Gender neutral. Quando la scuola accoglie le persone transgender
Dialogo di Katya Parente con il docente Gianluca Dradi
Stavo ascoltando Rai Radio3 (precisamente il programma “Fahrenheit”, un contenitore pieno di spunti e di idee molto intelligenti – una vera oasi culturale, agile ed interessante), quando sento le parole “ideologia” e “gender”. Ho aguzzato subito le orecchie, appassionandomi al dialogo che il conduttore stava intrattenendo con l’ospite, preside del liceo artistico di Ravenna, che parlava dell’iniziativa intrapresa dal suo istituto. Il docente in questione si chiama Gianluca Dradi, e ha gentilmente acconsentito ad accordarci un po’ del suo tempo.
Innanzitutto, ci può spiegare in cosa consiste la sua iniziativa?
L’iniziativa consiste in un regolamento, approvato dal Consiglio di Istituto, in virtù del quale se alla scuola perviene una richiesta dei genitori di uno/a studente/ssa che vive una situazione di varianza di genere e chiede di essere denominato/a con un nome corrispondente ad un genere diverso, noi accogliamo la richiesta.
Conseguentemente, nel registro elettronico e nell’indirizzo di posta elettronica si adotterà il nome di elezione. Verrà inoltre predisposto un bagno “gender neutral” e uno spogliatoio dedicato. In questo modo pensiamo di favorire il benessere degli studenti, riconoscendo le persone per come sono.
Secondo lei esiste la tanto famigerata teoria del gender?
Non saprei. Quel che posso dire è che la nostra iniziativa non parte da una posizione “filosofica”, ma da un paio di richieste concretamente pervenute da studenti e studentesse. Io sono abbastanza certo che la loro richiesta non ha motivazioni ideologiche, ma fa seguito a un percorso di sofferenza interiore e al bisogno, vitale, di essere riconosciuti ed accettati. E una scuola che voglia essere inclusiva, aperta e non discriminatoria, non può ignorare tali richieste.
Se qualcosa di “ideologico” (tra virgolette) può ritrovarsi nell’iniziativa, non è legato al “gender”, ma all’idea che una scuola che voglia promuovere l’apertura mentale, il dialogo interculturale, il problem solving, debbae anche offrire ai propri studenti un’esperienza concreta di pluralità di linguaggi, punti di vista, scelte di vita ecc… E dunque il riconoscimento delle persone transessuali, tramite la legittimazione ad essere chiamate come meglio si sentono, sta dentro quest’idea di educazione alle differenze ed alla capacità di saper vivere in una società complessa.
La sua decisione l’ha portata all’onore delle cronache…
Vero, ma la vedo come un effetto collaterale [ride].
Qualcuno l’ha paragonata al professore dell’“Attimo fuggente”. Si sente davvero così rivoluzionario?
Rivoluzionario mi pare eccessivo, innovatore un po’ sì. Dove con innovatore intendo, semplicemente, cercare e sperimentare soluzioni non predeterminate dall’alto, ma sfruttando quei poteri di autonomia organizzativa che sono riconosciuti alla scuola italiana sin dal 1999.
Innovare, in una società complessa, significa anche cercare, volta per volta, le soluzioni ragionevoli, rifuggendo da dogmatismi, intransigenze e certezze consolidate. Sperimentare significa, ovviamente, correre anche il rischio di sbagliare; ma la scuola è definita come una “comunità di apprendimento”, e nell’eventualità, si apprende anche dagli errori.
Che consigli dà ai colleghi che si trovano in classe un alunno LGBT? E ai suoi genitori?
Non ho titoli per dare consigli agli altri, anche perché non ho una formazione come psicologo, medico, sociologo. In generale, come educatore e genitore, penso che quando si incontra uno/a studente o un/a figlio/a LGBTQ+ si debba semplicemente prendere atto del fatto, e cercare di rendere il percorso di vita di quella persona meno difficile di quanto comunque è destinato ad essere.
Penso che il loro primo desiderio sia essere accettati, e questo va fatto, se necessario anche con qualche “accomodamento ragionevole” di regole, prassi, comportamenti che, di fatto, li mettono in difficoltà. Penso che questo sia un loro più che legittimo diritto, tanto più che non vedo alcuna controindicazione quando si aggiunge per qualcuno un diritto, senza che questo comprometta in alcun modo i diritti degli altri.
Ecco quello che molti non comprendono: allargare le maglie di regolamenti o leggi, facendo sì che possano comprendere anche le persone LGBTQ+ (ma è un discorso che può valere per qualunque minoranza), nulla toglie a chi tale non è e vede già garantiti i propri diritti. Un nome non è un capriccio, sentirsi sicuri non è un optional.
Ringraziamo il professor Dradi, che incarna ciò che la scuola dovrebbe essere: un momento/luogo di educazione alla pluralità e al rispetto.