Figli da generare o fabbricare?
Articolo di Marco Politi pubblicato su Il Fatto Quotidiano” del 13 gennaio 2013
Oltre la sentenza della Cassazione è giusto porsi domande sul posto di un bambino nell’ambito di una coppia dello stesso sesso? Credo di sì. Bene ha fatto la Corte a non strappare un figlio alla madre, convivente con un partner dello stesso sesso. E bene farà il prossimo Parlamento a varare una legge, che tuteli pienamente le coppie gay. Ma la questione non si esaurisce qui.
Forse è utile diffidare delle risposte apodittiche. Il tema che rapidamente si sta imponendo all’attenzione della pubblica opinione tocca la distinzione tra generare o “fabbricarsi” un figlio e se quest’ultima prospettiva sia un diritto delle coppie dello stesso sesso.
E qui conviene che in Italia ci si liberi dall’ “ossessione cattolica”. Che ha due aspetti. La necessità, anzitutto, di rivendicare la libertà del Parlamento di fare le leggi, liberandosi dalla prepotente azione lobbistica dell’istituzione ecclesiastica, tesa a imporre ai politici scelte non condivise dalla maggioranza degli italiani.
Ma è necessario anche affrontare liberamente questioni esistenziali radicali senza correre subito a chiedersi quale sia la posizione della Chiesa.
Dire che l’amore rivolto ad un bambino è un valore in sé, a prescindere dall’orientamento sessuale degli adulti, che lo hanno in cura, è totalmente corretto. Persino ovvio pensando ai tanti parenti-serpenti in giro. Ma non è tutto. La domanda, che sorge, è se citando l’eguaglianza di qualsiasi situazione non si invochi un livellamento totale, forzoso.
Noi non siamo (semplicemente) mammiferi, siamo anche prodotti della nostra umana cultura. Ma proprio la cultura permette di cogliere le differenze intime dei nostri rapporti sessuali, che non sono mere “tecniche”. Non è uguale per un maschio perdersi nel ventre di una donna o entrare nel corpo di un altro maschio. Non è eguale per una femmina afferrare un uomo o provare piacere con una sua simile. Non è indifferente che da rapporti di vario tipo si “crei” o no un figlio. Sono, nell’attimo stesso in cui si vivono, “mondi” diversi, in cui si intrecciano archetipi psico-fisici con una precisa connotazione.
“Farsi” un figlio per due partner dello stesso sesso, che non possono generarlo insieme, è un’operazione precisa. Nel caso di due uomini implica il ricorso ad un utero in affitto. Nel caso di due donne esige il seme di un invisibile uomo. Nel primo caso il figlio appena nato è strappato alla gestante, con cui da feto ha dialogato quando ancora stava nell’utero. Nel secondo è privato forzosamente dal rapporto con una parte delle sue radici psico-biologiche. In un caso e nell’altro è il risultato di una produzione, che lo rende orfano a metà. (Tanto è vero che in paesi, che avevano normato la fecondazione eterologa con l’anonimato totale, ora si autorizza il figlio maggiorenne a “rintracciare” il genitore biologico).
Tutto questo non è in/differente. Non può essere livellato ideologicamente quasi che una creazione equivalesse all’altra. Né può essere semplicemente coperto (o rimosso) dal dato affettivo. La stagione degli anni Sessanta riscoprì giustamente la realtà corporea dei rapporti sessuali, nella sua dimensione materiale (così come svelò la natura “materiale” dei rapporti sociali), combattendo ogni idealizzazione della divisione tra spirito e corpo e ogni supposta prevalenza dello “spirito”.
Dal punto di vista del bambino – a parità di amore ricevuto – è indifferente o meno, che cresca nel vivo del rapporto tra i due poli maschile e femminile, che lo hanno materialmente generato nella sua dimensione corporea e psichica, nell’intreccio di una lunga storia del Dna di madre e padre? È bene che crescendo si inserisca nella tensione fra queste polarità, che hanno profonde radici psichiche? Oppure bisogna cedere ad un astratto livellamento nel nome del piacere, che ha (giustamente) mille volti. Una delle personalità più brillanti della psicanalisi odierna, il neoeletto presidente della Spi Antonino Ferro, ha scritto che l’ “irrompere del mentale nella nostra specie sbaraglia assetti biologici, istintuali precostituiti”. Ferro suggerisce di abituarsi all’idea di sessualità come “accoppiamento tra le menti”.
Discutiamone. Il ritorno ad una sorta di platonismo, in cui predominano le menti, mi sembra da respingere. È un impoverimento per la storia degli esseri umani nella loro carnalità.