La caccia agli omosessuali nella Germania nazista e nell’URSS stalinista
Articolo di Jason Dawsey* pubblicato sul sito del Museo della Seconda Guerra Mondiale di New Orleans (Stati Uniti) il 16 giugno 2021, liberamente tradotto da Roberta Lanzafame
Se il termine “omosessualità”, sempre più anacronistico, può essere ancora utilizzato con un’appropriata contestualizzazione, allora una prospettiva storica critica può considerare gli anni 1933-34 come un periodo di enormi battute d’arresto per l’emancipazione omosessuale. In poco più di un anno, la lotta vitale per la libertà e l’uguaglianza umana subì una doppia sconfitta: “doppia” in quanto sia in Germania che in Unione Sovietica la liberazione dei gay e delle lesbiche venne bruscamente e violentemente ritardata di decenni.
In questi due Paesi, oppressi all’epoca dalla doppia mostruosità di Hitler e Stalin, si erano verificati progressi significativi per le coppie omosessuali nei quindici anni precedenti. In un tempo incredibilmente breve, però, tutte le conquiste fatte per l’uguaglianza in Germania e nell’URSS furono spazzate via.
Il 6 maggio 1933, a Berlino, poco più di tre mesi dopo che Adolf Hitler fu nominato cancelliere, i membri delle SA (le truppe d’assalto del partito nazista) e degli studenti ultranazionalisti si riunirono fuori dall’Istituto di Scienze Sessuali, vicino al Tiergarten, nel centro della città. Fondato dallo stimato sessuologo Magnus Hirschfeld (1868-1935), l’Istituto si dedicava alla ricerca sull’intero spettro della sessualità umana. Ebreo, gay, e politicamente di sinistra, Hirschfeld poteva senz’altro aspettarsi una triplice inimicizia dagli aderenti al nazismo.
Già prima del 1933 Joseph Goebbels aveva denunciato le affermazioni di Hirschfeld e del suo Istituto, secondo cui gli omosessuali rappresentavano di fatto un “terzo sesso”, che l’intimità fra persone dello stesso sesso non doveva essere considerata un crimine, e che le persone afflitte da “disturbi fisici e psicologici riguardanti la sfera del sesso” dovevano ricevere le migliori psicoterapie e cure disponibili.
Goebbels sapeva anche che la presenza dell’Istituto a Berlino era sostenuta dal Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), al potere a Berlino dal 1919, e che ospitava il Comitato Scientifico Umanitario (fondato da Hirschfeld nel 1897 per promuovere i diritti degli omosessuali), e un’organizzazione internazionale, la Lega Mondiale per la Riforma Sessuale.
L’opportunità di assaltare l’Istituto fu abbracciata con entusiasmo dagli sgherri scatenati del nazismo. Atina Grossmann, nel suo superbo Reforming Sex (Rivoluzionare il sesso) del 1995, descrive come una banda di ottoni si mise a suonare mentre i 10.000 volumi della biblioteca dell’Istituto venivano pubblicamente bruciati, i suoi edifici attaccati, e un busto di Hirschfeld distrutto.
Hirschfeld, spesso soprannominato “l’Einstein del sesso”, poteva solo guardare da lontano, dalla sua nuova casa di Parigi, come tutto ciò che aveva faticato a raggiungere dal 1890 nel campo dell’esplorazione scientifica e della comprensione della sessualità andasse letteralmente in fumo. Poco dopo, la dittatura nazista diede un giro di vite alla famosa sottocultura gay e lesbica di Berlino, con i suoi club, bar e pubblicazioni. Seguirono misure ancora peggiori a partire dalla fine degli anni ’30, quando il regime di Hitler rivelò quanto fosse estrema la sua omofobia.
Tredici mesi dopo, nel giugno 1934, un altro colpo di maglio cadde sulle aspirazioni di emancipazione omosessuale. Nessuno fu sorpreso quando il regime nazista soppresse gli ambienti gay e lesbici di Berlino e di altre città della Germania.
Questo secondo caso era radicalmente diverso. Il governo sovietico di Stalin aveva ideato una legge che criminalizzava l’omosessualità. La GPU di Genrikh Yagoda, la polizia segreta, aveva già rastrellato gli uomini gay, ma senza una legge che delineasse la natura del reato. La legge del 1934 (articolo 154a del codice penale dell’URSS) rettificò questa mancanza: in un’orribile distorsione dei principi del marxismo, l’intimità fisica tra uomini si identificò unicamente con il “comportamento decadente” delle vecchie classi dirigenti. Venne prevista la condanna ai lavori forzati per gli uomini che violavano la nuova legge, e molti dei condannati finirono nel famigerato sistema Gulag dei campi di lavoro forzato.
Con l’approvazione di questa legge, Stalin continuò con il suo totale tradimento della Rivoluzione d’ottobre. Infatti, poco dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, il nuovo Soviet dei commissari del popolo, guidato da Vladimir Lenin, abolì il vecchio codice penale russo, e questo significava, tra le tante cose, l’abolizione delle leggi contro la sodomia. La depenalizzazione permise agli uomini gay (c’era stata molta meno attenzione al lesbismo nella Russia prerivoluzionaria), in generale, di vivere e amare molto più apertamente di quanto avessero mai fatto prima.
Quando i bolscevichi dichiararono che la rivoluzione operaia mondiale era portatrice di una nuova era di emancipazione dei diritti umani, e della fine di tutte le forme di illibertà e di discriminazione, si infiammò l’immaginazione di tanti uomini e donne, dentro e fuori l’Unione Sovietica, desiderosi di libertà sessuale.
I codici penali redatti nel 1922 e nel 1926 non includevano disposizioni contro le relazioni omosessuali (anche se potevano ancora riscontrarsi atteggiamenti omofobi fra i bolscevichi). Inoltre, il fatto che Georgij Čičerin (1872-1936) fosse gay (sebbene non si esprimesse apertamente sulla sua sessualità), non ostacolò la sua nomina a successore di Lev Trockij come commissario del popolo agli affari esteri nel 1918, e divenne una delle figure più in vista dell’URSS, fino a quando lasciò l’incarico nel 1930.
Durante gli anni ’20, nonostante una certa opposizione interna, il regime bolscevico strinse anche legami con l’Istituto di Hirschfeld, e i sessuologi sovietici parteciparono ai congressi condotti dalla Lega Mondiale per la Riforma Sociale. Alla fine degli anni ’20, però, si verificò una nuova terribile svolta nella politica sovietica verso l’omosessualità: la legge del 1934 segnò una completa e draconiana chiusura nei confronti dell’omosessualità da parte dei bolscevichi.
Il ripudio di una delle principali conquiste della Rivoluzione del 1917 non dovrebbe essere visto come un caso isolato, e vorrei infatti tentare di accostarlo alla persecuzione, molto meno sorprendente, del Partito nazista. Negli anni ’30, i regimi di Hitler e Stalin si rispecchiarono sempre più l’uno nell’altro.
Non erano però forme gemelle di totalitarismo: erano comunque separati da grandi differenze ideologiche e istituzionali. Tuttavia, per il raggiungimento dell’emancipazione degli omosessuali, gli sviluppi degli anni 1933-34 hanno rappresentato una doppia, catastrofica sconfitta. Ci vorranno anni per recuperare il terreno perso durante quel periodo e il peggio doveva ancora venire.
* Jason Dawsey è ricercatore presso l’Istituto per lo studio della guerra e della democrazia.
Testo originale: A Double Defeat: Catastrophe for Gay Emancipation in Germany and the USSR