A Ragusa la Chiesa ha chiesto perdono alle persone LGBT+ attraverso le parole di una donna
Testimonianza di Dea Santonico, una madre cristiana con figlio LGBT della rete 3VolteGenitori, che a partecipato al Ritiro per cristiani LGBT+, i loro genitori e gli operatori pastorali (Ragusa, 30 settembre/2 ottobre 2022)
Qual è la notizia? – ci ha chiesto una giornalista presente all’incontro organizzato a Ragusa, nel primo week end di ottobre, da un gruppo di ragazze e ragazzi LGBT+ siciliani. E a me è venuto in mente un titolo: “I ragazzi e le ragazze LGBT+ possono salvare la Chiesa”.
Il week end cominciava il venerdì sera con un gioco per conoscerci, nel pomeriggio ero andata da una parrucchiera che mi aveva consigliato Anna, una mamma di Ragusa della Rete 3VolteGenitori. Così ho conosciuto Gianna. Era dispiaciuta perché i suoi impegni di lavoro le avrebbero consentito di partecipare solo in parte all’incontro, ma abbiamo trovato il modo di recuperare, almeno un po’, cominciando a parlarne mentre mi faceva i capelli.
Le ho raccontato di Emanuele, mio figlio, del suo matrimonio con Gianluca di un mese prima, abbiamo visto insieme le foto… Capita tra donne: non ci si conosce neanche e già ci si racconta la vita. Sono uscita da lì contenta di quell’anticipo di incontro ed anche di come era venuta la messa in piega!
Quel titolo non l’ho detto alla giornalista, ma se i ragazzi e le ragazze LGBT+ possono salvare la Chiesa, c’è da chiedersi: la Chiesa sa di aver bisogno di essere salvata? E sa che perché succeda deve lasciarsi curare proprio da chi ha messo ai margini?
La Chiesa ha i suoi tempi, e sono tempi lunghi… – si sente dire spesso, anche nei nostri ambienti LGBT+. Se è una constatazione non si può che essere d’accordo, basta conoscere la storia; se dietro quella frase c’è rassegnazione o il tentativo di una giustificazione, sono meno d’accordo.
Se siamo seguaci di Gesù, il punto di riferimento non può che essere lui e ciò che lui ha fatto. Una riflessione su questo mi è venuta e l’ho condivisa nell’assemblea del sabato pomeriggio.
Gesù guariva di sabato. Per capire fino in fondo il suo gesto bisognerebbe mettersi nei suoi panni di ebreo, e sentire ciò che per lui era il sabato. Cosa per noi cristiani difficile: il sabato per noi non vuol dire niente, per Gesù però non era così.
Per tanti anni l’ho considerato una stupidaggine degli ebrei. Qualche approfondimento e mi sono dovuta ricredere. Il sabato è una perla, una delle più preziose che ci ha regalato l’Antico Testamento. Un giorno in cui tutti si fermano: gli schiavi, insieme ai loro padroni, i forestieri e persino gli animali. E se gli altri giorni della settimana c’è il rischio che qualcuno, preso dall’importanza di ciò che fa, dal potere che esercita sugli altri, si senta onnipotente, il sabato è il giorno per tornare tutti creature, un po’ più uguali, davanti all’unico Creatore.
Il giorno per voltarsi e vedere chi, nella nostra corsa, ci siamo lasciati dietro. Proviamo a pensare cosa potesse voler dire per gli schiavi un comandamento di Dio che parlasse di riposo per loro, ultimi tra gli ultimi, una trentina di secoli fa… E persino il riposo della terra c’è nel pensiero ebraico. Il sabato dovremmo riscoprirlo: è di grandissima attualità ed ha molto da insegnarci.
Gesù da ebreo amava e rispettava il sabato. Il fatto che guarisse di sabato non ci da la misura di quanto poco importante fosse il sabato, ma di quanto lui amasse gli esseri umani da sacrificare a loro persino il giorno di sabato. Ma non poteva aspettava il giorno dopo per guarire? – mi sono chiesta qualche volta un po’ ingenuamente. E ho abbozzato una risposta.
Mi piace pensare che Gesù guarisse di sabato, perché davanti alla sofferenza umana non si poteva aspettare un giorno di più. E allora i tempi della Chiesa, davanti alla sofferenza che ha provocato sulle persone LGBT+, andranno rivisti: perché davanti alla sofferenza umana non si può aspettare un giorno di più.
Gianna l’ho rivista e la domenica mattina, dopo aver ascoltato le tante testimonianze di ragazzi e ragazze LGBT+ e dei loro genitori, è intervenuta: “Io non sapevo, non conoscevo questa realtà, vi chiedo perdono”. Una grande commozione ci ha attraversati tutti e tutte.
Nessun papa, nessun vescovo ha mai chiesto perdono alle persone LGBT+. L’ha fatto Gianna. Ma basta rovesciare le gerarchie, come faceva Gesù, per poter dire: “La Chiesa ci ha chiesto perdono. L’ha fatto attraverso le parole di una donna, di una persona autorevole: Gianna”.