Il mio cammino verso la resurrezione come cristiano queer
Intervista di Daniel Spielberger al poeta R/B Mertz, pubblicata sul sito del magazine online them. (Stati Uniti) il 5 aprile 2022, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Nella sua notevole autobiografia Burning Butch [gioco di parole con “burning bush”, il roveto ardente da cui Dio parlò a Mosè, n.d.t.], il poeta e artista trans/non binario e butch R/B Mertz, che vive a Toronto, racconta di come ha abbandonato una comunità cattolica ultraconservatrice per poter vivere serenamente la sua verità queer, nonostante la sua Chiesa la consideri “immorale”.
Poeta molto amato, con più di dieci anni di insegnamento alle spalle, Mertz punteggia la sua prosa con metafore piene di arte e di inventiva, che danno un’immagine vivida dei meccanismi interni delle comunità religiose bigotte e del coraggio necessario per avere la meglio su dogmi soffocanti.
Mertz era molto giovane quando, a seguito del divorzio dei genitori, ha abbandonato la casa di suo padre per vivere con la madre nella periferia di Washington.
Mertz è stata educata in casa, assieme a sette tra fratelli e sorelle, in una famiglia cattolica conservatrice, dove è cresciuta in una bolla fatta di preghiera e di rigide regole. Durante l’adolescenza si è poi messo a lottare contro le norme di genere e il rifiuto di suo padre, oltre che con la sua incipiente identità queer, volgendosi al musical e alla scrittura creativa per coltivare le sue fantasie di fuga.
Alla fine si è trovato al bivio tra l’interiorizzazione dell’oppressione e l’accoglienza della propria identità, proprio nel periodo in cui ha cominciato a frequentare un’università cattolica ultraconservatrice in Ohio: era l’apice della guerra culturale scoppiata durante la presidenza di George W. Bush.
Proprio lì Mertz ha cominciato a liberarsi dai ceppi dell’ideologia religiosa attraverso amicizie e relazioni molto formative, ed elaborando i traumi dell’infanzia.
In uno dei passi più toccanti della sua autobiografia Mertz scrive, attingendo dalla dottrina cattolica già usata come arma contro di lui, che abbandonando il “nascondiglio-caverna” ha conosciuto la “resurrezione”.
Come Cristo, tornando alla vita, è uscito dal sepolcro ed è apparso a Maria Maddalena, Mertz ha passato del tempo nel suo “nascondiglio-caverna” ad assorbire gli insegnamenti di molte generazioni di persone queer, emarginati e artisti prima di riconoscere il suo potere: “Alzati, esci fuori: resuscita te stess*”.
In anticipo sull’uscita del suo libro, Mertz ha parlato con noi di them sulla suo autobiografia di poeta, sulla sua uscita dal “nascondiglio-caverna” e la riconciliazione dell’identità queer con la fede.
Nella tua autobiografia scrivi che la poesia era “più facile da nascondere dentro, perché la storia e i pronomi avevano poca importanza”. In altre parole, gli scrittori ancora nel nascondiglio forse gravitano verso la poesia perché essa permette di essere vaghi, di non specificare. Potresti parlarmi di te che scrivi la tua autobiografia, un medium che di solito non è ambiguo come la poesia?
Questo è saltato fuori quando studiavo poesia all’università, ed ero circondato da gente appassionata di poesia, non da gente che veniva da chissà quale setta cristiana. Scrivevo queste poesie che si riferivano a cose ben precise, e facevo quelle che pensavo fossero allusioni intelligenti, ma poi mi sono accorto che nessuno capiva di cosa stessi parlando, perché la cultura da cui venivo era una piccola sottocultura. Scrivere la mia autobiografia, al contrario, [è una cosa che richiede] una grande chiarezza. Scriverla non è stato affatto facile, è stata una transizione, perché all’università scrivevo solo poesie, ed ero concentrato su quello, ma questo è un libro di narrativa.
Nel tuo libro parli della mentalità dogmatica, di quanto sia oppressiva. Verso la fine, quando parli di un festival lesbico, descrivi una folla di persone tutte uguali tra loro, e questo ti ha fatto tornare in mente le istituzioni religiose che avevi abbandonato. Osservi anche che quegli ambienti sono a volte saturi di paranoia: per esempio, a un precedente festival lesbico le donne cisgender avevano voluto escludere le donne trans, perché erano disturbate dai loro peni. Tu sei un educatore: in che modo insegni ai tuoi studenti di evitare questo tipo di mentalità dogmatica?
Bisogna rendersi conto che, [quando] qualcuno è in una posizione di potere, non c’è certo da sorprendersi se abusa di questo potere, come dice [l’artista neoconcettuale] Jenny Holzer. Qualsiasi sia la posizione di potere, fosse pure in un gruppo emarginato, dobbiamo esaminare il nostro comportamento e le nostre motivazioni, soprattutto se ci troviamo in questa posizione [o] escludiamo un gruppo spesso escluso: dobbiamo interrogarci.
Non conosco nessuna ricetta segreta per farlo, ma penso che essere sinceri con noi stess*, e cercare le nostre motivazioni, sia un ottimo inizio. Ai miei studenti cerco di offrire domande, non risposte, del tipo: cosa pensate di questo? Che cosa vi fa venire in mente? A che cosa vi fa pensare?
Mi piace davvero molto la metafora del “nascondiglio-caverna” e quella della resurrezione come potente simbolo dell’identità queer. Come ti sono venute in mente?
Penso che le persone queer debbano morire molto. Moriamo quasi sempre, tranne che nei film più recenti. La resurrezione, per una persona cattolica, è costantemente presente. Nella poesia, nell’immaginario, e ogni domenica ti parlano della morte e della resurrezione, della morte e della resurrezione. C’è la morte concreta delle persone queer (gli omicidi, i suicidi, l’HIV, tutto ciò che esclude e rende la vita più dura), e la resurrezione non è altro che la speranza che in realtà non si muore, e che saremo in grado di ricreare la nostra vita in modo da renderla desiderabile.
Lo scorso anno ho subìto la mastectomia, e quindi ho avuto modo di pensare alle cicatrici fisiche, alle transizioni e alle nuove immagini del corpo, [un qualcosa] a cui non pensavo molto mentre scrivevo il libro, ma che è una cosa tipica di Gesù. Gesù dice tipo “Mettete il dito nella mia ferita, così capirete cosa mi è successo”, ed è anche qualcosa di adatto a una autobiografia queer: “OK, ecco qui, ecco com’è davvero essere una di quelle persone che nella nostra cultura vengono prese a mazzate”.
Alla fine del libro scrivi che non vai a Messa, però non rifiuti la spiritualità. Che consiglio puoi dare a chi sente di dover conciliare la sua fede con la sua identità queer?
In generale mi chiedo se il libro (o il fatto di averlo scritto) mi faccia apparire più vicino alla Chiesa Cattolica di quanto sia in realtà. Il mio obiettivo nello scriverlo era ritrarre l’umanità di chi vive in quella cultura tossica, non di farla apparire meno tossica. Dico spesso che il cattolicesimo, e anche il cristianesimo, sono lingue che so parlare (forse tipo varianti della stessa lingua), e anche se non sono più della partita, la partita mi piace. Quindi, se so parlare questa lingua e posso raggiungere delle persone che potrebbero fare del male ai loro figli queer o a se stesse, perché ascoltano solamente alcune parti di ciò che viene detto in questa lingua, allora penso sia stato utile passare anni energici e appassionati a frugare in questa letteratura, a cercare dei segni, e questo va benissimo. E i segni li ho trovati, ai margini: i mistici, i santi dimenticati, i santi trans della Chiesa primitiva, di cui nessuno parla: come accade alle persone queer di ogni parte del mondo, ciò di cui avevo bisogno si trovava ai margini.
Il cattolicesimo e il cristianesimo sono state delle mazze usate per menarmi, ma il fatto che sia stato menato con quest’arnese non vuol dire che l’arnese possa essere usato solo in quel modo.
Non vi consiglio di rimanere nella vostra religione se essa vi porta al punto di voler uccidervi. In quel caso vi dico di andarvene, di mettere su casa e di tenerla in ordine.Vivete la vostra vita, una vita autentica. Trovate delle persone come voi, che non vi obblighino a mettere a tacere certe parti di voi stessi, poi state a vedere cosa vi torna indietro. Quali parti della vostra tradizione vorreste portare con voi, restaurare, e mettere nella vostra nuova casa? Per me penso sia la redenzione, il concetto di redimere, di trarre qualcosa di positivo da una cosa negativa, che è come trarre l’arte dal dolore, il significato dalla sofferenza, e qui torna di nuovo il tema della morte e della resurrezione.
Testo originale: Read Me: This Trans Butch Memoir Explores Coming of Age at a Catholic College