Nella chiesa cattolica c’e bisogno di una pastorale per le persone LGBT+?
Testo tratto dal libro LGBTQ Catholics: A Guide to Inclusive Ministry di Yunuen Trujillo (Paulist Press, 2022), capitolo I, pagine 3-5, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La necessità della pastorale – La persona LGBTQ
Ovviamente non dobbiamo dimenticare l’altra parte del Corpo di Cristo che soffre, ovvero la persona LGBTQ. Nel 2015, poco dopo aver fatto coming out con il mio parroco, sono stata messa in contatto con Irma e un’altra parrocchiana LGBTQ, in modo che in tre potessimo essere comunità l’una per l’altra. Il parroco, scherzando, ci chiamò “la Santissima Trinità”, un nomignolo che abbiamo subito adottato.
Irma ha sempre frequentato scuole cattoliche, dall’asilo alle superiori. Dice di essere la quintessenza della buona educazione cattolica, ma non è solo questo: è veramente cattolica nel cuore, un’anima gentile, amorevole e generosa. Poco dopo aver fatto coming out, tuttavia, le cose per lei sono cambiate.
La comunità che l’aveva vista crescere, la comunità su cui contava e che credeva ci sarebbe sempre stata per lei, fece molta fatica a conciliare l’amore per lei con quella che i suoi membri credevano fosse la reazione “giusta”, la reazione che la Chiesa richiede. Alcune delle sue più care amiche si sono allontanate da lei, insistendo sul fatto che dovevano dirle “la verità”.
Altre persone, invece, si sono allontanate e basta, la sua migliore amica non le ha più parlato e molti altri l’hanno giudicata. Irma ha sempre saputo di essere diversa, fin da quando aveva cinque anni, ed è sempre stata la stessa persona (un’anima gentile, amorevole e generosa) sia prima sia dopo aver fatto coming out, eppure qualcosa purtroppo è cambiato. Anche i suoi genitori, che l’hanno sempre amata profondamente, hanno avuto difficoltà a conciliare i sogni che avevano per il suo futuro con la nuova realtà.
Alla fine Irma è andata lontano da casa per frequentare una buona università cattolica, e ora è laureata. È tuttora cattolica, ma sa bene che nulla può rimetterla su quel piedistallo su cui gli altri l’avevano issata quando era al liceo, anche se è sempre la stessa persona, semmai anzi una persona migliore. Irma sa che la sua famiglia le vuole bene, e la sua speranza è che un giorno le sue azioni possano essere abbastanza eloquenti. È convinta che essere una vera cristiana non dovrebbe impedirle di vivere una vita felice, piena di gentilezza, di soddisfazioni e di amore, ed è convinta anche che gli altri riconosceranno il buono che c’è in lei.
Comprende quanto dolore le ha causato quanto è successo, e che deve ancora guarire completamente dal dolore inflittole dalla Chiesa, dal Popolo di Dio. Mantiene comunque la speranza che un giorno le persone che la amano, insieme a quelle che l’hanno abbandonata, la accetteranno per quello che è.
Da molti anni sono una responsabile laica nel campo della pastorale giovanile, e da più di sette anni sono impegnata nella pastorale LGBTQ, e in questa veste ho ascoltato centinaia di storie molto dolorose, storie di rifiuto da parte delle famiglie e delle parrocchie, violenze, bullismo, tentativi di suicidio, depressione, abusi e discriminazioni sul lavoro, vagabondaggio e povertà.
Non c’è però niente di più doloroso dello scoprire che dietro a molte di queste storie c’è il rifiuto da parte di un sacerdote o di un responsabile della parrocchia, di un famigliare molto praticante, o di altre persone che affermano di parlare in nome di Dio. Questo danneggia ciò che è più puro in un essere umano: l’anima e il desiderio di intimità con Dio.
Desmond Tutu ha detto: “Una persona è quello che è attraverso le altre persone; non si può essere umani vivendo nell’isolamento; si è umani solo nella relazione”. Quando una persona LGBTQ viene rifiutata, emarginata ed esclusa dalla comunità più sacra che un essere umano possa avere (la famiglia), il risultato è la devastazione e la disumanizzazione.
Ma quando il rifiuto parte dalla comunità ecclesiale, o da qualcuno che afferma di parlare in nome di Dio, non solo esso colpisce le nostre fibre più intime, ma ci deruba anche della nostra dignità di figli di Dio; è il peggior genere di violenza, perché ferisce l’anima.
Di conseguenza, molte persone LGBTQ abbandonano la Chiesa perché è troppo doloroso essere invisibili, essere trattate come se non fossero pienamente umane, e non sentirsi parte della comunità.
Ci sono però anche molti e molte di noi che rimangono. Tutti facciamo parte del Corpo di Cristo.