Olocausto. Il silenzio di Pio XII
Articolo del 20 gennaio 2013 di Dino Messina pubblicato su La Lettura
«Personalmente — scrive Sergio I. Minerbi a conclusione del saggio Pio XII e il 16 ottobre 1943, in uscita sul prossimo numero di “Nuova Storia Contemporanea” — io mi salvai rifugiandomi nel collegio mariano di San Leone Magno.
A quell’epoca il preside della scuola era don Alessandro Di Pietro, che accolse venti ragazzi ebrei e una dozzina di antifascisti italiani adulti. Gli è stato reso onore il 30 gennaio del 2002, quando gli hanno conferito il titolo di “Giusto fra i popoli”».
L’esperienza personale raccontata con onestà e gratitudine e l’ammissione del fatto che migliaia di perseguitati, dopo la razzia del 16 ottobre, trovarono rifugio nelle chiese e nei conventi (secondo Robert Leiner si trattò di 2.775 ebrei e di 992 persone di altra religione) non attenua agli occhi di Minerbi, storico ed ex diplomatico israeliano, le responsabilità per quel che viene chiamato, dai tempi del dramma di Hochhuth Il Vicario (1963), il «silenzio di Pio XII».
La domanda aperta ancora oggi che è stato avviato il processo di beatificazione secondo Minerbi è perché il Papa non protestò con i nazisti apertamente né prima né dopo la razzia nel ghetto durante la quale furono catturati e mandati ad Auschwitz 1.022 ebrei.
Altri 1.069 furono catturati dopo il raid e 75 caddero alle Fosse Ardeatine. Minerbi è convinto che Pio XII sapesse quel che stava per accadere grazie agli avvertimenti dell’ambasciatore presso il Vaticano Ernst Weizsäcker, ma decise di tacere per evitare la minacciata occupazione nazista della Santa Sede.
Un piano che prevedeva anche il rapimento del Papa e il suo trasferimento in Liechtenstein. Pio XII sperò fino all’ultimo in una soluzione negoziale del conflitto, con il Vaticano nel ruolo di mediatore tra gli Alleati e la Germania, e l’Unione Sovietica isolata.
Non è poi vero, argomenta lo storico, che la scelta del Papa consentì di salvare molte più vite umane. Una dichiarazione pubblica e forte, secondo Minerbi, avrebbe probabilmente potuto salvare dalla deportazione gli ebrei che dopo la cattura rimasero per tre giorni all’interno del collegio militare di Roma.