Il matrimonio gay e gli ebrei, tra condanna e accettazione
Articolo del rabbino Avi Shafran tratto dal sito Jewish Word Rewiew (USA) del 21 giugno 2006, libera traduzione di Erica
La discussione sul matrimonio gay divide anche il mondo ebraico. Un rabbino americano spiega perché bisogna combattere il matrimonio gay e i tanti rabbini che invece lo considerano come “giusto e buono” e lo fa riproponendo le stesse argomentazioni usate dal magistero cattolico e dagli evangelici conservatori. In effetti gli omosessuali hanno fatto il miracolo di unire insieme nella condanna fedi e religioni diverse, divise da secoli. Non sappiamo se è un titolo di merito, per i gay s’intende.
Non bisognerebbe mai confondete le opinioni degli Ebrei con l’opinione del Giudaismo, anche se quelli che le esprimono hanno il titolo di “rabbino”. Tra quelli che si oppongono all’emendamento costituzionale (statunitense) – provvisoriamente scartato – che definisce il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna compare un’organizzazione ecumenica che riunisce un gran numero di associazioni.
“Clergy for Fairness ” ( Il clero per la giustizia) è composto da un assortimento di gruppi, alcuni sono affiliati con diverse denominazioni cristiane, altri con la religione sikh e altri ancora con i movimenti del mondo ebreo (americano): “Reform”,”Reconstructionist”,e “Humanistic” . Questa associazione afferma che l’emendamento proposto per la protezione del matrimonio avrebbe come effetto “ di ledere la libertà religiosa”.
Non si spiega come la libertà religiosa sia riuscita a durare per i 230 anni della nostra repubblica o , d’altra parte, come le genti abbiano potuto considerarsi libere dall’alba della creazione quando il diritto al matrimonio omosessuale non era riconosciuto e, di fatto , nemmeno immaginato.
Ancora più sorprendenti, tuttavia , queste parole di uno dei membri del gruppo, il rabbino riformato Craig Axler che, quando questa proposta di emendamento era entrata nel dibattito pubblico, ha detto al New York Times che “restare in silenzio come ebrei era inconcepibile”.
Effettivamente. Solamente non nella maniera che lui potrebbe pensare. E’ probabilmente che gli Ebrei , come popolo eternamente perseguitato, dovrebbero provare dell’empatia per quelli che sono emarginati, anche solo marginalmente, dalla società.
Ma che una tale empatia sia o meno dovuta a chi non riesce a ottenere lo statuto di matrimonio per una relazione omosessuale che è stata rigettata dalle culture civilizzate da sempre, non assomiglia per niente all’essere tenuti prigionieri all’interno di un ghetto o condannati a un campo di concentramento. E, d’altra parte, in maniera più pertinente, ciò che definisce un Ebreo non è il suo stato di vittima ma il giudaismo.
Di conseguenza , quello che il rabbino dovrebbe, al contrario, trovare inconcepibile “come ebreo” è la falsa rappresentazione della tradizione religiosa ebraica. Quello che dovrebbe obbligarlo ad esprimersi sono le verità ebraiche.
Potrebbe cominciare dal libro del Levitico, in cui le relazioni sessuali tra uomini sono dette “to’eiva”, che si può tradurre come “un abominio”.
La tradizione orale ebraica abbonda di sentimenti simili. Gli atti omosessuali sono associati dalla Midrash ai popoli cananei la cui condotta aveva insudiciato la Terra Santa; e i rabbini dell’era talmudica hanno insegnato che il riconoscimento ufficiale delle unioni omosessuali era una delle ragioni del Diluvio biblico.
In effetti, una dichiarazione del Talmud afferma che una delle qualità che salva la società umana è stato il suo rifiuto “di scrivere dei documenti di matrimonio per gli uomini”– cioè , in altre parole, il mantenimento della definizione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna.
La Torah non ordina di odiare gli omosessuali. Non dichiara come fondamentalmente malvagie le persone che prendono parte ad atti omosessuali; e certamente non quelle che hanno tendenze omosessuali. Queste persone non perdono la loro umanità o, se sono ebrei, la loro appartenenza al popolo ebreo; ne devono essere oggetto dalla compassione o dell’interesse degli altri.
Ma il giudaismo, in maniera molto chiara, proibisce gli atti omosessuali; e, in maniera altrettanto chiara, non autorizza altro che l’unione di un uomo e di una donna nel matrimonio. Tutti quelli che desiderano affrontare questo problema “come ebrei” devono dichiarare questi fatti, non eluderli.
Capita che il rabbino Axler segua le consegne del suo movimento. Il presidente del Reform Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion, il rabbino David Ellenson, invece ha affermato nel New York Jewish Week che non solamente gli atti omosessuali non violentano il carattere e lo spirito della Torha ma che accettarli come perbene e adeguati è un imperativo religioso per gli Ebrei.
“Una tradizione che ordina: Tu farai quello che è giusto e buono”, ha spiegato, “può sicuramente essere interpretata in maniera che l’etica della tradizione ebraica possa essere considerata come l’annullamento di una unica dichiarazione del Levitico…”
Ma – in quanto Ebreo – il rabbino Ellenson deve affrontare il fatto che la Torah contiene effettivamente quei due versetti e dovrebbe comprendere che l’ultimo versetto non contraddice affatto il primo, non più delle leggi della Torah che proibiscono altre relazioni sessuali.
La definizione “giusto e buono” non significa qualunque cosa che una società o un’epoca particolare può accettare ma piuttosto, e più precisamente, il attenzione a quello che Dio ci comanda di fare o di non fare. E’ questa l’essenza stessa della fede ebraica: seguire la luce divina, non le nostre luci personali.
Quando dei movimenti ebraici contemporanei danno una definizione di giudaismo per i loro adepti, è già molto criticabile. Ma quando cercano di rivestire di politicamente corretto la fede ebraica, fanno violenza all’integrità dell’eredità religiosa di tutti gli Ebrei. Che il problema sia “la libertà nel campo della riproduzione” o il suicidio assistito o la ridefinizione del matrimonio, reagire “in quanto Ebreo” deve voler dire qualche cosa di più che solamente reagire.
Abramo, secondo la tradizione ebraica, era chiamato l’ “Ivri”- cioè, “quello che è dall’altra parte” – perché “ il mondo intero era da una parte” di un fiume concettuale e lui era “dall’altra parte”.
Niente è più fondamentalmente nel mondo giudeo che il tenersi volontariamente in disparte da un mondo senza briglie e di affermare delle verità eterne. E’ così che si agisce, in quanto Ebrei.
Articolo consultabile anche in francese (sito esterno): Société: Le mariage gay et le judaïsme