Vent’anni fa il primo coming out negli scout umbri. Cosa è cambiato da allora?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Stefano Bucaioni è l’attuale presidente di Omphalos, associazione LGBTI umbra. Ha 41 anni e un importante passato scout, bruscamente interrottosi nel 2002 in seguito al coming out. In occasione della Giornata del Coming Out, ci ripropone un articolo de Il Corriere della Sera, in cui si raccontava la vicenda. Lo riportiamo.
E’ un giovane esploratore come quello cantato da Francesco De Gregori. Ma a 21 anni ha già alle spalle un’onorata carriera nella sezione perugina degli Scout d’Europa, un’associazione cattolica tra le più importanti, che in Italia conta ventimila iscritti.
Il fatto di essere gay non gli ha mai procurato problemi ma solo perché si guardava bene dal dirlo. All’inizio dell’anno, però, le cose sono cambiate non appena, viste le sue qualità di educatore, gli hanno proposto id diventare Capo Reparto, cioè responsabile dei ragazzi tra gli 11 e i 16 anni. A quel punto, Stefano Bucaioni ha un problema di coscienza. Tenere nascosto il suo orientamento sessuale, oppure informarne i superiori?
Sceglie la seconda possibilità e comincia a parlarne col suo capo Gruppo, temendo che il fatot di essere gay possa entrare in conflitto con la nuova funzione che gli venoiva prospettata. Niente di male, gli viene risposto, ma, per sicurezza, meglio informare i responsabili regionali. Apriti cielo.
“Ho scritto una lettera per chiedere in termini generali se un omosessuale può diventare capo Riparto. La risposta è stata un giudizio negativo senza appello: la responsabilità di educatore non è compatibile con l’omosessualità”.
Stefano è impiegato in un’azienda di marketing internazionale e non ha un compagno. Vive con la madre, rimasta vedova da poco. Il sito web del gruppo scout di Perugia “Mafeking” porta un copyright col suo nome.
Agli esploratori ha dedicato metà della sua vita, promosso prima Rover-Scout, poi, nel 1999, Aiuto Capo Branco (…).
“Quando è arrivatala prosposta di passare Capo Riparto ero felice ma ho pensato che non potevo più tenere nascosta la mia omosessualità, perchè non volevo che sorgessero problemi il giorno in cui lo avessero scoperto”. Dunque, i problemi sono arrivati prima. “Il mio Gruppo ha fatto riunioni su riunioni per discutere il mio caso ma c’è stata una frattura. E allora la questione è passata al Distretto, che ha immediatamente bocciato la proposta di promozione”. Con la risposta, dal Distretto è arrivata la raccomandazione di tenere riservata la notizia “per non compromettere l’immagine dell’Associazione”..
Ed è questo che ha fatto andare su tutte le furie Stefano, il quale ha tutta l’aria di un ragazzo calmo e ponderato. Ora, però, ha deciso di affidarsi alle vie legali, come è già accaduto per casi simili negli Stati Uniti.
“La mia carica è stata affidata ad altri e io sono stato degradato, perché mi hanno chiesto di non esercitare più neanche la funzione di Aiuto Capo Branco”.
Cacciato a tutti gli effetti? “No no. Siccome sono sempre stato utile come tuttofare (…), mi hanno chiesto di restare a svolgere le mie vecchie funzioni di jolly, però impedendomi di avere contatti coi ragazzi”.
Le motivazioni sono scontate: “Non ritengono che, in un’associazione cattolica, un educatore possa non essere in linea con la loro morale e le loro regole di comportamento”. Non basta che Stefano sia credente e praticante, non basta che ogni domenica (…) vada a seguire la messa (…). Nè basta che consideri ancora lo scoutismo la sua più grande passione: “A questo punto – afferma – spero solo che la Chiesa, avendo cambiato opinione su tante cose nella sua storia, riveda le sue posizioni sull’omosessualità. E che, piano piano, faccia c ad ere anche questa assurda discriminazione”. Piano piano.
Abbiamo contattato Stefano per ringraziarlo di aver rinfrescato questa testimonianza e per scambiare qualche idea.
Allora Stefano: sono passati vent’anni. Cos’è cambiato da allora?
“Tante cose. Sono cambiato io ed è cambiato il mondo. In me è cresciuta la consapevolezza. Ho iniziato proprio allora il mio impegno nel movimento LGBT+, forse, all’inizio, proprio per reazione. E ho abbandonato lo scoutismo, che poi ho recuperato con la nascita, anche in Umbria, del CNGEI, l’associazione degli scout laici. Pian piano, poiché le cose vanno così, mi sono distaccato da qualunque riferimento alla sfera religiosa, che però rispetto”.
E invece, cosa è cambiato intorno a te?
“Tutto. E’ cambiato innanzitutto il modo di vedere l’omosessualità nella società e nella politica. Ed è cambiato anche lo scoutismo. Di conseguenza, in molte realtà scout, si parla tranquillamente di omosessualità, si evita di discriminare, si collabora con associazioni LGBT+. Non è così dappertutto (lo scoutismo è sempre stato molto differenziato al proprio interno) ma si notano molti segni di cambiamento. E sicuramente è cambiata anche la Chiesa.
Quali cambiamenti noti nella Chiesa e nel mondo cattolico?
La Chiesa non poteva non accettare i cambiamenti che stavano avvenendo – e ancora avvengono – nella società e tra le persone. Mi sembrerebbe strano il contrario. Così ha mutato il proprio linguaggio; non ha più un atteggiamento univoco di condanna; spesso chiede di dialogare.
Recentemente abbiamo avuto, noi di Omphalos, dei bei colloqui sia in diocesi a Perugia e sia col nuovo Presidente della CEI, mons. Zuppi. E’ stato bello, rispettoso da parte di entrambi. Ci siamo impegnati a collaborare.
Vedo che è cambiato anche il modo di rapportarsi tra Chiesa e movimento LGBT+. Fino a poco fa c’era un rifiuto reciproco. Ora si comincia a cercare, gli uni negli altri, i possibili punti di contatto.
Chiaramente, i tempi di cambiamento della Chiesa sono lunghi poiché si tratta di mettere in discussione una macchina lenta, pensata per reggere una struttura gigantesca. E le strutture sono fatte di persone, le quali non vanno sempre nella stessa direzione. Molti uomini di Chiesa risentono del secolare silenzio che è regnato sui temi sessuali – figurarsi sull’omosessualità – e non ne sanno nulla. Tocca recuperare un grosso gap.
Confermo. Una frase che mi sento spesso ripetere dai tanti preti che mi cercano per approfondire la questione LGBT+ è proprio questa: “non ne so nulla”. A volte mi sembra quasi un comodo ritornello.
Sì, può essere un ritornello ma ha il bello di essere sincero. Pochi anni fa, nessun prete avrebbe ammesso la propria ignoranza sui nostri temi. Aveva già la sua risposta, anche se basata sul pregiudizio. La consapevolezza di non saperne nulla è già un inizio perchè significa ammettere che, ciò che si riteneva di sapere, non era nulla se non pregiuzio.
Come vedi i gruppi LGBT+ cristiani?
I gruppi LGBT+ cristiani sono necessari per chi vive la doppia appartenenza alla comunità LGBT+ e alla fede cristiana, e sono utili alla comunità stessa. Servono alla persona per farla sentire più protetta e più sicura ma anche più libera, e servono alla comunità LGBT+ stimolando il dibattito interno alla Chiesa. Servono anche alla Chiesa stessa, che non può, sui nostri temi, permettersi di non crescere ancora, né può affidarsi all’impegno solitario di qualche “prete di strada”. I “preti di strada” sono sempre esistiti e sono indispensabili ma non bastano. Il cambiamento deve cominciare dai laici, da chi vive la strada in prima persona.
Bene Stefano. Secondo me, i gruppi LGBT+ cristiani servono anche a pungolare preti, suore e monsignori, non solo sulle nostre richieste ma sulla loro coerenza con se stessi. Ma questa è una nostra questione. Ti ringrazio.
.