La Chiesa ha fatto un “cambiamento decisivo” sulle questioni LGBT+?
Articolo pubblicato sul sito dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 1 febbraio 2022, liberamente tradotto da Silvia Lanzi, parte prima
Christopher Lamb, il corrispondente dal Vaticano del [settimanale cattolico britannico] The Tablet, recentemente ha suggerito che, analizzando i suoi ultimi atti, si può dire che la Chiesa Cattolica ha iniziato a “cambiare decisamente il suo approccio alle problematiche LGBTQ”.
Pur riconoscendo che non c’è stato nessun cambiamento nel Magistero officiale, Lamb ha sottolineato le numerose cose positive successe nei mesi scorsi: cambi di personale in Curia, la lettera di elogio di papa Francesco a suor Jeannine Gramick, e la pubblicazione del materiale di New Ways Ministry sul sito ufficiale del Sinodo, seguito dalle scuse perché la commissione inizialmente lo aveva rimosso. Secondo l’opinione di Lamb si tratta di passi significativi, e il giornalista conclude dicendo “Per quanto riguarda cattolici LGBT, l’albero viene lentamente potato e inizia a dare nuovi frutti”.
L’opinione di Lamb è condivisa da altri? [Il nostro blog] Bondings 2.0 ha chiesto a dieci delle voci più importanti del mondo cattolico LGBTQ di commentare le affermazioni di Lamb. Abbiamo chiesto loro di rispondere alle seguenti domande:
– Siete d’accordo sul fatto che stanno avvenendo cambiamenti significativi nella Chiesa rispetto alle problematiche LGBTQ? Perché?
– A prescindere da tali recenti cambiamenti, credete che ci saranno (ulteriori) cambiamenti nel prossimo futuro?
Oggi vi proponiamo le prime cinque risposte di questa “tavola rotonda” virtuale. Domani pubblicheremo le altre cinque. Abbiamo proposto gli interventi in ordine alfabetico del cognome, con un limite di 350 parole.
James Alison è un sacerdote e teologo che vive in Spagna.
Sono d’accordo sul fatto che nella Chiesa sia in atto un cambiamento significativo rispetto alle tematiche LGBTQ. È più facile notarlo al di fuori del mondo anglofono, dal momento che una parte della gerarchia statunitense è paralizzata proprio per questo motivo. Nel mondo ispanofono è più evidente la maggiore rilassatezza della gerarchia rispetto alla consapevolezza che le vecchie definizioni semplicemente non funzionano più, e che soluzioni come le terapie di conversione, o i gruppi dei dodici passi, non sono la strada da seguire.
Proprio recentemente il vescovo conservatore di Tenerife si è scusato con le persone LGBTI (usando queste iniziali piuttosto che la parola “omosessuali”), per prima cosa, per la caratterizzazione sconsiderata che ha fatto di noi. Il presidente dei vescovi messicani è un nostro aperto sostenitore, insieme a molti altri suoi omologhi del Paese.
Nell’Europa continentale ovviamente le cose stanno cambiando, non solo in Germania, con il Cammino Sinodale, ma anche in Paesi come Belgio, Austria, Svizzera, Malta. In Italia le comunità di credenti LGBT stanno fiorendo, sostenute in maniera considerevole da alcuni vescovi. Il presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, cardinal Hollerich, ha fatto alcuni commenti importanti e condivisibili in una recente intervista al [quotidiano cattolico francese] La Croix. La paura, che ha dominato l’approccio della Chiesa alle questioni LGBTQ dai tempi di papa Paolo VI, si sta evidentemente attenuando.
Quindi sì, spero veramente per un ulteriore cambiamento nel prossimo futuro. Papa Francesco capisce molto chiaramente che la relazionalità viene prima della ragione: è attraverso la conoscenza reciproca, e non con le idee astratte, che possiamo andare avanti. La prima cosa è lasciare che la paura svanisca, lasciare andare in pensione alcuni dei prelati più ostinati e chiusi, nominare vescovi più sensibili e incoraggiare l’accompagnamento e l’ascolto, così la realtà infrangerà lo schema astratto che ci tratta come eterosessuali difettosi.
Questo è un sincero riconoscimento che l’incapacità di considerare con realismo le questioni omosessuali è costata alla Chiesa una generazione di giovani, quindi bisogna, il prima possibile, andare incontro a quelle persone che rifiutano i falsi miti e gli stereotipi fioriti intorno alla comunità LGBT. E sì, terrò d’occhio la Congregazione per la Dottrina della Fede, che è stata invitata a cambiare registro.
Ruby Almeida (Regno Unito) è copresidente del Global Network of Rainbow Catholics (Rete Globale dei Cattolici Arcobaleno).
Le molte dichiarazioni, talvolta anche minime, ma positive, fatte da papa Francesco sulle persone LGBT+ hanno creato un fertile retroterra per iniziare ad avvicinarsi ai credenti queer, spesso marginalizzati e calunniati. A volte il Papa è stato esasperante con lo stile “un passo avanti e due indietro” di alcune delle sue dichiarazioni, ma credo che questo approccio abbia contribuito a sollevare il problema delle necessità, urgenti e complesse, delle persone LGBT+, e abbia messo in primo piano, nella coscienza dell’opinione pubblica, la nostra realtà e i nostri desideri di credenti.
Prima di papa Francesco eravamo invisibili, tenuti distanti dalla vita della Chiesa; ora vedo le increspature create dalle dichiarazioni del Papa amplificarsi ogni volta che si parla di una persona LGBT+. Oggi le esternazioni ostili contro la nostra comunità incontrano lo sdegno e la derisione della società. La vecchia abitudine di demonizzare, ostracizzare, perseguitare e considerare le persone LGBT+ esseri unidimensionali, dediti solamente a una sessualità sfrenata, sta agonizzando, e ora, giustamente, esse sono considerate, alla stregua di chiunque altro, come persone che meritano un posto alla mensa dei figli di Dio.
L’effetto goccia a goccia di questo cambio di prospettiva nei riguardi delle persone LGBT+ che sta filtrando dal Vaticano trova una eco con ciò che molta gente ha sempre saputo dei loro zii, padri, sorelle e vicini omosessuali, che amano e che sanno essere persone buone e normali come loro. Giudicare qualcuno basandosi solamente sulla sua sessualità è qualcosa di pruriginoso, e offende Dio. È gratificante vedere che la gerarchia ecclesiastica sia stata costretta ad imparare da tante persone buone ed oneste. Speriamo possa continuare così.
Michael Brinkschröder è teologo e sociologo, e copresidente del Comitato tedesco dei cattolici LGBT+.
Fin dall’inizio del suo pontificato, le necessità pastorali delle persone LGBTIQ sono state una questione importante per papa Francesco. Ben sapendo come, nella Chiesa a livello globale, possano dividere le questioni morali e teologiche connesse all’omosessualità, ha iniziato dando molti esempi di cura pastorale per le persone queer. Solo recentemente ha manifestato il suo sostegno personale ed esplicito ad organizzazioni come New Ways Ministry, e a religiosi di alto profilo come padre James Martin e suor Jeannine Gramick negli Stati Uniti, o suor Mónica Astorga Cremona in Argentina, che sono impegnati sul campo in questa attività pastorale.
Il suo esempio personale e la sua raccomandazione ufficiale di diventare una Chiesa accogliente hanno spianato la strada, in molte diocesi, all’organizzazione di una pastorale LGBTIQ. Nella sola Germania il numero di queste realtà è triplicato durante il suo pontificato, e continua ancora a crescere.
Tutto questo è già un cambiamento in sé, perché denota accoglienza, inclusione, e non discriminazione, invece di esclusione, rifiuto e discriminazione. Ma è qualcosa di significativo? Finché la dottrina tradizionale, così com’è riassunta nel Catechismo, sarà valida, la sensibilità pastorale potrà solo cercare di guarire alcune delle ferite che la Chiesa stessa ha inferto. Finché il Vaticano negherà alle coppie omosessuali la liturgia di benedizione, o rifiuterà la transizione delle persone che non si riconoscono nel proprio corpo, o chiederà una chirurgia di ricostruzione genitale per i bambini intersex, non credo che il solo esempio personale di papa Francesco porterà cambiamenti significativi.
Finché la Conferenza Episcopale del Ghana si schiererà a favore di una legge che calpesta i diritti umani delle persone LGBTIQ del Paese, e nessuno degli alti prelati vaticani condannerà questa criminalizzazione in nome dell’etica sociale cattolica, non ci saranno cambiamenti degni di nota.
Nel lungo periodo, una pastorale LGBTIQ che si limiti a offrire un “posto a tavola” e a guarire le ferite, non è sufficiente. Abbiamo bisogno di una pastorale radicale e critica, che metta in discussione e superi le dottrine contrarie al Vangelo inclusivo di Gesù. Il Sinodo globale che la nostra Chiesa ha intrapreso ci fornisce lo spazio per sollevare tali questioni.
Marianne Duddy-Burke è direttrice esecutiva di DignityUSA.
Mettiamo le cose in chiaro: i cambiamenti che la Chiesa Cattolica sta affrontando riguardo alle persone LGBTQ sono in corso da decenni, e sono stati portati avanti da gente coraggiosa e generosa: persone queer, ma anche famigliari, amici e sacerdoti in prima linea.
Queste persone hanno messo in discussione le dottrine dannose e le pratiche discriminatorie che caratterizzano il cattolicesimo romano istituzionale. Alcuni prelati aiutano da molto tempo a spianare la strada a questi cambiamenti, ma tra i rappresentanti della gerarchia, sono molto pochi. Gli sforzi della gerarchia sono sicuramente ben accetti, ma dobbiamo renderci conto che è stato il popolo dei fedeli ad aprire la strada ad una maggiore giustizia, uguaglianza e inclusione, e che i vertici della Chiesa hanno ancora molto da fare in questo campo.
Papa Francesco ha dato alcuni contributi positivi, creando un clima che incoraggia il dibattito e la diversità, e diminuendo il timore di sanzioni contro coloro che mettono in discussione, o non condividono, la dottrina ufficiale. Il suo particolare approccio positivo a chi si impegna in quello che per molte persone LGBTQ è una pastorale che li aiuta, la sua volontà di andare incontro alle persone queer e il suo uso di termini colloquiali sono cambiamenti notevoli rispetto ai pontefici precedenti.
Tuttavia Francesco continua ad usare un linguaggio offensivo per descrivere le persone transgender e non binarie, e non ha ancora cambiato nessuna delle dottrine che sminuiscono la dignità delle persone LGBTQ e contribuiscono alla violenza, alla discriminazione e all’oppressione sistematica che dobbiamo affrontare, in misura diversa, in tutto il mondo.
Finché la dottrina cattolica affermerà che le persone LGBTQ, pur vivendo vite ricche e piene, non fanno parte del piano di Dio, continueremo ad affrontare discriminazioni religiose come ascoltare omelie che ci dipingono come peccatori depravati, essere esclusi dai Sacramenti in certi luoghi, essere licenziati o privati di ruoli importanti, vedersi negate cure mediche e servizi sociali da alcune istituzioni cattoliche, essere discriminati in alcune scuole cattoliche, vederci impedito formare una famiglia, vedersi impedito di cambiare la nostra identità o di instaurare relazioni intime, vedere governi approvare leggi che limitano i nostri diritti umani, non essere pienamente accolti e accettati nelle nostre comunità di fede.
Ma persone coraggiose, generose, piene d’amore e di fede continueranno a impegnarsi per rendere possibili tutti questi cambiamenti, come hanno sempre fatto.
Craig A. Ford è professore aggiunto di teologia e studi religiosi al St. Norbert College, DePere, Wisconsin.
È difficile non essere d’accordo con l’analisi che Christopher Lamb ha fatto della pastorale di papa Francesco per le persone LGBTQ. Lamb individua con precisione il motore con cui Francesco cerca di attuare il cambiamento: il dialogo. Il Pontefice vuole che ragioniamo basandoci non sulla dottrina, ma, in primo luogo, sulle relazioni. Vuole che smettiamo una certa retorica, che abbandoniamo alienanti posizioni preconcette, e chiede di accompagnarci l’un l’altro nelle diversissime esperienze che facciamo in questo difficile mondo. Dobbiamo cercare di costruire ponti, non muri, come Francesco ha ribadito più volte. Lamb tratteggia molto bene questo atteggiamento, e i suoi esempi, dalla lettera a padre James Martin e a suor Jeannine Gramick all’inclusione di New Ways Ministry nel sito del Sinodale all’assegnazione ad altro incarico dell’arcivescovo Giacomo Morandi, sono utili per convincerci.
Suggerirei anche, se fossi in lui, che l’approccio pastorale di Francesco alle persone LGBTQ non lascia inalterata la dottrina. Non è così miope, e sta anzi tentando di forgiare, al più alto livello, una nuova identità ecclesiale. Dovremmo riconoscere questo passo esattamente per quello che i detrattori di Francesco temono: l’inizio di un cambiamento sostanziale, che alla fine porterà a modificare la dottrina. In altre parole, il Pontefice sta facendo piani a lungo termine, ecco perché tante persone, che gridano alla “confusione dottrinale” e all’“eresia”, vogliono affossare questo processo prima che abbia l’opportunità di guadagnare slancio.
Ma papa Francesco non è la Chiesa, e non può fare queste cose da solo. Alla veneranda età di ottantacinque anni non sarà in grado di continuare questa sua opera ancora per molto. Questo stato di cose ci spinge a farci domande spiacevoli: Il Pontefice ha costruito su fondamenta abbastanza solide, in modo che altri possano in futuro portarne avanti l’opera o tutto questo verrà semplicemente smantellato da un nuovo Papa? E un’altra cosa, molto importante: perderemo fiducia, noi, il resto della Chiesa, nella visione di papa Francesco, e non lavoreremo più nelle nostre parrocchie e diocesi per realizzarlo? Chi continuerà la sua opera un giorno? Quale forma assumerà il cambiamento dottrinale nella nostra Chiesa dipende assolutamente da noi.
Testo originale: ROUNDTABLE: Has Church Made a “Decisive Shift” on LGBTQ Issues? — Part I