Valle Giulia, all’università di Roma, la polizia si scontrò violentemente con gli studenti ribelli Pasolini in una sua celebre poesia difese i poliziotti o forse meglio il mondo contadino povero da quello borghese benestante degli studenti:
“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare) (…)”
Questa ed altre sue prese di posizioni lo portarono come intellettuale di sinistra ad essere anche incompreso nella sinistra del suo tempo perché le sue motivazioni erano molto sottili, controccorrente, a volte un po’ nebulose, intellettuali. In quanto scrittore trasgressivo era detestato dalla destra.
Alle 6,30 del mattino di un freddo giorno di novembre del 1975 un passante scoprì casualmente all’Idroscalo di Ostia, a una ventina di chilometri da Roma, il corpo senza vita del poeta e regista.
La morte di Pasolini arrivò come una tempesta di acqua gelida nell’Italia che si preparava a festeggiare quel 2 novembre religioso che commemora i defunti.
Un ‘ragazzo di vita’ 17 anni, Pino Pelosi, confessò di essere l’omicida. Venne processato e condannato a quasi dieci anni di carcere. Nel 2005 ritrattò la sua confessione di trent’anni prima e morì nel 2017.
Ho chiesto a Nino Celeste, grande direttore della fotografia, che ha lavorato con Pasolini di dirmi qualcosa di lui e Nino Celeste mi ha scritto, tra l’altro: “Sul lavoro era instancabile, era sempre il primo a dare il buongiorno la mattina, chiedeva sempre per favore. Era una persona stupenda”.