La donna di nessuno. La fede di Nadia, una donna transgender cristiana
Riflessioni di Fabio Trimigno del gruppo Zaccheo, cristiani LGBT+ di Puglia
Ve la ricordate quella donna del Vangelo che si avvicina a Gesù mentre si recava a casa di Giairo, capo della sinagoga? Quella donna che segue Gesù in mezzo alla folla, ve la ricordate?
Sì, proprio lei, quella donna di cui nessuno conosce il nome ma tutti sanno che soffriva di emorragia da molti anni e aveva consultato inutilmente molti medici. Ve la ricordate o no?
Sì, proprio lei, quella donna che si avvicina alle spalle di Gesù, tocca il suo mantello e guarisce all’istante. Io quella donna l’ho conosciuta e si chiama Nadia.
Nadia è una donna transgender che vive nel Gargano, la terra baciata dal sole e sporca di sangue, la terra rumorosa per le feste patronali e silenziosa per i lutti di mafia, la terra di tutti e di nessuno, il posto in cui il giorno prima tutti sanno di tutti e il giorno dopo nessuno sa più niente di nessuno.
Il Gargano: una terra abitata da donne fragili come le foglie ma dure come le rocce. E Nadia è una di queste donne. Sì, è proprio lei, quella del Vangelo: l’emorroissa.
Nadia dopo la sua transizione, dopo aver vissuto a Bologna per tanti anni e dopo aver chiuso una storia d’amore con un uomo violento, ritorna in Puglia, nel Gargano, dalla sua famiglia in cui viene accolta. Cerca lavoro e trova lavoro, ricuce alcuni rapporti con vecchi amici, ne conosce di nuovi e finalmente ritrova l’amore: Giuseppe un giovane di buona famiglia.
Il posto migliore, il Gargano, in cui tutti sanno di Nadia e Giuseppe il giorno prima, ma nessuno sembra sapere più nulla il giorno dopo. Il posto migliore per Nadia per continuare a sanguinare come l’emorroissa del Vangelo. Nadia non perdeva sangue, ma di più: ogni giorno perdeva un pezzetto di sé stessa, perdeva la sua dignità.
Non bastano medici e chirurghi, né psicologi né cure di ormoni per ritrovare sé stessa.
E proprio come l’emorroissa che consultava inutilmente medici da molti anni, Nadia consultava il suo specchio come la regina di Biancaneve. Solo i suoi tatuaggi riuscivano a parlarle e a ricordarle la sua storia, perché quando ti perdi e non sai più chi sei hai solo un modo per ricordartelo: disegnartelo sul corpo per sempre.
Nadia credeva di essere la donna di Giuseppe, ma scopre un giorno di essere stata la donna di nessuno. L’emorroissa corre tra la folla, Nadia non corre tra la folla perché non ci sono persone quando viene portata in un cimitero abbandonato e picchiata a sangue.
L’odio si nutre della paura, e quando non accetti il tuo amore per una donna transgender ti nutri sempre più di quella paura di scoprire chi sei davvero, e l’unico modo per liberartene è distruggere l’oggetto del tuo desiderio d’amore. La nostra emorroissa era in mezzo ad alberi e muri a secco, la sua folla era il nulla in mezzo a schiaffi, calci e pugni, fino a perdere un dente.
E dopo tre ore di percosse e violenza viene portata sul precipizio di una montagna e lì Nadia deve scegliere se morire ancora un pezzo alla volta o morire una volta e per sempre.
Non ha lo specchio della regina di Biancaneve per chiedere un consulto; non può neanche vedere i suoi tatuaggi per ricordarsi chi è perché sono imbrattati di terra e sangue; non ha il suo cellulare per chiedere aiuto perché le è stato sottratto, e anche se gridasse c’è solo il cielo la cosa più vicina ad una montagna, ma che non ti risponde.
Un cellophane ben disposto in auto e un coltello puntato al collo, forse per sgozzare una donna come un porco e lasciarla in pasto ai cinghiali al primo buio che sarebbe calato.
Ma Nadia è una donna del Gargano, fragile come una foglia ma dura come una roccia. E per uccidere una donna dura, forte e coraggiosa ci vuole un coraggio ancora più grande, e così che Giuseppe non riesce a pugnalarla e giù via per il dirupo.
Quando penso a questa scena penso al mantello di Gesù toccato dall’emorroissa.
Nadia ha un occhio nero, un dente mancante, la gamba rotta e una protesi del seno conficcata sotto l’ascella, ma non cede. Si arrampica a sassi e a cespugli di rosmarino, a rami e a fichi d’ india, tocca con il suo sangue quel mantello di Gesù, si aggrappa con tutte le sue forze al dorso laterale di quella montagna.
Arriva in cima e le gambe cedono perché è sfinita, ma almeno è riuscita a stare in piedi, fosse anche solo per un attimo, con la sua dignità di donna transgender.
Ieri ho rivisto Nadia dopo nove giorni dall’accaduto, era sola sugli scogli e guardava il mare. L’ho chiamata e lei voltandosi mi ha sorriso.
Quando incontri per un attimo la morte, resta solo una cosa tra la folla dei tuoi pensieri e delle tue paure: la fede.
Nadia è una donna transgender cristiana e cattolica, è proprio l’emorroissa, quella donna del Vangelo. Nadia è quella donna per cui la fede l’ha salvata.
a Nadia con affetto, Fabio